Dirigenti illegittimi: avvisi di accertamento e ruoli nulli (TERZA E ULTIMA PUNTATA)

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I) Ruoli illegittimi

Secondo me, le stesse contestazioni da fare per gli avvisi di accertamento si possono fare nei confronti dei ruoli che hanno determinato la formazione e notificazione delle cartelle esattoriali.

L’art. 24, comma 1, D.P.R. n. 602 del 29/09/1973, dopo le modifiche intervenute con il D.Lgs. n. 46 del 26 febbraio 1999, testualmente dispone:

L’ufficio consegna il ruolo al concessionario dell’ambito territoriale cui esso si riferisce secondo le modalità indicate con decreto del  Ministero delle finanze, di concerto con il Ministero del Tesoro, del bilancio e della programmazione economica”.

Il Decreto Ministeriale n. 321 del 03 settembre 1999 (in G.U. n. 218 del 16 settembre 1999) stabilisce che:

  • i ruoli sono formati direttamente dall’ente creditore (art. 1, comma 1);
  • i ruoli formati direttamente dall’ente creditore sono redatti, firmati e consegnati,  mediante trasmissione telematica al CNC, ai competenti concessionari del servizio nazionale della riscossione, denominati concessionari, in conformità alle specifiche tecniche approvate con il Decreto dirigenziale dell’11 novembre 1999 (art. 2, comma 1).

Di conseguenza, i ruoli devono essere firmati dal dirigente dell’ufficio (si rinvia sempre al Regolamento di amministrazione, commentato alla lett. b, n. 5), del presente articolo) e, pertanto, in sede processuale, si possono proporre le stesse eccezioni di illegittimità da sollevare avverso gli avvisi di accertamento.

Infatti, il ruolo può essere impugnato dinanzi le Commissioni Tributarie unitamente alla cartella di pagamento, entro 60 giorni dalla notifica della stessa ai sensi e per gli effetti dell’art. 19, comma 1, lett. d), D.Lgs. n. 546 del 31 dicembre 1992 (in tal senso, Cassazione, Sez. Tributaria, sentenze n. 6612 del 26/06/1999 e n. 17351 del 17/11/2003).

Infine, poiché l’illegittimità in questione determina, secondo me, una nullità assoluta (c.d. inesistenza giuridica, si rinvia alla lett. C), n. 1, del presente articolo),  detta inesistenza può essere rilevata anche d’ufficio dai giudici tributari, in ogni stato e grado del giudizio, e, costituendo una violazione dei principi fondamentali dell’ordinamento amministrativo e processuale, può persino essere fatta valere con ricorso per Cassazione (Cassazione, Sezione Civile, sentenza n. 12104 del 2003, già citata).

In ogni caso, si è in attesa della pronuncia a Sezioni Unite della Corte di Cassazione alla quale è stata rimessa la questione dell’impugnabilità dell’estratto di ruolo, con ordinanza della Sesta Sezione Civile – T n. 16055 dell’11 luglio 2014.

L) Strategie processuali

Per approfondire leggi anche “Le strategie difensive nel contenzioso tributario” scritto da Giuseppe Diretto, Maurizio Villani, Iolanda Pansardi, Alessandra Rizzelli.

In tutti i casi prospettati nel presente articolo, secondo me, citando la normativa e la giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione, qualora gli avvisi di accertamento ed i ruoli risultassero firmati da uno dei dirigenti sub iudice dell’Agenzia delle entrate (nonché dell’Agenzia delle dogane e dell’Agenzia del territorio), i contribuenti ed i loro difensori farebbero bene a dedurne subito la nullità per difetto di sottoscrizione, in quanto di provenienza da soggetto non legittimato ed abilitato, assumendo a parametro di riferimento l’art. 42 D.P.R. n. 600/1973 più volte citato (vedi lett. D).

La vigente normativa in materia di contenzioso tributario indica, in via generale, nell’art. 10 D.Lgs. n. 546 cit. le parti del processo dinanzi le Commissioni tributarie, contrapponendo al contribuente “l’ufficio” che ha emanato l’atto (Cassazione, sentenza n. 2432/2001).

Di conseguenza, proprio in base agli articoli 10 e 11 D.Lgs. n. 546 cit., la Cassazione ha precisato e ribadito il seguente principio:

“Gli uffici locali dell’Agenzia, esplicazione territoriale dell’Agenzia centrale, sono, quindi, legittimati ad agire ed essere convenuti nei giudizi davanti alle Commissioni tributarie ed in questi sono rappresentati dal Direttore nominato, avente funzione dirigenziale, che per la gestione e l’adempimento dei compiti ad esso demandati può delegare suoi diretti collaboratori a scopi determinati” (Cassazione, Sez. Tributaria, sentenza n. 3058 dell’08/02/2008).

Nello stesso senso, Cassazione, Sez. Tributaria, con sentenza n. 13908 del 28/05/2008.

Oltretutto, in un caso, la Cassazione, Sez. Quinta Civile, con la sentenza n. 6338 del 10/03/2008 ha statuito che:

“Le costituzioni in giudizio, inoltre, erano state firmate dal responsabile dell’ufficio, Direttore pro-tempore, nel rispetto del disposto dell’art. 42 (D.P.R. n. 600/73 cit.)”.

In ogni caso, per stabilire le relative strategie processuali, bisogna distinguere a seconda che gli atti sottoscritti dai non dirigenti abbiano natura sostanziale o processuale.

 

1) Atti di natura sostanziale – Elencazione –

Gli atti di natura sostanziale sono, in generale, gli avvisi di accertamento, di rettifica ed i ruoli dell’Agenzia delle entrate, dell’Agenzia delle dogane e dell’Agenzia del territorio (pensiamo agli atti di classamento, per esempio).

In particolare, gli atti impugnabili, oggetto dei ricorsi, che potrebbero essere dichiarati nulli perché sottoscritti, anche per delega, da non dirigenti sono (art. 19 D.Lgs. n. 546/1992):

  • l’avviso di accertamento del tributo;
  • l’avviso di liquidazione del tributo;
  • il provvedimento che irroga le sanzioni;
  • il ruolo (vedi lett. I);
  • gli atti relativi alle operazioni catastali;
  • il rifiuto espresso della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti;
  • il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari.

 

2) Atti di natura processuale in primo grado.

In tutti i suddetti casi, secondo me, il contribuente ed il suo difensore devono:

a) proporre tempestivo ricorso con i motivi esposti nel precedente scritto  (art. 18, comma 2, lett. e), D.Lgs. n. 546 cit.);

b) per i ricorsi già pendenti, nei quali l’eccezione del difetto di sottoscrizione e di delega è stata già fatta, presentare memorie difensive  (art. 32 D.Lgs. n. 546 cit.), alla luce della più volte citata sentenza n. 37/2015 della Corte Costituzionale;

c) per i ricorsi pendenti nei quali la relativa eccezione non è stata proposta, secondo me, presentare subito memorie integrative (art. 24, comma 2, D.Lgs. n. 546 cit.) per la sopravvenuta conoscenza della citata sentenza della Corte Costituzionale, eccependo la nullità assoluta (c.d. di inesistenza) degli atti impugnati (vedi lett. C, n. 1, del presente articolo), che peraltro potrebbe essere eccepita d’ufficio in ogni stato e grado del processo tributario;

d) contestare le controdeduzioni delle Agenzie fiscali (art. 23 D.Lgs. n. 546 citato), perché soltanto i dirigenti (anche per delega) curano la trattazione del contenzioso, ai sensi e per gli effetti dell’art. 5, commi 3, 5 e 6, del Regolamento di amministrazione (vedi lett. B, n. 5, del presente articolo);

e)  sapere, infine, che una volta sollevate le relative eccezioni, è sempre onere esclusivo delle Agenzie fiscali (art. 2697 c.c.) dimostrare e documentare che (vedi lett. G del presente articolo):

–          il dirigente firmatario era legittimato o perché vincitore di regolare concorso o perché nominato in base a leggi diverse da quelle dichiarate inconstituzionali (vedi lett. A del presente articolo);

–          la delega al funzionario firmatario dell’atto era stata rilasciata da un dirigente legittimo, logicamente con atto precedente alla contestazione del ricorrente;

–          il funzionario firmatario dell’atto era stato nominato ed autorizzato soltanto nelle eccezionali e documentate ipotesi di:

  • affidamento di mansioni superiori (art. 52 D.Lgs. n. 165 del 2001);
  • sostituzione del dirigente in caso di assenza o impedimento (art. 20, comma 1, lett. a), D.P.R. n. 266 dell’08/05/1987, già citata);
  • reggenza dell’ufficio in attesa della destinazione del dirigente titolare (art. 20, comma 1, lett. b), D.P.R. n. 266 dell’08/05/1987, già citato); in merito, Cassazione, Sez. Tributaria, sentenza n. 8166 del 06 giugno 2002.

Al di fuori delle suddette tassative e temporanee ipotesi, l’atto sottoscritto da un funzionario della nona qualifica, senza una preventiva e legittima delega da parte di un vero dirigente, è totalmente nullo, perché non è vero che la legge e la giurisprudenza della Corte di Cassazione riconoscono sempre legittimità agli atti riconducibili al capo ufficio, sia egli o meno un dirigente, come esposto e documentato nel presente articolo.

Gli atti tributari privi della sottoscrizione del legittimo dirigente responsabile sono eccezionalmente validi a partire dal 1° luglio 2009 ex art. 15, comma 7, D.L. n. 78/2009, che testualmente prevede:

La firma autografa prevista sugli atti di liquidazione, accertamento e riscossione dalle norme che disciplinano le entrate tributarie erariali amministrate dalle Agenzia fiscali e dall’amministrazione autonoma dei monopoli di Stato può essere sostituita dall’indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile dell’adozione dell’atto in tutti i casi in cui gli atti medesimi siano prodotti da sistemi informativi automatizzati” (Provvedimento del direttore dell’Agenzia fiscale del 02/11/2010; Corte Costituzionale sent. n. 117/2000; Cass. sentenze n. 4923/2007, n. 22692 del 29/10/2007, n. 13461 del 27/07/2012);

f)  in conclusione, sapere che se l’Agenzia non riesce a dimostrare e provare, con documenti preventivi ed autenticati (non semplici fotocopie, da contestare ex art. 2712 codice civile), che il sottoscrittore dell’atto o della delega era  un legittimo dirigente, l’atto stesso è totalmente nullo.

 

3) Atti di natura processuale in grado di appello e Cassazione.

Le medesime eccezioni si devono proporre anche nei gradi successivi del processo tributario.

 

a)    Appello.

Il contribuente ed il suo difensore, in caso di rigetto dell’eccezione devono:

–          proporre l’appello principale (art. 53 D.Lgs. n. 546 cit.);

–          proporre l’eventuale appello incidentale (art. 54, comma 2, D.Lgs. n. 546 cit.);

–          sapere che le questioni ed eccezioni non accolte nella sentenza della Commissione provinciale, che non sono specificamente riproposte in appello, si intendono rinunciate (art. 56 D.Lgs. n. 546 cit.);

–          eccepire l’inammissibilità dell’atto di appello (principale o incidentale) sottoscritto da un non dirigente o su delega rilasciata da un non dirigente, a seguito della sentenza n. 37/2015 della Corte Costituzionale  (artt. 53, comma 1, e 18, comma 3, D.Lgs. n. 546 citato).

Infatti, la qualità di parte nel processo tributario compete sempre all’ufficio locale dell’Agenzia fiscale, con titolarità a ricevere le notifiche di ogni atto processuale e, in particolare,  delle sentenze e dei ricorsi per Cassazione, tranne i casi in cui sia già intervenuta l’assunzione della difesa da parte dell’ufficio del contenzioso della Direzione regionale o dell’Avvocatura dello Stato, ai sensi e con le modalità di cui agli artt. 23, 53 e 54 D.Lgs. n. 546/1992 cit..

 

b) Ricorso per Cassazione.

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale può sempre essere proposto ricorso per Cassazione per i motivi di diritto dell’art. 360, comma 1, del codice di procedura civile (art. 62 D.Lgs. n. 546 citato).

In particolare, in Cassazione bisogna eccepire, ai sensi e per gli effetti dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. la violazione o falsa applicazione dell’art. 42, commi 1 e 3, D.P.R. n. 600/1973, art. 56, comma 1, D.P.R. n. 633 del 1972, ed art. 2697 del codice civile (per un’analisi e commento della giurisprudenza della Corte di Cassazione si rinvia alle lettere E) ed F) del presente articolo).

M) CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE.

Da tutto quanto sopra esposto ed eccepito, risulta evidente che gli atti sottoscritti (o le deleghe concesse) da uno dei dirigenti “illegittimi” a seguito della sentenza n. 37/2015 della Corte Costituzionale sono affetti da nullità assoluta (e non relativa) e, nella fattispecie, non è mai applicabile l’art. 156, commi 1 e 2, c.p.c. sia perché gli atti amministrativi impugnabili non sono “atti del processo” sia perché sono stati emanati a danno e non a vantaggio dei contribuenti (vedi  lett. C), n. 1, e lett. H) del presente articolo) e, soprattutto, mancano del requisito formale indispensabile per il raggiungimento dello scopo (art. 42, commi 1 e 3, D.P.R. n. 600 cit. e lettere D), E), F) ed I) del presente articolo), a meno che l’atto si sia reso definitivo per mancata impugnazione o a seguito di sentenza passata in giudicato.

La Corte di Cassazione, con l’importante sentenza n. 5924 del 21 aprile 2001, in merito agli artt. 156 e 160 c.p.c. ha correttamente precisato che tali articoli “operano esclusivamente  con riguardo agli atti del processo e non rispetto a quelli aventi contenuto sostanziale.

In particolare, poiché l’avviso di accertamento è atto non processuale, ma esplicativo della potestà impositiva dell’Amministrazione finanziaria, la relativa notificazione non attiene all’inizio di un procedimento giurisdizionale e non è possibile, conseguentemente, applicare ai vizi della notifica il regime delle sanatorie proprie degli atti processuali”.

Tali principi, tuttora applicabili, sono da condividere pienamente e tenere a conto nella presente questione:

–          in primo luogo, sotto un profilo letterale, perché l’art. 156 c.p.c. è dettato con riferimento ai soli atti del processo, mentre quelli impositivi delle Agenzie fiscali sono atti sostanziali, essi configurandosi quali atti recettivi che si perfezionano solo ed in quanto legittimamente portati a conoscenza dei loro destinatari nelle forme tassativamente prescritte dalla legge;

–          in secondo luogo, la sanatoria di cui all’art. 156 c.p.c. è indissolubilmente connessa allo scopo proprio dell’atto affetto dal vizio insanabile; senonchè, come correttamente rilevato dalla Corte di Cassazione con la succitata sentenza, non è possibile sostenere che la finalità assegnabile alla notifica dell’atto impositivo consista nel non consentire al destinatario dell’atto medesimo di esperire la tutela giurisdizionale nei suoi confronti. Talchè, la proposizione del ricorso, seppur tempestiva, non costituisce raggiungimento dello scopo dell’atto ed è, pertanto, priva di efficacia sanante;

–          da ultimo, se si verificasse siffatta efficacia sanante, l’alternativa in cui verrebbe a trovarsi il destinatario dell’atto impositivo sarebbe la seguente: o far divenire definitivo tale atto, omettendo di impugnarlo nel termine tassativo previsto dalla legge, oppure, esperire il ricorso, così precludendosi la possibilità di far valere i vizi che affliggono l’atto impugnato.

Orbene, una simile alternativa si lascia respingere da sola, perché condurrebbe, in definitiva, al risultato di confinare comunque nell’irrilevanza i vizi degli atti in questione.

Inoltre, a scanso di equivoci, è bene chiarire subito che nella presente questione non è assolutamente applicabile, secondo me, l’art. 21 octies, comma 2, della Legge n. 241/1990 citata (articolo inserito dall’art. 14 della Legge n. 15 dell’11 febbraio 2005), che testualmente dispone: “Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

La suddetta disposizione non è applicabile perché:

–          l’avviso di accertamento ed il ruolo non  hanno natura vincolata ma discrezionale, individuandosi con tali termini l’attività amministrativa della pretesa tributaria conseguente alla rideterminazione dell’imposta o dell’imponibile in misura diversa da quella rappresentata dal contribuente, nei casi ed alle condizioni previsti dalle singole leggi d’imposta;

–          non è detto che gli atti di cui sopra sarebbero stati firmati da un “vero” dirigente vincitore di concorso (art. 97, comma 3, della Costituzione).

A tal proposito, è utile riportare quanto opportunamente scritto dalla Corte Costituzionale nella più volte citata sentenza n. 37/2015:

“Le reiterate delibere di proroga del termine finale hanno di fatto consentito, negli anni, di utilizzare uno strumento pensato per situazioni peculiari quale metodo ordinario per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti.

Secondo la giurisprudenza, nell’ambito dell’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, l’illegittimità di questa modalità di copertura delle posizioni dirigenziali deriva dalla sua non riconducibilità né al modello dell’affidamento di mansioni superiori ad impiegati appartenenti ad un livello inferiore né all’istituto della cosiddetta reggenza” (vedi, anche, Corte Costituzionale, sentenza n. 17 del 2014 e Corte di Cassazione – Sezione lavoro – sentenze n. 8529 del 12/04/2006 e n. 7342 del 26/03/2010).

L’affidamento, la sostituzione e la reggenza sono, infatti,  istituti straordinari e temporanei consentiti nei casi ed alle condizioni tassativamente previsti dalla legge (Cassazione, Sezioni Unite civili, sentenze n. 4060 del 22/02/2010; n. 3814 del 16/02/2011 e n. 10413 del 14/05/2014), che le Agenzie fiscali hanno l’onere di dimostrare in caso di contestazione (art. 2697 del codice civile).

A tal proposito, secondo me, il contribuente ed il suo difensore non devono attivarsi con la Legge n. 241/1990 per conoscere i nomi dei soggetti coinvolti nell’assurda vicenda (oltretutto, molti siti già riportano gli elenchi).

Infatti, nel dubbio, il ricorrente deve sempre sollevare la relativa eccezione perché è onere delle Agenzie fiscali dimostrare il contrario (vedi lett. G del presente articolo).

Si ribadisce ancora una volta che questa eccezione deve essere sollevata per tutti gli atti (vedi lett. L, n. 1, del presente articolo) emanati dal 2012:

–          dall’Agenzia delle entrate (art. 62 D.Lgs. n. 300 del 30/07/1999);

–          dall’Agenzia delle dogane (art. 63 D.Lgs. n. 300 del 30/07/1999);

–          dall’Agenzia del territorio (art. 64 D.Lgs. n. 300 del 30/07/1999).

Ultimamente, è da segnalare l’interessante e condivisibile sentenza n. 3818 di marzo 2015 della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli (in Gazzetta del Mezzogiorno di domenica 05 aprile 2015, pag. 17), che ha dichiarato nullo l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate e sottoscritto da un delegato firmatario, se dall’atto non emergono né le funzioni attribuitegli né il periodo di efficacia della delega, non essendo ammissibile una delega a tempo indeterminato (art. 17, comma 1-bis, D.Lgs. n. 165/2001, più volte ciato).

Intanto, il Governo sta cercando una soluzione al delicato problema.

L’idea è quella di trovare un rimedio in due tempi.

Subito, un provvedimento per tamponare l’emergenza e poi una soluzione strutturale.

L’intervento immediato dovrebbe passare per lo strumento della c.d. “delega di funzioni”.

Un istituto già previsto dalla normativa vigente che permette ai dirigenti di affidare ad un proprio funzionario non solo la potestà di firma degli atti ma anche di trasferirgli una sua specifica funzione, senza però particolari indennità, come chiarito in precedenza.

La soluzione strutturale, invece, sarebbe quella di riaprire il concorso a 403 posti già banditi dall’Agenzia e sospeso dal Consiglio di Stato per l’eccessivo peso dato ai titoli professionali; titoli che, nelle nuove selezioni, non verrebbero valutati.

L’importante è che la nuova legge non sia un espediente per aggirare la sentenza della Corte Costituzionale e, soprattutto, non sia un “colpo di mano” per sanare, con effetti retroattivi, gli atti illegittimi firmati da non dirigenti.

Infatti, per quanto attiene al rispetto dei limiti che devono essere assegnati ad  un’interpretazione adeguatrice, “lo sconfinamento della stessa nel campo riservato al legislatore non può essere certamente rilevato dal giudice, potendo dar luogo soltanto ad un’ipotesi di conflitto, che può essere denunciato soltanto dagli organi dello stesso potere legislativo” (in tal senso, Cassazione, Sez. Unite, sentenza n. 22601 del 02/12/2004).

Speriamo che non si ripeta  la nota e triste vicenda delle cartelle esattoriali prive dell’indicazione del responsabile del procedimento, sanate se consegnate agli agenti della riscossione prima dell’01 giugno 2008, nonostante un precedente e critico intervento della Corte Costituzionale (art. 36, comma 4-ter, D.L. n. 248 del 31/12/2007, convertito dalla Legge n. 31 del 28/02/2008 e Circolare dell’Agenzia delle entrate n. 16/E del 06 marzo 2008), calpestando i principi dello Statuto dei diritti del contribuente (Legge n. 212 del 27 luglio 2000).

Infatti, in questa vicenda, il legislatore deve rispettare lo Statuto dei diritti del contribuente (purtroppo, spesso ignorato), e cioè:

–          le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo (art. 3, comma 1, Legge n. 212 cit.);

–          i rapporti tra contribuente e Amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede (art. 10, comma 1, Legge n. 212, cit.);

–          il Garante del contribuente rivolge raccomandazioni ai dirigenti degli uffici ai fini della tutela del contribuente e della migliore organizzazione dei servizi (art. 13, comma 7, Legge n. 212 cit.).

 

           AVV. MAURIZIO VILLANI

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