L’art. 204 bis del Codice della Strada, come modificato dal D. Lgs n. 150/2011, prevede che per l’opposizione del verbale con cui viene irrogata una sanzione per violazione delle norme in materia di CDS, il trasgressore e gli altri soggetti indicati nell’art. 196 (gli obbligati in solido), qualora non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta nei casi in cui è consentito, possono proporre opposizione davanti all’Autorità Giudiziaria Ordinaria.
La competenza è del Giudice di Pace, come espressamente stabilito dall’art. 7 comma 2 del D. Lgs n. 150/2011.
Il suddetto articolo, nel primo comma, prevede inoltre che le controversie in materia di opposizione al verbale di accertamento di violazione del Codice della Strada di cui all’articolo 204-bis del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, sono regolate dal rito del lavoro, ove non diversamente stabilito dal presente articolo.
Il ricorso deve essere proposto entro trenta giorni dalla data di contestazione della violazione o di notificazione del verbale di accertamento, ovvero sessanta giorni se il ricorrente risiede all’estero e può essere depositato anche a mezzo del servizio postale (art. 7 comma 3).
Il successivo comma 7 prevede che con il decreto di cui all’art. 415 c.p.c. il Giudice ordina all’autorità che ha emesso il provvedimento impugnato di depositare in cancelleria, dieci giorni prima dell’udienza fissata, copia del rapporto con gli atti relativi all’accertamento, nonché alla contestazione o notificazione della violazione. Il ricorso e il decreto sono notificati, a cura della cancelleria, all’opponente e ai soggetti di cui al comma 5 (i legittimati passivi).
Negli altri commi dell’art. 7 vengono disciplinate ulteriori peculiarità rispetto al procedimento dettato dal codice di rito per le controversie in materia di lavoro che vanno a costituire quelle eccezioni richiamate proprio dal comma 1 del suddetto articolo.
Dunque, la normativa applicabile al procedimento in questione, salvo le eccezioni previste dallo stesso articolo 7, è quella dettata dagli artt. 409 e ss. c.p.c., ovvero il rito del lavoro.
In base alla nuova normativa, la costituzione dell’Amministrazione convenuta è soggetta al regime dell’art. 416 c.p.c. secondo cui il convenuto, nella memoria di costituzione, deve prendere posizione in maniera precisa e non limitata ad una generica contestazione, circa i fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda, proporre tutte le sue difese in fatto e in diritto ed indicare specificamente, a pena di decadenza, i mezzi di prova dei quali intende avvalersi ed in particolare i documenti che deve contestualmente depositare.
L’applicabilità dell’art. 416 c.p.c., oltre che dall’art. 7, comma 1, è confermata anche dall’art. 2 del D. Lgs n. 150/2011 che espressamente non ne esclude l’applicazione.
Il suddetto art. 416 c.p.c. non è peraltro modificato da alcuna disposizione dell’art. 7 D. Lgs n. 150/2011 e quindi deve ritenersi pienamente operante anche nei confronti dell’Amministrazione che non si costituisce in giudizio o che si costituisce tardivamente o che costituendosi tempestivamente non indichi, nella memoria di costituzione, i mezzi di prova o non depositi contestualmente la documentazione della quale intenda avvalersi.
La sanzione a carico del convenuto, nei suddetti casi, è la decadenza, non potendosi nemmeno ritenere sussistente un potere istruttorio del Giudice ex art. 421 c.p.c. volto a supplire ad una mancanza imputabile alla parte. Peraltro, lo stesso articolo 2 del D. Lgs n. 150/2011, al comma 4, prevede espressamente che, salvo che sia diversamente disposto, i poteri previsti dall’art. 421 secondo comma c.p.c. non vengano esercitati al di fuori dei limiti previsti dal codice civile.
Sulla questione è intervenuta anche la Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 16781 del 29/07/2011, ha stabilito che “…l’omessa indicazione dei documenti probatori nell’atto di costituzione in giudizio, imposta dall’art. 416, comma 3, c.p.c., e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto determinano la decadenza dal diritto di produrli, salvo che i documenti si siano formati successivamente ovvero la loro produzione sia giustificata dallo sviluppo del processo (art. 20 comma 5 c.p.c.).”
Anche il Ministero del Lavoro, con la Circolare n. 28 del 2 novembre 2011 ha chiarito che per l’Amministrazione convenuta operano le preclusioni previste dall’art. 416 c.p.c..
Proprio in caso di mancata costituzione in giudizio dell’Amministrazione convenuta, caso per la verità molto frequente nella prassi, spesso succede che la documentazione richiesta dal Giudice (quella relativa all’accertamento della violazione) venga depositata tardivamente in Cancelleria.
In questo caso, si tratta di stabilire quale possa essere la conseguenza del deposito effettuato oltre il termine di dieci giorni.
A parere di chi scrive, nessuna.
Il deposito tardivo non comporterebbe, a ben vedere, alcuna decadenza in capo all’Amministrazione, che farebbe sempre in tempo a produrla, magari sollecitata anche da un ulteriore ordine del giudice.
A tal proposito è fondamentale chiarire che il termine di 10 giorni per la costituzione in giudizio dell’Amministrazione convenuta (dettato dall’art. 416 c.p.c.), di natura perentoria, va distinto dal termine di 10 giorni stabilito dall’art. 7 co. 7 D. Lgs n. 150/2011, di natura ordinatoria.
Ed invero, il termine di cui all’art. 7 co. 7 D. Lgs n. 150/2011 deriva dall’art. 23 della Legge 689/1981 oggi abrogato, il quale prevedeva al comma 2 quello che oggi è stato sostanzialmente trasfuso nell’art. 7 comma 7 del D. Lgs n. 150/2011, ovvero che “il Giudice ordina all’Autorità che ha emesso il provvedimento impugnato di depositare in cancelleria, dieci giorni prima dell’udienza fissata, copia del rapporto con gli atti relativi all’accertamento, nonché alla contestazione o notificazione della violazione”.
In vigenza della precedente normativa, sulla natura dell’ordinanza del Giudice si era pronunciata la Corte di Cassazione (ex multis..Cass. Civ., Sez. I, 20 Gennaio 2005, n. 1226) argomentando che il mancato rispetto del termine (di natura non perentoria) non fosse idoneo a determinare preclusioni, con la conseguenza che la documentazione potesse essere prodotta nel corso del giudizio, assolvendo tardivamente all’ordine del Giudice e fino all’udienza di precisazione delle conclusioni.
Del resto, è la semplice formulazione letterale della norma che tenderebbe a far escludere che l’art. 7 co. 7 D . Lgs n.150/2011 possa prevedere un termine perentorio, essendo questi ultimi normalmente previsti dalla legge, in base ai principi generali.
I due termini vanno dunque tenuti distinti, discendendo l’uno dall’art. 7 co. 7 del D. Lgs 150/2011 (di natura ordinatoria) e l’atro dall’art. 416 c.p.c. (di natura perentoria).
Si può concludere pertanto che tutta la documentazione relativa all’accertamento della violazione possa essere ammessa anche tardivamente dal Giudice, viceversa tutta l’eventuale documentazione successiva, che rientrerebbe nell’onere del convenuto produrre tempestivamente entro il termine stabilito dall’art. 416 c.p.c., potrebbe essere contestata in quanto l’Amministrazione convenuta sarebbe certamente decaduta da tale produzione.
Sul punto si segnala, infine, una recentissima sentenza del Giudice di Pace di Napoli (sentenza n. 1173/2015) che giunge ad una conclusione diametralmente opposta nel considerare il termine di cui all’art. 6 co. 8 D. Lgs 150/11 (norma identica a quella dettata dal successivo art. 7 co. 7 in materia di opposizione al verbale di accertamento di violazione del codice della strada) di natura perentoria.
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