La disciplina della riscossione coattiva dei crediti tributari all’estero e degli altri crediti pubblici è stata oggetto di importanti trasformazioni che hanno ampliato gli strumenti di tutela a disposizione dei vari Paesi per combattere il grave fenomeno dell’evasione da riscossione.
È di plateale evidenza la circostanza che il recupero del credito tributario ha successo se supportato dalla possibilità di ricostruire l’intero patrimonio del debitore e celermente aggredirlo: la procedura di riscossione coattiva dei tributi svolge un ruolo avente l’effetto di deterrenza all’evasione.
Partendo da tale importante premessa si comprende la ratio sottesa al generale sforzo collettivo dei vari Paesi di migliorare gli strumenti di tutela tesi all’attuazione di reciproche modalità collaborative in materia di riscossione, ratio dalla quale scaturisce, chiaramente, l’elevazione massima del livello di civiltà dei popoli nell’ambito dell’adempimento dell’obbligazione tributaria.
Nel campo fiscale e in quello civile si è dovuta risolvere l’annosa questione del riconoscimento e dell’’esecuzione dei crediti esecutivi emessi da paesi terzi.
Negli anni si è assistito a un forte incremento del fenomeno delle frodi fiscali atteso che tanti ricorrevano a residenze all’estero per sfuggire all’esazione erariale. Tale fenomeno ha reso emergente l’esigenza di rafforzare gli strumenti di tutela che consentono l’effettivo recupero dei crediti fiscali anche all’estero, onde evitare di vedere irrimediabilmente compromessi i loro interessi territoriali.
In ambito comunitario la soluzione la si è trovata inizialmente con la direttiva n 76/308: la cooperazione, in funzione della disciplina dettata da tale direttiva, era prevista solo per il recupero dei crediti relativi ai finanziamenti erogati dal Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (feaog) ai prelievi agricoli e ai dazi all’importazione e all’esportazione. Successivamente è stata estesa a tutti i dazi dell’importazione ed esportazione.
È evidente che il grande merito imputabile all’ avventuristica direttiva 76/308 è decisamente l’introduzione del concetto di cooperazione tra i vari paesi membri per la riscossione dei crediti tributari, riconoscendo efficacia ai titoli esecutivi provenienti da diversi paesi membri senza per questo prevedere una disciplina uniforme sulle esecuzioni (cosicché, quel titolo munito di efficacia esecutiva nello stato che lo ha emesso, conserva i medesimi effetti anche in quello adito). Essa pero presentava al contempo degli evidenti limiti, ostando al libero riconoscimento del titolo esecutivo emesso da altro stato membro. Difatti la direttiva del 1976 presupponeva una sorta di adeguamento da parte dello stato adito, mentre de facto e solo grazie alle successive modifiche apportate dalle ulteriori direttive intervenute in materia e fino alla vigente disciplina dettata dalla direttiva 2010/24 ci si è liberati del tale ostacolo affermando il generale principio dell’automatico riconoscimento del titolo esecutivo di uno stato membro nel territorio comunitario.
Le disposizioni vigenti in ordine al riconoscimento del titolo esecutivo all’estero prevedono, l’utilizzo generalizzato e prevalente della posta elettronica.
L’invio di atti e documenti cartacei è previsto solo allorquando non sia possibile procedere con il mezzo informatico, mentre l’adozione del regolamento , in luogo della direttiva, si giustifica in ragione della sua immediata applicabilità all’interno dei paesi membri, evitando così lungaggini correlate all’approvazione di norme di recepimento.
Il riconoscimento automatico del titolo esecutivo estero, in Italia prevede la sua sostituzione con un titolo nazionale, scelta giustificata, unicamente con l’esigenza pratica di una migliore gestione di tutte le procedure consequenziali alla richiesta di assistenza.
Di prassi, l’Autorità dello stato membro adito dove comunicare all’Autorità richiedente la ricezione della domanda di assistenza e l’eventuale invito al completamento della domanda, qualora ravvisi la mancanza dei necessari dati ex lege.
Il recupero del credito è possibile non oltre il maturare del termine di prescrizione di 5 anni, decorrente dalla data di costituzione del titolo esecutivo e lo Stato adito dovrà anche comunicare le eventuali ragioni che ha ravvisato come ostative per azionare atti di recupero o l’adozione di misure cautelari entro tre mesi dalla data di ricevimento della domanda, oppure quelle che gli impediscono di agire tempestivamente.
Nel dettaglio, l’art. 14 della direttiva 2010/24/UE al riguardo dispone che le controversie concernenti il credito, il titolo iniziale che consente l’esecuzione nello Stato membro richiedente o il titolo uniforme che consente l’esecuzione nello Stato membro adito nonché le controversie riguardanti la validità di una notifica effettuata da un’autorità competente dello Stato membro richiedente, rientrano nella competenza degli organismi competenti dello Stato membro richiedente. Pertanto, qualora nell’ambito della procedura di recupero un soggetto interessato contesti la legittimità e validità del credito, del titolo iniziale che consente l’esecuzione nello Stato membro richiedente o dello stesso titolo uniforme che consente l’esecuzione nello Stato membro adito, l’autorità adita informa tale soggetto della possibilità di esperire tale azione innanzi all’organo competente dello Stato membro richiedente in conformità delle norme di legge in esso vigenti.
Questo valido strumento , ritenuto efficiente in funzione della elere attuazione del credito, viene definito titolo uniforme o meglio UIPE, Uniform Instrument Permitting Enforcement. Esso consente di attuale in fatto e in diritto l’esecuzione del credito nello Stato membro adito accompagnandosi alla domanda di recupero.
Nel momento pratico-attuativo il titolo uniforme rispecchia il titolo di origine, essendo di pari contenuto, risultando in diritto l’unica base fondante per le realizzazione delle misure di recupero adottate nello Stato membro adito.
La nomenclatura connessa alla definizione di titolo uniforme, risulta chiarita dalla necessità che l’autorità richiedente compili un modulo standard che rende il proprio titolo esecutivo un titolo uniforme che, ne rende possibile l’esecuzione anche nello stato membro adito trattandosi non di una sostanziale attività di adeguamento del titolo in uno stato diverso da quello che lo ha emesso, ma di una espressa attività di trasfusione, validante sul piano degli effetti, del titolo nel modello standard.
E comunque l’attività di recupero richiede delle garanzie per poter essere validamente attivata.
È importante che il titolo esecutivo non sia stato già oggetto di contestazione nello Stato che richiede assistenza e che alcuna correlata attività di recupero sia stata già posta in essere nel territorio di origine del credito. Non è più contemplata, quale indefettibile presupposto utile per la valida richiesta di assistenza in un altro Stato, la circostanza che il richiedente abbia già esperito, senza successo, le misure esecutive previste nel suo ordinamento. È solo previsto che quest’ultimo abbia avviato le procedure idonee alle attività di recupero pur non essendo esse risultate utili per il recupero del credito.
Si viene, pertanto, ad attuare un’efficiente ed efficace attività di cooperazione ove vengono poste in essere le procedure esecutive dello stato interpellato ed utilizzati gli stessi strumenti funzionali a tutelare quei debitori che scelgano di non contestare il titolo ma di optare per pagamenti dilazionati, sempre che anche tali procedure di pagamento siano previste nello stato adito.
Ad ogni modo si rileva che il titolo uniforme non conferisce al relativo credito alcun grado di prelazione rispetto ad altri crediti sorti nel territorio nazionale, a meno che ciò sia previsto nell’ambito dei reciproci accordi tra i relativi Stati che in merito a ciò possano prevedere che siano riconosciute preferenze ai crediti oggetto della richiesta del richiedente, da parte dello stato adito.
Assumono un certo rilievo, nella disamina di tale procedimento, anche le eventuali e possibili contestazioni, la cui disciplina è rimessa a quanto disposto dall’art.14 della Direttiva 2010/24, che in merito prevede il rinvio alle autorità dello stato richiedente e la validità di una notifica da parte di un’autorità dello stato membro. Nello specifico, l’autorità interpellata, che abbia avuto notizia di una contestazione, sospende la procedura di esecuzione già avviata. E quindi si provvederà a riprendere la procedura esecutiva precedentemente avviata dopo la pronuncia dell’organo competente e sulla base delle decisione assunta. Comunque, al fine di poter rallentare ogni tipo di contestazione, la direttiva 2001/44 aveva previsto la riscossione dei crediti oggetto di contestazione giudiziaria qualora la richiedente ne avesse formulato espressa e motivata richiesta in merito.
Con questa disposizione, rimasta in vigore anche con l’attuale disciplina introdotta dalla direttiva 201/24/CEE il legislatore comunitario ha voluto superare gli ostacoli contenuti nella direttiva 76/308/CEE nella quale la contestazione del credito o del titolo esecutivo era ritenuta un ostacolo non valicabile e pertanto impediva di attuare la procedura di recupero.
La ratio sostanziale, quindi, che oggi è sostanzialmente posta alla base delle attività di recupero del credito all’estero è sicuramente quella di non dover esporre a responsabilità amministrative e giudiziarie le autorità dello Stato interpellato quando quelle dello stato richiedente dubitino esse stesse della legittimità in fatto e diritto del credito sottostante al titolo uniforme.
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