La giurisprudenza e la legislazione più recente restringono in misura assai significativa i margini entro cui possono essere effettuate le progressioni verticali, che diventano perciò un istituto che può essere utilizzato esclusivamente entro ambiti assai ristretti e mai con procedure interamente riservate, ma esclusivamente come concorso pubblico con riserva. Tali margini non possono essere estesi al punto da consentire riserve per tutti i posti messi a concorso, anche se ciò avviene nella forma della sanatoria. Ed ancora non si può arrivare alla utilizzazione degli esiti di precedenti prove di progressione verticale.
E’ questa una scelta che si può dire essere compiuta in modo assai netto da parte del legislatore e su cui la giurisprudenza della Corte Costituzionale interviene a sostegno, anzi si deve ritenere che in buona misura alla base delle scelte restrittive compiute dalla legislazione vi sia la necessità di uniformarsi ai principi dettati dalla Consulta, che interpreta da senso in modo assai rigido il principio di cui all’articolo 97 della Costituzione, per il quale ai posti pubblici si accede per concorso pubblico.
La legge cd Brunetta, DLgs n. 150/2009, stabilisce che le progressioni verticali possono essere effettuate esclusivamente sotto forma di riserva, non superiore al 50%, nell’ambito dei concorsi pubblici. Tale disposizione vieta, quindi, la possibilità di bandire concorsi esclusivamente riservati al personale interno.
La stessa disposizione impone inoltre il possesso dello stesso titolo di studio previsto per l’accesso dall’esterno. Le amministrazioni possono prevedere, come titolo preferenziale, la valorizzazione della valutazione positiva intervenuta per almeno un triennio.
Si deve infine ricordare che il DL n. 78/2010, con una disposizione della cui legittimità costituzionale molti dubitano, stabilisce che le progressioni verticali effettuate nel triennio 2011/2013 producono in tale arco temporale esclusivamente effetti di tipo giuridico, mentre non producono conseguenze di tipo economico.
2. La sentenza del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato, con la sentenza in rassegna, ha precisato che alla stregua della giurisprudenza costituzionale ( sentenze n. 227 del 2013, n. 90 e n. 62 del 2012, n. 310 e n. 299 del 2011) deve ritenersi che il concorso pubblico costituisca la modalità ordinaria di accesso nei ruoli delle pubbliche amministrazioni, in coerenza con i principi costituzionali di uguaglianza ( art. 3) ed i canoni di imparzialità e di buon andamento (art. 97) e che pertanto i concorsi interni sono da considerare come eccezione al principio dell’ammissione in servizio per il tramite del pubblico concorso.
In tal senso anche la facoltà del legislatore di introdurre deroghe al predetto principio deve essere delimitata in senso rigoroso, potendo tali deroghe considerarsi legittime soltanto allorquando sano funzionali al buon andamento dell’amministrazione e ricorrano altresì peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle.
E’ stato precisato inoltre che al principio del concorso pubblico deve riconoscersi un ambito di applicazione ampio, tale da non includere soltanto le ipotesi di assunzioni di soggetti precedentemente estranei alle pubbliche amministrazioni, ma anche i casi di nuovo inquadramento di dipendenti già in servizio e quelli di trasformazione di rapporti non di ruolo, e non istaurati ab origine mediante concorso, in rapporti di ruolo.
In particolare detto principio si applica anche ai concorsi interni, potendosi ammettere una selezione concorsuale riservata solo in quanto i criteri utilizzati siano effettivamente compatibili con il consolidamento dell’esperienza maturata all’interno della stessa pubblica amministrazione.
Sono illegittimi i decreti dirigenziali con i quali una regione ( nella specie si trattava della regione Calabria) ha indetto delle progressioni verticali ( nella specie per l’accesso a 186 posti di categoria D3 e a 799 posti di categoria D1),tutte interamente riservate al personale già dipendente dell’ente, che non recano alcuna motivazione delle ragioni, di interesse pubblico, che giustificano il ricorso ad una procedura interamente riservata per la copertura di posti vacanti, in deroga al principio del necessario concorso pubblico per l’accesso a posti di pubblico impiego.
I bandi di procedure riservate per progressioni verticali che sottraggono alcuni posti al principio del pubblico concorso, senza alcuna motivazione delle ragioni di tale deroga, in violazione del principio di imparzialità e buon andamento ( ex art. 97 della Costituzione), creando altresì una ingiustificata posizione di privilegio per il personale già dipendente ( in violazione dell’art. 97 Cost.), possono essere impugnati da un soggetto che, pur non essendo dipendente della P.A., è in possesso del titolo di studio necessario per ricoprire detti posti.
3. Alcune riflessioni finali sulle progressioni verticali
Dalla sentenza del Consiglio di Stato n. 4139 del 07/09/2015 si può ricavare il principio generale- ora riferibile più propriamente all’applicazione dell’art. 24 del D.Lgs n. 150/2009 ( riserva agli interni nelle procedure concorsuali) – che ogni forma di reclutamento deve essere condotta nel rispetto assoluto del sistema di legalità, pena la responsabilità patrimoniale per tutti i soggetti dell’amministrazione che hanno partecipato attivamente alla commissione degli illeciti.
Nel caso esaminato le progressioni verticali erano state interamente riservate al personale già dipendente dell’ente e non rispettose del principio di adeguato accesso dall’esterno
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento