Il valore dell’accordo antecedente alla stipulazione del contratto preliminare (C. Cass., Sez. Unite, Sent., 06/03/2015, n. 4628).

Patti Giovanni 15/05/15

Le nuove tecniche commerciali di vendita sviluppatesi negli ultimi anni hanno comportato una notevole proliferazione di contratti atipici, la cui conformità ai precetti legislativi (si pensi all’interesse, alla causa, alla liceità) deve essere di caso in caso appurata.

Talvolta, inoltre, non è infrequente che si riscontri una flebile linea di demarcazione tra contratto, propriamente detto, e mere trattative convergenti in una puntuazione non vincolante per le parti.

Da ciò derivano molteplici fattispecie di intesa che soggiacciono a differenti discipline normative che possono rivelarsi più o meno gravose per la parte che intende sottrarsi ingiustificatamente alle trattative o si mostra inadempiente rispetto agli obblighi assunti con l’accordo.

Nel caso di specie, come si avrà modo di constatare, una particolare importanza è rivestita dalle prassi commerciali emerse nell’ambito delle compravendite immobiliari. Un evento, quello dell’acquisto o della vendita di un immobile, che prima o poi involge tutti i contesti familiari e che, pertanto, merita notevole attenzione relativamente alla tutela degli interessi economici delle parti in gioco.

L’attuale iter procedimentale seguito dalle società di intermediazione immobiliare si compone essenzialmente di tre fasi connesse e consequenziali che consistono rispettivamente in una iniziale proposta irrevocabile di acquisto ad un determinato prezzo, nella successiva stipula di un contratto preliminare di vendita con contestuale versamento di una caparra confirmatoria e, infine, la sottoscrizione del rogito notarile come contratto definitivo che chiude la compravendita.

Orbene, il punctum dolens  della questione è rappresentato dalla discordanza che si rinviene tra il sopraindicato percorso consuetudinario, costituito da tre momenti, e quanto stabilito dal legislatore che ha previsto una fase preliminare ed una seguente fase definitiva.

E’, allora, di una certa importanza addivenire ad un inquadramento normativo della fase iniziale delle trattative, contemplata dalla prassi commerciale,  per definire quali siano le conseguenze di un eventuale comportamento perpetrato da una delle parti, violativo di quanto stabilito, con riguardo particolare riguardo agli eventuali profili risarcitori emergenti.

Sul tema, la cospicua casistica giurisprudenziale degli ultimi anni ha permesso di approfondire a dovere le questioni sottese alla discpilina del c.d. preliminare di preliminare ma che, tuttavia, non ha consentito di approdare ad una posizione univocamente condivisa.

In un contesto così tratteggiato trova il suo spazio la sentenza delle Sezioni Unite in commento che sembra assurgere ad una sorta di vademecum procedurale, in grado di coadiuvare il giudice nell’analisi della controversia di cui è interessato.

Tuttavia, la compiuta analisi degli orientamenti giurisprudenziali e dottrinali involgenti la fattispecie del preliminare di preliminare non può prescindere dalla succinta esposizione dei tratti fondamentali caratterizzanti l’istituto del contratto preliminare.

Tale forma di contratto è collocata dal legislatore all’art. 1351 c.c., il quale dispone che “il contratto preliminare è nullo, se non è fatto nella stessa forma che la legge prescrive per il contratto definitivo”. Il preliminare, dunque, obbliga le parti a concludere, in un secondo momento, un contratto necessariamente definitivo il cui contenuto essenziale è già fissato nel preliminare.

La ragione funzionale di questa tipologia di contratto è quella di rinviare la regolamentazione finale del rapporto, al fine di regolarizzare, integrare o modificare taluni aspetti dell’affare necessitanti di ulteriore approfondimento o verifica. In ogni caso sarà solo il contratto definitivo a regolare i rapporti obbligazionari tra le parti poiché il preliminare determina solo l’obbligo reciproco alla stipulazione del definivo, come si evince dalla lettera dell’art. 1351 c.c. .

Con esplicito riferimento agli immobili, l’art. 3 del D. L. n. 669 del 1996, convertito in Legge n. 30 del 1997, ha introdotto l’art. 2645-bis c.c. che sancisce la trascrivibilità del contratto preliminare avente ad oggetto beni immobili. Con tale previsione il legislatore ha voluto garantire una più solida tutela al promissario acquirente, tutelandolo da possibili rivendicazioni di terzi.

Nonostante, come detto, sia il definitivo a regolare i rapporti tra le parti, già il preliminare comporta l’assunzione di obblighi giuridici per stesse, cui il legislatore non ha mancato di apprestare forme di tutela.

In particolare, in caso di inadempimento del contratto preliminare, la parte non inadempiente può chiedere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di concludere il contratto ex art. 2932 c.c.. Detta previsione normativa consente, infatti, di conseguire ugualmente, per sentenza, gli effetti del definitivo non concluso.

Affianco all’esecuzione in forma specifica devono anche annoverarsi altre forme di tutela tipiche dell’ambito contrattuale quali la risoluzione del contratto e il risarcimento dei danni subiti o, alternativamente, il recesso dal contratto e il trattenimento della caparra confirmatoria ricevuta al momento della conclusione del preliminare.

Di non secondaria importanza è anche l’opera ermeneutica della dottrina che si occupata di discernere la figura del contratto preliminare da quelle di altri istituti affini quali, in particolare, il patto di opzione, il patto di prelazione e il patto di contrarre con il terzo.

Il primo, al pari del contratto preliminare, rappresenta una sorta di contratto preparatorio, tuttavia la sostanziale differenza inerisce alla produzione degli effetti definitivi che, mentre nel patto di opzione è incerta poiché dipendente dalla volontà della parte opzionaria, titolare di una libertà di scelta, nel contratto preliminare la produzione degli effetti è certa, anche per gli effetti dell’art. 2923 c.c. .

Relativamente al patto di prelazione, questo ha lo scopo essenziale di impedire che il promittente concluda il contratto con un terzo anziché con il beneficiario del patto. La prelazione, dunque, attiene al momento della scelta del contraente, piuttosto che alla conclusione del contratto (in tal senso anche C. Cass. n. 3127 del 2012).

Allo stesso modo, il patto di contrarre con il terzo non si ingerisce nella definizione degli interessi del futuro contratto ma ha riguardo alla volontà manifestata a un soggetto diverso dal terzo con cui si dovrà in futuro contrarre.

Ciò detto, è opportuno passare in rassegna i diversi orientamenti che nel corso degli anni hanno investito la figura del pre-preliminare.

La prima opzione interpretativa da cui è opportuno partire è quella che si ancora fortemente al dato normativo che disciplina esclusivamente due forme contrattuali, la preliminare e la definitiva e che, di conseguenza, considera l’accordo antecedente al preliminare affetto da nullità per mancanza della funzione economica meritevole di tutela, ossia della causa concreta.

Questo orientamento ha trovato avallo presso le Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 8038 del 2009, le quali hanno paventato che “il contratto in virtù del quale le parti si obblighino a stipulare un successivo contratto ad effetti obbligatori è nullo per difetto di causa, non essendo meritevole di tutela l’interesse di obbligarsi, in quanto produttivo di una inutile complicazione”. In altre parole si fa leva sul divieto del bis in idem quale fonte di duplicazione contrattuale, priva di valido interesse meritevole agli occhi dell’ordinamento.

All’orientamento giurisprudenziale negativo testè citato se ne contrappongono altri che si schierano a favore della validità del preliminare di preliminare.

Alcuni richiamano, a sostegno della propria tesi possibilista, il principio dell’autonomia negoziale in virtù del quale le parti possono liberamente disporre una scansione in più momenti dell’iter progressivo per il raggiungimento dell’accordo definitivo, allorquando ciò sia ritenuto necessario dalle stesse per il compiuto regolamento di interessi (in tal senso Trib. Napoli 28 febbraio 1995).

Altri, invece, hanno ravvisato direttamente la natura di contratto preliminare nell’atto antecedente a quest’ultimo poiché già completo degli elementi sufficienti a ricondurlo nella fattispecie dell’art. 1351 c.c., con applicazione della relativa disciplina.

Nel quadro ermeneutico sopra evidenziato si inserisce la recente, innovativa, pronuncia delle Sezioni Unite n. 4628 del 6 marzo 2015 il cui percorso logico-interpretativo giunge a conclusioni parzialmente diverse dalla precedente riferita decisione n. 8038 del 2009.

Le Sezioni Unite postulano che la possibilità per le parti di prevedere una iniziale forma di intesa antecedente alla stipula del contratto preliminare non deve essere aprioristicamente guardata con sfavore. Questa evenienza, difatti, può ben rispondere a diverse esigenze, di non secondaria rilevanza, quali, ad esempio, l’acquisizione di specifici e ulteriori elementi di conoscenza sulla persona della controparte oppure una verifica più precisa dello stato della cosa.

La scissione della fase preliminare in due momenti consente, pertanto, alle parti di fermare l’affare prima che il vincolo si cristallizzi in modo irreversibile, salvo sopportarne le gravose conseguenze sotto il profilo dello scioglimento ingiustificato del vincolo.

Ne discende, che la giustificazione del preliminare di preliminare non può che ravvisarsi nella sua causa concreta, per tale intendendosi “lo scopo pratico del negozio…sintesi degli interessi che lo stesso è concretamente diretto a realizzare quale funzione individuale della singola e specifica negoziazione, al di là del modello astratto utilizzato” (C. Cass. n. 10490 del 2006). Tale assunto segna il passaggio dalla teorica della funzione economico-sociale del contratto alla ragione pratica dello stesso, ossia l’analisi dell’interesse concretamente perseguito dalle parti.

Interpretando, dunque, l’intesa antecedente al preliminare, sulla scorta di quanto appena detto in ordine alla causa concreta, possono paventarsi tre considerazioni.

Innanzitutto, laddove il pre-preliminare contenga elementi essenziali e specifici del vero e proprio contratto preliminare ex art. 1351 c.c., ivi compreso l’obbligo alla stipula del contratto definitivo, pena l’esecuzione in forma specifica prevista dall’art. 2932 c.c., non sarà l’accordo antecedente a soccombere per nullità quanto piuttosto il successivo preliminare. Detta conclusione, che capovolge l’opinione fino ad ora dominante, si fonda su due ordini di ragioni. La prima è che la stipula di un contratto preliminare successiva ad altro accordo precedente che ne ricalchi fedelmente il contenuto rappresenta una mera inutile duplicazione. In questo caso si appalesa, senza dubbio, più conveniente mantenere in vita la prima determinazione che assumerà la natura di vero e proprio preliminare ex art. 1351 c.c. . La seconda motivazione è collegata all’obbligo di stipulare il definito, contenuta nel pre-preliminare, che verrebbe travolta nel casi in cui quest’ultimo fosse dichiarato nullo, ledendo l’aspirazione della parte che aveva interesse alla stipula.

Qualora, invece, le parti abbiano iniziato solo a discutere, informalmente, della possibilità di intavolare una trattativa, senza addivenire alla fissazione di un vincolo, la natura dell’intesa sarà quella di una mera puntuazione.

Da quest’ultima ipotesi, differisce ulteriormente il caso in cui le parti concludano una puntuazione vincolante, ossia un accordo che fissi alcuni elementi essenziali del futuro contratto preliminare ma che già possono considerarsi vincolanti nel percorso di avvicinamento al contratto definitivo.

Ciò che preme sottolineare è che nell’ultima ipotesi, proprio in virtù della parziale definizione del regolamento contrattuale, una eventuale violazione di quanto stabilito sarebbe fonte di “responsabilità contrattuale da inadempimento di un’obbligazione specifica sorta nel corso della formazione del contratto, riconducibile alla terza delle categorie considerate nell’art. 1173 c.c.”.

Alla luce delle riferite considerazioni le Sezioni Unite hanno proclamato il seguente principio di diritto: “in presenza di contrattazione preliminare relativa a compravendita immobiliare che sia scandita in due fasi, con la previsione di stipula di un contratto preliminare successiva alla conclusione di un primo accordo, il giudice di merito deve preliminarmente verificare se tale accordo costituisca già esso stesso contratto preliminare valido e suscettibile di conseguire effetti ex art. 1351 e 2932 c.c., ovvero anche soltanto effetti obbligatori ma con esclusione dell’esecuzione in forma specifica in caso di inadempimento.

Riterrà produttivo di effetti l’accordo denominato come preliminare con il quale i contraenti si obblighino alla successiva stipula di un altro contratto preliminare, soltanto qualora emerga la configurabilità dell’interesse delle parti a una formazione progressiva del contratto basata sulla differenziazione dei contenuti negoziali e sia identificabile la più ristretta area del regolamento di interessi coperta dal vincolo negoziale originato dal primo preliminare.

La violazione di tale accordo, in quanto contraria a buona fede, potrà dar luogo a responsabilità per la mancata conclusione del contratto stipulando, da qualificarsi di natura contrattuale per la rottura del rapporto obbligatorio assunto nella fase precontrattuale”.

Ne consegue, con riguardo al caso di specie, che la Corte di Appello di Napoli, cui è rinviata la decisione a seguito dell’intervenuta cassazione, dovrà inizialmente valutare se l’accordo pre-preliminare fosse già in possesso delle caratteristiche di un contratto preliminare, anche solo in riferimento agli effetti obbligatori. A fronte di una riscontro negativo, dovrà, invece, verificare la sussistenza di una causa concreta sottesa al primo preliminare, atta a giustificare l’interesse delle parti verso una realizzazione frazionata e graduale dell’accordo. Causa concreta che potrebbe ravvisarsi nel preventivo ottenimento del consenso alla cancellazione parziale dell’ipoteca da parte dell’istituto bancario.

Patti Giovanni

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