L’alveo interpretativo, che depone per la legittimità della tassa governativa (TCG) applicata agli abbonamenti dei “telefoni cellulari”, recentemente approfondito dalle Sezioni Unite della Cassazione – che si impernia sul principio della Corte di Giustizia delle Comunità Europee (ora C.G. dell’Unione Europea) secondo cui “l’articolo 3 della direttiva autorizzazioni va interpretato nel senso che non osta ad una normativa come quella relativa alla TCG” (Ord. C-335/13, ma vds. anche Ord. C-492/09 CGCE) -, si arricchisce di una nuova pronuncia di legittimità (Cass. 18982/2014) che si contraddistingue per ritenere legittimo il diverso trattamento fiscale previsto dal legislatore per gli abbonamenti della radiofonia mobile rispetto alle carte prepagate.
Come noto, il silenzio dell’Amministrazione Finanziaria sull’istanza di rimborso di quanto versato a titolo di tassa di concessione governativa (TCG), a seguito della sottoscrizione di contratti di abbonamento al servizio di telefonia mobile, è un rifiuto caratterizzato da fondatezza alla luce del recentissimo principio di diritto espresso dalla Corte di Cassazione a SS.UU. con sent. n. 9560 del 02/05/2014.
Infatti, secondo tale orientamento espresso a sezioni unite (preceduto dall’indirizzo introdotto dalla Sezione V con sentenza 23052/2012), l’abrogazione del D.P.R. 28 marzo 1973, n. 156, art. 318, ad opera del D. Lgs. 1 agosto 2003, n. 259, art. 218, non ha fatto venire meno l’assoggettabilità dell’uso del “telefono cellulare” alla tassa governativa di cui alla tariffa allegata al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 641, art. 21, in quanto la relativa previsione è riprodotta nel cit. D. Lgs. n. 259, art. 160.
Inoltre, hanno precisato i Giudici di legittimità a SS.UU., “nel difficile quadro di contrastanti posizioni esegetiche che si è determinato in ordine alla questione qui in esame, il legislatore ha ritenuto opportuno intervenire per un definitivo e rassicurante chiarimento con il D.L. 24 gennaio 2014, n. 4, art. 2, comma 4, convertito con modificazioni dalla L. 28 marzo 2014, n. 50 …“.
Nei primissimi mesi successivi a tale importante consolidamento giurisprudenziale, si è osservato il suo recepimento da parte delle Commissioni tributarie di merito (CTR Venezia – Mestre, sentenze nn. 1223/31/14, n. 1130/15/14, n. 1045/22/14, n. 1071/31/14; CTR Lombardia, sentenza n. 3834/42/2014,).
Nel frattempo, rispetto ai molti (per non usare il superlativo assoluto) ricorsi pendenti presso i vari gradi di giudizio tributario, si è nuovamente pronunciata la Corte di Cassazione (Sez. VI – 5, Sent., 09-09-2014, n. 18982) che, nel richiamarsi ai principi di diritto contenuti nella cit. sentenza a SS.UU., ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando la sentenza impugnata e, non ritenendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, rigettando il ricorso introduttivo proposto da una società avverso il silenzio-rifiuto di cui trattasi.
Tale dictum, emesso dalla sotto-sezione tributaria della sesta sezione civile, risulta particolarmente interessante in quanto, oltre a porsi nel solco interpretativo favorevole alla tesi di applicazione della TCG all’uso dei telefoni cellulari, si è pronunciata in modo esteso e puntuale sulla memoria depositata per l’udienza di discussione dove la società controricorrente ha sviluppato molteplici argomenti di dissenso rispetto alle conclusioni alle quali è pervenuta la cit. sentenza n. 9565/14 ponendo, in merito, alcuni dubbi di legittimità costituzionale.
Il Collegio, prima di pronunciarsi in maniera espressa per l’infondatezza delle incertezze sollevate dalla controricorrente con riferimento agli artt. 3, 23 e 53 Cost., reputa, con una sorta di premessa, che gli argomenti spesi nella memoria non giustifichino una rimeditazione del tema per un doppio ordine di argomentazioni.
Da un lato per il sopravvenuto intervento legislativo – D.L. n. 4 del 2014, art. 2, comma 4 – che, peraltro, si è “limitato a rendere vincolante una delle opzioni ermeneutiche emerse nella giurisprudenza, recependo, va pure sottolineato, proprio l’interpretazione espressa dalla Corte di cassazione, nell’esercizio della propria funzione nomofilattica, nell’unica pronuncia decisoria in termini sull’argomento – sentenza n. 23052/12 -“.
D’altro canto, rifacendosi proprio ad una recente posizione della Consulta sul punto (C. Cost. 209/10, punto 5.1 della motivazione), segnala che l’interpretazione sulla radiofonia mobile offerta dal legislatore d’urgenza con decreto del gennaio 2014 è costituzionalmente orientata. Secondo il Giudice delle leggi, infatti, “Il legislatore può adottare norme di interpretazione autentica non soltanto in presenza di incertezze sull’applicazione di una disposizione o di contrasti giurisprudenziali, ma anche quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore”. E, nella specie, – prosegue la Corte di Cassazione – “è indubbio che il D.L. n. 4 del 2014, sia intervenuto in presenza di un contrasto interpretativo“.
Ciò detto, il Consesso di Piazza Cavour entra nel merito delle tre specifiche doglianze di rilievo costituzionale, due delle quali (violazione degli art. 3 e art. 53 Cost.) poggiano sulla circostanza che la TCG in esame si applicherebbe, in ipotesi ritenuta erronea, esclusivamente ai titolari di contratti di abbonamento e non anche agli utenti di carte prepagate ricaricabili, mentre la terza e ultima afferisce ad una pretesa inosservanza della riserva di legge contenuta nell’art. 23 Cost.
Quanto alla pretesa violazione dell’art. 3 Cost., la Suprema Corte di Cassazione, nel decisum depositato il 9 settembre u.s., “osserva che la fruizione di servizi di telefonia mobile in base ad un rapporto contrattuale di abbonamento col gestore presenta caratteristiche giuridiche e fattuali non sovrapponibili all’acquisto di un certo tempo di conversazione telefonica mediante la ricarica di una carta prepagata; basta considerare, in proposito, che l’utente nel primo caso gode del servizio continuativamente e si obbliga al pagamento di un canone periodico, mentre nel secondo caso acquista un pacchetto di minuti di conversazione telefonica. La differenza obbiettiva tra le due situazioni esclude l’irragionevolezza della diversità del relativo trattamento tributario“.
Quanto, invece, alla supposta violazione dell’art. 53 Cost., continua la Cass. Sezione VI – 5 rifacendosi ancora una volta a canoni pronunciati dalla Consulta, “va in primo luogo rilevato che la giurisprudenza costituzionale ha reiteratamente affermato che rientra nella discrezionalità del legislatore la determinazione degli indici di capacità contributiva e della conseguente entità dell’onere tributario, essendo riservato alla Corte costituzionale di verificare solo la palese arbitrarietà e irrazionalità delle scelte legislative (cfr. C. Cost. n. 352/95, n. 23/05). Tanto premesso, si osserva che le differenze giuridiche e fattuali intercorrenti tra la fruizione di servizi di telefonia mobile in base ad un rapporto contrattuale di abbonamento col gestore e l’acquisto di un determinato minutaggio di conversazione telefonica mediante la ricarica di una carta prepagata, già evidenziate con riferimento al sospetto di violazione dell’art. 3 Cost., inducono ad escludere, anche con riferimento al sospetto di violazione dell’art. 53 Cost., che il diverso trattamento tributario di tali situazioni possa considerarsi palesemente arbitrario e irrazionale“.
Per rafforzare le proprie argomentazioni, il Collegio richiama “C. Cost. 113/07 (in tutt’altra materia, ma secondo lo sviluppo di un analogo iter argomentativo di valorizzazione delle differenze che distinguono situazioni che pure nella sostanza sembrerebbero sovrapponibili) ove – con riferimento al diverso regime di deducibilità ai fini IRPEF dell’assegno divorzile, a seconda che il medesimo venga corrisposto periodicamente o in unica soluzione – si sottolinea come le diversità della connotazione giuridica e fattuale delle due forme di adempimento legittimano il legislatore a prevedere, nella sua discrezionalità, regimi fiscali diversi”.
Da ultimo, la questione concernente la pretesa violazione della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. viene risolta dal Collegio osservando “che la tassa in questione trova il suo fondamento in norme dettate dalla legge o da atti con forza di legge (D.L. n. 151 del 1991, art. 3, D. Lgs. n. 259 del 2003, art. 160, D.L. n. 4 del 2014, art. 2); il che palesa la manifesta infondatezza sia dell’argomento secondo cui la riserva di legge per l’imposizione di prestazioni patrimoniali sarebbe violata perchè la fonte dell’imposizione in esame risiederebbe nel D.M. n. 33 del 1990 (dovendosi altresì ricordare che la riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. è relativa e non assoluta, cfr. Cass. SSUU 18262/04); sia dell’argomento che – essendo venuta meno la necessità di qualunque concessione o autorizzazione all’uso del telefono cellulare – mancherebbe attualmente la prestazione amministrativa costituente il presupposto del tributo stesso“.
Con riferimento a quest’ultimo argomento – che si risolve nell’assunto che, in mancanza di qualunque concessione o autorizzazione all’uso del telefono cellulare, il tributo de quo avrebbe perso la natura di tassa ed assunto, in difetto di una previsione legale esplicita, quella di imposta – i Giudici affermano che essa “ha infatti una portata meramente classificatoria, cosicchè, quand’anche fondato, non sarebbe idoneo a manifestare l’esistenza di una violazione dell’art. 23 Cost.“.
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