Il Consiglio di Stato con Sent. 30 giugno 2015, n. 3249 si pronuncia in materia risarcimento del danno da perdita di chance derivante dalla mancata partecipazione a procedure di gara indette per l’aggiudicazione di appalti pubblici, ribadendo alcuni principi affinati nel tempo dalla sua giurisprudenza.
In particolare, il danno da perdita di chance è da intendersi, in linea di principio, quale lesione della possibilità di conseguire il bene della vita, possibilità che non deve figurarsi quale che mera aspettativa di fatto, ma entità patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di autonoma valutazione.
La sentenza in esame, dove aver delineato la definizione astratta e concreta del danno da perdita di chance, si concentra sulla effettiva possibilità di conseguire il bene della vita, rilevando come, superata la teoria ‘ontologica’ secondo cui la risarcibilità sarebbe svincolata dalla idoneità presuntiva della chance ad ottenere il risultato finale, si sia affermato il diverso indirizzo c.d. eziologico, legato al criterio della c.d. causalità adeguata o ‘regolarità causale’ o ‘probabilità prevalente.
Il danno da perdita di chance può, quindi, essere in concreto ravvisato e risarcito (ove ne ricorrano i presupposti anche in via equitativa), solo con specifico riguardo al grado di probabilità che in concreto il richiedente avrebbe avuto di conseguire il bene della vita e, cioè, in ragione della maggiore o minore probabilità dell’occasione perduta.
Seguendo questa linea di pensiero e ribadendo argomentazioni pregresse, il Consiglio di Stato, ha precisato che il ricorrente ha l’onere di provare gli elementi atti a dimostrare, pur se solo in modo presuntivo e basato sul calcolo delle probabilità, la possibilità concreta che egli avrebbe avuto di conseguire il risultato sperato, atteso che la valutazione equitativa del danno, ai sensi dell’articolo 1226 del codice civile, presuppone che risulti comprovata l’esistenza di un danno risarcibile; in particolare, la lesione della possibilità concreta di ottenere un risultato favorevole presuppone che sussista una probabilità di successo (nella specie di vedersi aggiudicato l’appalto) almeno pari al 50 per cento, poiché, diversamente, diventerebbero risarcibili anche mere possibilità di successo, statisticamente non significative.
La sentenza in esame, postula il proprio orientamento su un recente intervento, la VI sezione del Consiglio di Stato si è soffermata sui rapporti intercorrenti tra perdita di chance e lesione dell’interesse pretensivo, procedendo ad un’analisi ricognitiva della rilevanza della chance nei rapporti tra potere pubblico e privati.
La pronuncia in oggetto muove dalla enunciazione delle tesi dottrinali sussistenti in tema di chance, dando conto sia della teoria c.d. eziologica (la chance come lucro cessante), sia di quella c.d. ontologica (la chance come danno emergente), ma compie un passo ulteriore: evidenzia, infatti, come “la contrapposizione tra le due posizioni giurisprudenziali e dottrinali … deriv(i) esclusivamente da una visione parziale della fattispecie risarcitoria in esame, che contrappone erroneamente, come blocchi distinti e reciprocamente incompatibili, i vari elementi costitutivi del danno da perdita di chance”. Occorre, pertanto, procedere ad un’attività esegetica che, dopo aver individuato gli elementi costitutivi della fattispecie in parola, li riduca ad unità, in modo da determinare una ricostruzione ontologica complessiva, uniforme e coerente.
Ove si configuri la chance quale mera possibilità di ottenere un risultato favorevole, essa non è idonea ad assumere rilevanza per il mondo del diritto e dà vita ad un interesse di fatto, insuscettibile di ricevere tutela per la propria esigua consistenza. “Tale esito definitorio –osserva la Corte- consente proficuamente ed agevolmente di riunificare i due orientamenti interpretativi, in quanto da un lato riconosce alla chance la qualità di bene giuridico autonomo, indipendente dalla situazione di vantaggio verso cui tende, dotato di per sé di rilevanza giuridica ed economica, in quanto elemento facente attivamente parte del patrimonio del soggetto che ne ha la titolarità; dall’altro lato, invece, attribuisce rilievo decisivo all’elemento prognostico o, rectius probabilistico, il quale è posto quale fattore strutturale e costitutivo, da accertare indefettibilmente al fine di riconoscere ad una mera possibilità la consistenza necessaria per rientrare nella nozione di chance e, dunque, per ricevere protezione da parte dell’ordinamento”. Il Consiglio di Stato, pertanto, inferisce che esiste chance e chance: è decisivo distinguere tra probabilità di riuscita (chance risarcibile) e mera possibilità di conseguire un risultato utile (chance irrisarcibile). A tal fine bisogna ricorrere alla teoria probabilistica che, nell’analizzare il grado di successione tra azione ed evento, per stabilire se esso avrebbe costituito o meno conseguenza dell’azione, scandaglia, fra il livello della certezza e quello della mera possibilità, l’ambito della c.d. “probabilità relativa” consistente in un rilevante grado di possibilità.
Ciò posto, la Corte procede alla applicazione di tali coordinate di principio alla peculiarità delle situazioni giuridiche soggettive di vantaggio, proprie del diritto amministrativo, la cui probabilità di transitare dalla fase in potentia a quella in actu, va verificata alla stregua della consistenza dei poteri attribuiti dall’ordinamento alla pubblica amministrazione. Nello specifico, occorre verificare quale incidenza abbia sulla chance la sussistenza della discrezionalità amministrativa. “Gli esiti del giudizio prognostico, infatti, si diversificano a seconda che il conseguimento della posizione di vantaggio, verso cui è teleologicamente orientata la chance, sia correlato ad un’attività vincolata, tecnico-discrezionale o discrezionale pura”. Mentre, infatti, nelle ipotesi di attività vincolata o tecnico-discrezionale il giudice può sostituirsi alla P.A., individuando il grado di possibilità di ottenimento da parte del privato del bene della vita; al contrario, in caso di attività discrezionale pura, essendo maggiori i margini di valutazione rimessi alla amministrazione, maggiore sarà anche l’alterazione dl giudizio probabilistico: il giudice non potrà indebitamente surrogarsi al potere amministrativo. In tali casi, certamente non sarà possibile compiere un giudizio prognostico in termini di preciso calcolo percentuale, ma non è escluso che si possa riconoscere una perdita di chance, nella base del grado di approssimazione al bene della vita raggiunto dal ricorrente.
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