“Caso Abu Omar: la Consulta bacchetta Cassazione e Corte d’Appello di Milano”

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La sentenza n. 24 pronunciata il 10 febbraio 2014 dalla Corte Costituzionale trae origine dal famoso caso del sequestro del cittadino egiziano nonché Imam di Milano Abu Omar ad opera di diversi funzionari del SISMI, tra cui il Generale Nicolò Pollari.

Dato primario importante della sentenza è la disposizione con cui la Consulta “annulla nelle corrispondenti parti, la sentenza della Corte di Cassazione (n. 46340/12) e quella della Corte d’Appello di Milano (n. 985/2013)”.

La Corte Costituzionale nell’esame della questione ha valutato, obbligatoriamente, i fatti processuali del grado di appello e di legittimità in quanto considerati necessari al fine della apprezzabilità costituzionale del sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso dal Presidente del Consiglio dei Ministri in merito alla violazione degli artt. 1,5,52,94 e 95 della Cost. con riguardo agli artt. 1, 39, 40 e 41 della legge n. 124/2007 in materia di informazione per la Sicurezza della Repubblica e disciplina del Segreto di Stato.

Emblematica e significativa è la sentenza n. 24/2014 nella parte in cui la Corte ammonisce la magistratura di legittimità allorquando dice che“non spettava alla Corte di cassazione reputare che il segreto fosse limitato alle sole operazioni ufficiali dei Servizi e che pertanto non si potesse ritenere estraneo all’oggetto del segreto il tema dei rapporti tra il Servizio italiano e la CIA e degli interna corporis ove non riconducibili ad attività regolarmente approvate dai vertici dei Servizi” e questo ben spiega il successivo dispositivo della sentenza quando la Corte ribadisce il concetto affermando la non spettanza della Cassazione nell’annullare “il proscioglimento degli imputati Pollari Nicolò, Ciorra Giuseppe, Di Troia Raffaele, Di Gregori Luciano e Mancini Marco e le relative ordinanze emesse con le quali la Corte d’appello di Milano aveva ritenuto inutilizzabili le dichiarazioni rese dagli indagati nel corso delle indagini preliminari, sul presupposto che il segreto di Stato apposto in relazione alla vicenda del sequestro Abu Omar concernerebbe solo i rapporti tra il Servizio italiano e la CIA, nonché gli interna corporis che hanno tratto ad operazioni autorizzate dal Servizio, e non anche al fatto storico del sequestro in questione”.

Tutto questo fa evincere uno stretto collegamento con quanto fatto nel secondo grado di merito dalla Corte d’Appello di Milano. Difatti la Consulta totalmente boccia il lavoro della Procura e bacchetta  l’assise giudicante affermando in sentenza che ad essa “non spettava ammettere la produzione, da parte della Procura generale della Repubblica presso la medesima Corte, dei verbali relativi agli interrogatori resi nel corso delle indagini da Mancini, Ciorra, Di Troia e Di Gregori; non spettava omettere l’interpello del Presidente del Consiglio dei ministri ai fini della conferma del segreto di Stato opposto dagli imputati” ed in ultimo“affermare la penale responsabilità degli imputati Pollari Nicolò, Di Troia Raffaele, Ciorra Giuseppe, Mancini Marco e Di Gregori Luciano, in ordine al fatto-reato costituito dal sequestro di Abu Omar, sul presupposto che il segreto di Stato apposto dal Presidente del Consiglio dei ministri, in relazione alla relativa vicenda, concernerebbe solo i rapporti tra il Servizio italiano e la CIA, nonché gli interna corporis che hanno tratto ad operazioni autorizzate dal Servizio e non anche quelli che attengono comunque al fatto storico del sequestro in questione”.

In merito al mancato interpello del Presidente del Consiglio dei Ministri, la Corte Costituzionale reputa la condotta della Corte d’Appello di Milano come assolutamente omissiva laddove non ha proceduto all’accertamento dell’esistenza del segreto di Stato.

È chiara, pertanto, la posizione assunta dal giudice costituzionale nel delegittimare l’operato della magistratura penale, sia di legittimità sia di appello, e le rispettive condanne a 10 anni di reclusione Nicolò Pollari e 9 anni il suo vice Mancini.

Prosegue la Corte nella sentenza precisando che la responsabilità penale degli imputati non può poggiare sull’utilizzazione di verbali relativi agli interrogatori resi dagli imputati stessi nel corso delle indagini preliminari senza che si fosse dato corso all’interpello del Presidente del Consiglio dei ministri ai fini della conferma del segreto di Stato perché “la disciplina sul segreto di Stato involge il supremo interesse della sicurezza dello Stato-comunità alla propria integrità ed alla propria indipendenza, interesse che trova espressione nell’art. 52 della Cost. in relazione agli artt. 1 e 5 della stessa Carta”.

Quest’ultimo passaggio della sentenza rende l’idea di come la Corte Costituzionale abbia ancora una volta confermato il proprio ruolo di garante e custode giuridico-istituzionale.

Martina Franca lì, 18.09.2014.

                                                                        Dott. Patr. Leg. Angelo Lucarella

 

Angelo Lucarella

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