Primo grado, appello e cassazione
Il delitto di omesso versamento iva, quando il destinatario è un ente, va imputato ai soggetti responsabili dell’ente nella contabilità del quale si riscontra l’illecito. Ma in che senso responsabili dell’ente? In primo grado, il Tribunale di Monza aveva indicato i soggetti formalmente responsabili per gli adempimenti di un’azienda; nel caso di specie l’imputato era stato chiamato a rispondere del reato esclusivamente in ragione della qualifica rivestita. La Corte d’Appello di Milano aveva confermato l’assunto e per l’effetto il verdetto di colpevolezza. Anche la Cassazione, sez. III penale, nella sentenza 17 luglio – 9 ottobre 2014, n. 42002, affronta la problematica dell’imputazione soggettiva del reato quando ne possano rispondere soggetti formalmente gravati da obblighi fiscali e soggetti sostanzialmente gravati dai medesimi obblighi. Naturalmente, in linea teorica, la logica dell’et et non esclude la logica dell’aut aut, eppure il quesito giuridico sembra porsi all’interprete nell’ottica di dover escludere un tipo di collegamento, a “favore” dell’altro. La sentenza si snoda prevalentemente su questo percorso, e traccia gli argomenti per una cassazione della sentenza di secondo grado fondata sull’esigenza che il destinatario del precetto penale sia sostanzialmente responsabile degli adempimenti, e pertanto, in termini concettuali, sia in una posizione di collegamento personale con la commissione del reato, sul modello – lo richiama il Supremo collegio – del reato proprio.
L’eccezione in materia di quantificazione della pena
Al margine di questo versante principale, la Cassazione tocca un punto di non minore interesse per l’articolazione del sistema punitivo in materia di omesso versamento iva. In particolare, nella sentenza 42002/2014 i Giudici di Piazza Cavour danno spazio – lo fanno, si è detto, incidentalmente – alla questione della valutazione in concreto della gravità del fatto di omesso versamento iva, id est all’opzione del giudice nella (ri)determinazione dell’entità di pena a partire dalla cornice edittale stabilita dal legislatore in relazione al modello normativo astratto. La problematica involge inevitabilmente la configurazione della fattispecie a seguito di una nota sentenza della Corte Costituzionale del maggio scorso, nella quale la Consulta ha incidentalmente valorizzato i profili di dosimetria sanzionatoria, così come rivenienti dalle ricadute dell’art. 3 Cost. sul sistema delle sanzioni penali in questa materia (per la precisione va detto che la Corte ha voluto ripristinare un climax discendente tra omessa dichiarazione e omesso versamento).
Amplius. Il richiamo a Corte costituzionale n. 80 del 2014
Nella motivazione della Cassazione leggiamo che “la difesa del ricorrente ha depositato una memoria nella quale, richiamando la recente sentenza della Corte costituzionale n. 80 del 2014, con la quale è stata elevata la soglia di punibilità per il reato contestato, si segnala, articolandolo quale motivo aggiunto di impugnazione, il vizio da cui sarebbe affetta la impugnata sentenza in punto di determinazione della pena, in considerazione del minore disvalore penale in astratto ascrivibile alla condotta del prevenuto stante la maggiore attuale prossimità dell’importo evaso rispetto alla nuova soglia minima di punibilità”. In uno al profilo specifico della dosimetria sanzionatoria nel caso sub iudice emerge, come si diceva, il tema centrale affrontato dalla Consulta nel maggio scorso, che aveva colpito con un verdetto di illegittimità costituzionale la normativa sull’IVA; nel dettaglio, per la Consulta l’art. 10 ter del D.Lgs 10 marzo 2000, n. 74, violava l’art. 3 della Carta Fondamentale (il giudizio verteva sull’applicazione della norma ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011; l’approdo è che la Costituzione non consente (più) la punizione del contribuente che abbia omesso di versare l’iva, dovuta in basa alla dichiarazione annuale, per importi inferiori a € 103.291,38, dovuti in ciascun periodo di imposta). In termini più ampi, la questione di legittimità costituzionale colpiva il combinato disposto degli artt. 10 ter, 4 e 5 del D. Lgs. 74/2000, con particolare riferimento al confronto tra le soglie di punibilità previste dalle disposizioni in esame. In buona sostanza, l’ordinanza di rimessione rilevava come la soglia di punibilità, prevista, fino al 17 settembre 2011, per il reato di omesso versamento iva, in € 50.000 (art. 10 ter), fosse irragionevolmente inferiore a quelle stabilite per i reati di infedele ed omessa dichiarazione (artt. 4 e 5), rispettivamente di € 103.291,38 e € 77.468,53. Orbene – questa è di certo l’incongruenza lamentata – la pena prevista per gli illeciti disciplinati dagli artt. 4 e 5 (reclusione da uno a tre anni) risultava più elevata rispetto alla pena prevista dall’art. 10 ter (reclusione da sei mesi a due anni). Immediato il riflesso in termini di iniquità dell’impianto normativo sul piano dell’attitudine lesiva degli interessi del fisco: in taluni casi il contribuente che avesse omesse di presentare la dichiarazione annuale non si sarebbe reso responsabile di alcun reato, al pari del contribuente che avesse tenuto una condotta corretta; al contrario di colui il quale, nella medesima situazione, avesse presentato la dichiarazione ma non avesse provveduto al regolare pagamento dell’imposta. In particolare, laddove il contribuente che avesse autoliquidato l’iva dovuta in € 56.000 (ossia nell’intervallo tra i 50.000 previsti dall’art. 10 ter ed i 77.468,53 previsti dall’art. 5) avesse anche omesso di presentare la relativa dichiarazione, costui non si sarebbe reso responsabile di alcun reato, non risultando superata la soglia di punibilità di cui all’art. 5. Di contro, qualora lo stesso contribuente avesse presentato la dichiarazione, indicando l’iva autoliquidata in € 56.000, senza però far seguire la corresponsione del dovuto, costui si sarebbe reso responsabile del reato di cui all’art. 10 ter.
Ineccepibile l’intervento della Consulta: la tutela penale degli omessi versamenti iva risultava irragionevolmente rafforzata rispetto alla tutela dell’omessa dichiarazione e della dichiarazione infedele, che pur individuano fatti più gravi; il tutto in palese contrasto con l’art. 3 della Costituzione. La Corte puntualizza molto bene che le cornici di pena detentiva previste per i tre illeciti esprimono chiaramente una gradualità del rigore punitivo, minore per il reato di omesso versamento. Così, per l’omesso versamento era illogico pensare una maggior ampiezza dell’ambito applicativo per effetto della (e quale discendeva dalla) previgente soglia di rilevanza più bassa.
Indicazioni per una corretta modulazione della sanzione? Gli argomenti sono gli stessi della Consulta
Non è la sede per commentare funditus la decisione della Corte Costituzionale; occorre piuttosto mettere in risalto il campo nel quale si è mossa, e segnatamente la costruzione di una corretta graduazione di pena rispetto ad illeciti già in astratto provvisti di un differente disvalore. Proprio su questa direttrice la sentenza 80/2014 viene richiamata per auspicare un rimodellamento della prassi applicativa in materia di omesso versamento iva, affinché la giurisprudenza si allinei all’intervento della Consulta. Non si tratta – dinnanzi alla Cassazione non potrebbe essere diversamente – di riscrivere una normativa oggi alla prova del fuoco, bensì di tracciare un indirizzo al quale ricondurre, ed ispirare, la giustizia del caso concreto.
Il quantum di pena da irrogare in concreto per l’omesso versamento iva è stato ridefinito dalla Consulta?
L’ipotesi è che nella quantificazione della pena in concreto, ovvero nella sua determinazione nell’ambito della cornice edittale, il giudice tenga conto dell’innalzamento della soglia di punibilità, in uno alle ragioni che hanno supportato l’intervento della Corte Costituzionale. Dalla censura all’art. 10 ter non può non discendere – questa l’argomentazione centrale – che l’interprete debba accostarsi all’applicazione della norma muovendo dalla constatazione che la gravità del reato di omesso versamento iva è stata ridefinita. Oggi il reato colpisce necessariamente fatti più gravi del passato; conseguentemente la sua pena irrogata in concreto dovrà tener conto del dato che comportamenti prima sussumibili nella norma, nel mezzo della sua cornice applicativa, e conseguentemente sanzionatoria, non lo sono più, e rappresentano piuttosto omissioni di minima rilevanza. In altri termini, il reato che oggi colpisca quei medesimi fatti andrà correlato a un giudizio di gravità differente, segnatamente minore, rispetto alla nuova cornice applicativa, e conseguentemente sanzionatoria.
Una nuova dosimetria sanzionatoria per l’omesso versamento iva? La Cassazione passa la parola alla Corte di appello di Milano
La sentenza in commento non risolve il problema. In coda al provvedimento si prendono in considerazione distintamente “i successivi motivi, afferenti alla determinazione del trattamento sanzionatorio …. in particolare con riferimento alle eventuali conseguenze derivanti dall’innalzamento della soglia minima di punibilità applicabile al reato contestato a seguito della parziale illegittimità costituzionale dell’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000 dichiarata dalla corte costituzionale con la sentenza n. 80 del 2014” per concludere che “la (cui) incidenza sul giudizio a carico del prevenuto (…) sarà eventualmente compito della Corte territoriale esaminare”. La parola alla Corte d’appello.
Per la difesa, si tratta di ipotizzare che la cornice edittale, ora valida a “misurare” la gravità di fatti che hanno come connotazione minima quella prossima all’attuale soglia di punibilità, imponga di assegnare alle omissioni di valore prossimo alla soglia una pena prossima al minimo edittale. L’opzione è in linea con l’intervento della Consulta, per quel che concerne la ragionevolezza dell’impianto sanzionatorio in questa materia (fermo il richiamo all’art. 3 Cost.), e con esso condivide le importanti premesse assiologiche; ma prima di dare per accolta una nuova dosimetria sanzionatoria occorre capire se queste implicazioni costituzionali si fanno diritto vivente.
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