Gli elementi integranti l’infortunio sul lavoro, da un’attenta lettura degli artt. 2 e 210 del d.P.R. 1124/1965, sono:
– la causa violenta;
– l’occasione di lavoro;
– il rischio elettivo.
La “causa violenta” è qualunque azione, operante in danno altrui, tale da produrre lesioni all’organismo umano; più precisamente essa rappresenta un’azione di qualsiasi natura che abbia i requisiti di esteriorità (in quanto deve provenire dal mondo esterno), di idoneità lesiva (essendo in grado di provocare lesioni tali da determinare la morte o un’inabilità assoluta o parziale) e di concentrazione cronologica (nel senso che deve agire in un tempo ristretto, convenzionalmente indicato nel turno giornaliero di lavoro). Preme evidenziare, comunque, che l’espressione “causa violenta” ha subito profonde evoluzioni per il progressivo sviluppo del sistema di tutela infortunistica; infatti rispetto al significato originario – che, facendo riferimento al carattere traumatico delle cause meccaniche che costituivano la categoria prevalente di fattori infortunistici, richiedeva una notevole intensità della causa stessa – la nozione attuale comprende qualsiasi fattore presente nell’ambiente di lavoro, in modo esclusivo o in misura significativamente diversa rispetto all’ambiente esterno, e che, agendo in maniera concentrata, provochi un infortunio sul lavoro, ovvero, in maniera lenta, una malattia professionale. Dunque, la causa violenta, richiesta dall’art. 2 del d.P.R. n. 1124 del 1965, per l’indennizzabilità dell’infortunio, può riscontrarsi anche in relazione allo sforzo messo in atto nel compiere un normale atto lavorativo, purché lo sforzo stesso, ancorché non eccezionale ed abnorme, si riveli diretto a vincere una resistenza peculiare del lavoro medesimo e del relativo ambiente, dovendosi avere riguardo alle caratteristiche dell’attività lavorativa svolta e alla loro eventuale connessione con le conseguenze dannose dell’infortunio. L’infortunio può essere determinato da una causa unica o da un concorso di cause. Il concorrere di concause preesistenti, simultanee o sopravvenute non esclude l’indennizzabilità dell’infortunio che è integralmente risarcito in proporzione all’entità del danno causato o concausato.
Il concetto di “occasione di lavoro” richiede che vi sia un nesso causale tra il lavoro e il verificarsi del rischio cui può conseguire l’infortunio. Sia la dottrina che la giurisprudenza di legittimità riconoscono il significato normativo estensivo dell’espressione “occasione di lavoro” non limitata al solo concetto di causalità. Essa, inoltre, “comprende tutte le condizioni temporali, topografi che e ambientali in cui l’attività produttiva si svolge e nelle quali è imminente il rischio di danno per il lavoratore, sia che tale danno provenga dallo stesso apparato produttivo o dipenda da terzi e sia che dipenda da situazioni proprie e ineludibili del lavoratore”. Dunque, l’evento verificatosi “in occasione di lavoro” travalica in senso ampliativo i limiti concettuali della “causa di lavoro”, afferendo nella sua lata accezione ad ogni fatto comunque ricollegabile al rischio specifico connesso all’attività lavorativa cui il soggetto è preposto; il sinistro indennizzabile ai sensi dell’art. 2 del d.P.R. 1124/1965 non può essere circoscritto nei limiti dell’evento di esclusiva derivazione eziologica materiale dalla lavorazione specifica espletata dall’assicurato, ma va riferito ad ogni accadimento infortunistico che all’occasione di lavoro sia ascrivibile in concreto, pur se astrattamente possibile in danno di ogni comune soggetto, in quanto configurabile anche al di fuori dell’attività lavorativa tutelata ed afferente ai normali rischi della vita quotidiana privata; pertanto l’evento infortunistico verificatosi in occasione di lavoro non va considerato sotto il profilo della mera oggettività materiale dello stesso, ma, ai fini della sua indennizzabilità, deve essere esaminato in relazione a tutte le circostanze di tempo e di luogo connesse all’attività lavorativa espletata, potendo in siffatto contesto particolare assumere connotati peculiari tali da qualificarlo diversamente dagli accadimenti comuni e farlo rientrare nell’ambito della previsione della normativa di tutela, con l’unico limite della sua ricollegabilità a mere esigenze personali del tutto esulanti dall’ambiente e dalla prestazione di lavoro (c.d. rischio elettivo). Non è, infatti, senza significato che il legislatore abbia adoperato l’espressione “occasione” di lavoro, anziché “causa” di lavoro. Con siffatta espressione ha certamente inteso coprire con la garanzia assicurativa una quantità di eventi dannosi subiti dal lavoratore sul luogo di lavoro e durante l’espletamento della prestazione non riconducibili al rischio intrinseco connesso all’attività lavorativa, o alle attività immediatamente e necessariamente a quella connesse, ma tuttavia legate allo svolgimento della prestazione. Di conseguenza il rapporto di derivazione eziologica tra il sinistro ed il lavoro non è stato inteso in termini di stretta dipendenza causa-effetto sul piano materiale, ma ampliato a tutte le condizioni, anche esterne al particolare processo produttivo, ma comunque legate ed influenti sul processo produttivo medesimo, che abbiano comunque concorso alla produzione dell’evento lesivo.
Infine, il rischio elettivo, secondo l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità (ad es. Cass. civ., n. 15047 del 2007; Cass. civ., n. 15312 del 2001; Cass. civ., n. 8269 del 1997; Cass. civ., n. 6088 del 1995) è ravvisabile solo in presenza di un comportamento abnorme, volontario ed arbitrario del lavoratore, tale da condurlo ad affrontare rischi diversi da quelli inerenti alla normale attività lavorativa, pur latamente intesa, e tale da determinare una causa interruttiva di ogni nesso fra lavoro, rischio ed evento secondo l’apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito. In particolare, per configurare il rischio elettivo secondo la definizione descritta, viene richiesto:
• che il lavoratore ponga in essere un atto non solo volontario, ma anche abnorme, nel senso di arbitrario ed estraneo alle finalità produttive;
• che il comportamento del lavoratore sia motivato da impulsi meramente personali, quali non possono qualificarsi le iniziative, pur incongrue ed anche contrarie alle direttive del datore di lavoro, ma motivate da finalità produttive;
• che l’evento conseguente all’azione del lavoratore non abbia alcun nesso di derivazione con l’attività lavorativa. Nel concorso di tali situazioni, che qualificano in termini di abnormità la causa iniziale della serie produttiva dell’evento infortunistico, il rischio elettivo si distingue, quindi, dall’atto colpevole del lavoratore, e cioè dall’atto volontario posto in essere con imprudenza, negligenza o imperizia, ma che, motivato, comunque, da finalità produttive, non vale ad interrompere il nesso fra l’infortunio e l’attività lavorativa e non ne esclude, pertanto, la indennizzabilità.
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