NORME DI RIFERIMENTO:
– Codice penale. Artt. 41, 42, 43, 357, 358, 359, 360.
– Testo unico in materia edilizia (D.P.R. 380/2001). Art. 44. Sanzioni penali
– Testo unico in materia edilizia (D.P.R. 380/2001). Art. 29. Responsabilità del titolare del permesso di costruire del committente, del costruttore e del direttore dei lavori, nonché anche del progettista per le opere subordinate a denuncia di inizio attività.
CRITERI DI INDIVIDUAZIONE E DI RESPONSABILITA’ DEI SOGGETTI ATTIVI DEL REATO
Ai fini dell’individuazione dei soggetti responsabili degli abusi edilizi di natura amministrativa e penale, la normativa vigente stabilisce all’art. 29 del T.U. in materia edilizia n. 185/2001, che il titolare del permesso di costruire, il committente e il costruttore sono responsabili della conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonché, unitamente al direttore dei lavori, a quelle del permesso e alle modalità esecutive stabilite dal medesimo.
Tale disposizione costituisce quasi una presunzione juris tantum, stabilendo a priori i soggetti tenuti a rispondere dell’abuso; ciò anche in ragione del fatto che la disciplina concerne reati di natura contravvenzionale e non delittuosa, punibili indistintamente a titolo di dolo o colpa.
I soggetti elencati nella suddetta norma sono tenuti al pagamento delle sanzioni pecuniarie e, solidalmente, alle spese per l’esecuzione in caso di demolizione delle opere abusivamente realizzate, sempre fatto salvo che dimostrino di non essersi resi responsabili dell’illecito. Costoro, per espressa previsione legislativa, non possono dismettere il ruolo di garanti della legalità né possono avvalersi di assunzioni di responsabilità da parte di terzi. Si tratta di una sorta di “responsabilità di posizione” dovendo, il soggetto che riveste una specifica qualifica, preoccuparsi in prima persona del rispetto della normativa urbanistico/edilizia.
Tuttavia, questa “responsabilità di posizione” legislativamente prevista non trasforma gli illeciti edilizi in reati propri, in quanto “I reati in materia edilizia contemplati dall’art. 44, lett. b) e c) del D.P.R. n. 380 del 2001 (T. U. edilizia) devono essere qualificati come reati comuni e non come ipotesi incriminatrici a soggettività ristretta, salvo che per i fatti commessi dal direttore dei lavori o per la fattispecie di inottemperanza all’ordine di sospensione dei lavori impartito dall’autorità amministrativa. Il bene tutelato da dette norme incriminatrici, ovvero la salvaguardia degli usi pubblici e sociali del territorio, può essere, dunque, indifferentemente offeso da chiunque si renda autore di attività determinanti trasformazioni urbanistiche ed edilizie territoriali e non soltanto da quei determinati soggetti che si trovino in possesso delle particolari qualità soggettive indicate dall’art. 29 del testo unico in materia edilizia (D.P.R. n. 380 del 2001)”[1].
In ragione di quanto argomentato, si rende necessario definire con maggiore precisione ognuna delle singole qualifiche soggettive.
Innanzitutto, per esecutore dei lavori deve intendersi, non solo il soggetto incaricato dell’edificazione delle opere principali, ma anche quello che si limiti a svolgere lavori di completamento dell’immobile (quali la pavimentazione, l’intonacatura, gli infissi, ecc…), sempre che sia ravvisabile un profilo di colpa collegato alla mancata conoscenza del carattere abusivo dei lavori[2].
Posizione particolare assume il proprietario dell’immobile abusivo. Per l’irrogazione delle sanzioni penali (previste all’art. 44 D.P.R. 380/2001) occorre, in ogni caso, dimostrare l’apporto causale del soggetto alla verificazione dell’illecito; la sanzione amministrativa, invece, non è ancorata a tale presupposto, e potrà essere sanzionato anche il —nuovo— proprietario assolutamente estraneo alla generazione dell’abuso. Se fosse diversamente, sarebbe sufficiente alienare l’immobile abusivo a soggetto terzo estraneo, non a conoscenza della violazione, per “sanare” l’opera in quanto tale. Va da sé, che il nuovo proprietario che subisce la sanzione e che si vedrà costretto ad abbattere l’opera abusiva acquisita o a dover pagare una sanzione pecuniaria, potrà legittimamente rivalersi nei confronti del proprio dante causa.
Relativamente alla posizione del committente è necessario solamente specificare che costui risponde dell’illecito penale previsto dall’art. 44, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 ove non vigili sull’osservanza, da parte dell’esecutore, della normativa edilizia, in quanto questi è titolare di una specifica posizione di garanzia derivante dalla predetta normativa. (In motivazione la Corte ha precisato che la responsabilità del committente trova fondamento proprio nell’omissione di vigilanza cui questi è tenuto, in considerazione del fatto che l’opera soddisfa un suo preciso interesse)[3].
Diversa dalle precedenti è la posizione che assume il direttore dei lavori, il quale è tenuto esclusivamente al rispetto delle prescrizioni previste dal permesso di costruire, ma non sarà responsabile di violazioni relative ad altri aspetti dell’edificazione dell’opera.
Il direttore dei lavori viene definito ex lege come il soggetto che viene incaricato dal committente di controllare che l’opera venga eseguita secondo la regola dell’arte ed in conformità a quanto previsto in fase progettuale e contrattuale. Nelle opere pubbliche tale compito è svolto dalla “Direzione dei lavori”, organo dell’amministrazione aggiudicatrice dei lavori.
Il direttore dei lavori deve limitarsi a verificare che sussista un valido permesso di costruire e che lo stesso, e le modalità esecutive in esso indicate, vengano rispettate. Infatti “il direttore dei lavori ha una posizione di garanzia in merito alla regolare esecuzione dei lavori ed ha, pertanto, l’obbligo di esercitare un’attiva vigilanza sulle opere realizzate, per cui – esclusi i casi in cui abbia puntualmente svolto l’attività prevista dal II comma dell’art. 29 D.P.R. 380/2001 (T.U. Edilizia) – è responsabile anche delle violazioni edilizie commesse in sua assenza, in quanto questi deve sovrintendere con continuità alle opere della cui esecuzione ha assunto la responsabilità tecnica”[4].
Nella seconda parte del co. II dell’art. 29 L. 308/2001, è prevista una speciale clausola di esclusione della punibilità per il direttore dei lavori. Nei casi in cui questi dovesse accorgersi di un abuso, ha la possibilità di “dissociarsi” dall’operato degli altri soggetti; in questi casi, prevede la norma, egli non sarà responsabile qualora si attivi, contestando agli altri soggetti le violazioni delle prescrizioni del permesso di costruire e contemporaneamente fornendo al responsabile del competente ufficio comunale una motivata comunicazione circa la violazione riscontrata. Infatti, nei casi di totale difformità o di variazione essenziale rispetto al permesso di costruire, il direttore dei lavori deve rinunziare all’incarico contestualmente alla comunicazione resa al dirigente. Diversamente, il dirigente è tenuto a segnalare al consiglio dell’ordine professionale cui appartiene il direttore dei lavori la violazione in cui è incorso, ed il consiglio dell’ordine potrà attivare una procedura disciplinare con la sanzione della sospensione dall’albo. Sul punto la giurisprudenza ha sempre sostenuto che “il direttore dei lavori è penalmente responsabile per l’attività edificatoria non conforme alle prescrizioni del permesso di costruire, avendo egli l’obbligo di sovrintendere con necessaria continuità a quelle opere della cui esecuzione ha assunto la responsabilità tecnica. In proposto, l’articolo 29, comma 2, del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 esonera il professionista da tale responsabilità solo qualora egli: 1) abbia contestato al titolare del permesso di costruire, al committente e al costruttore la violazione delle prescrizioni del provvedimento amministrativo; 2) abbia fornito contemporaneamente all’amministrazione comunale motivata comunicazione della violazione stessa; 3) abbia altresì, nelle ipotesi di totale difformità o di variazione essenziale, rinunciato all’incarico. Il recesso tempestivo dalla direzione dei lavori, in ogni caso, deve ritenersi pienamente scriminante per il professionista e la “tempestività” ricorre quando il recesso intervenga non appena l’illecito edilizio obiettivamente si profili, ovvero appena il direttore dei lavori abbia avuto conoscenza che le corrette direttive da lui impartite siano state disattese o violate”.[5]
[1] Così App. Cagliari Sez. II, 18/06/2012.
[2] Cass. pen., sez. III, sent. 12.11.2008, n. 48025.
[3] Cass. pen. Sez. III, sent. 24/11/2011, n. 47434
[4] T.A.R. Abruzzo Pescara Sez. I, 04/06/2012, n. 247.
[5] ex multis Cass. pen. Sez. III, 10/05/2005, n. 34376.
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