In alcuni casi, per la Cassazione anche gli enunciati valutativi sono idonei ad assolvere ad una funzione informativa, e possono quindi dirsi veri o falsi.
Il caso.
Ad una srl era stata contestata la dissimulata esistenza della posta di bilancio che evidenziava una percentuale di crediti inesigibili molto elevata (62% del totale), accertata con sentenza della Corte di Appello.
La società era stata dichiarata fallita, e l’amministratore era stato a chiamare a rispondere ai sensi degli artt. 81 cpv cod pen., 2621 cod. civ. e 223 legge fall.
La decisione.
Sentenza n. 890/2016 della V Sez. Penale della Cassazione
Per la Cassazione, la quale pochi mesi fa si era espressa in modo molto diverso con una precedente pronuncia (sentenza 33774/2015, nella quale affermava l’irrilevanza penale delle valutazioni nel falso in bilancio), poiché il bilancio è in larga parte formato da poste che esprimono enunciati estimativi o valutativi, non si può dubitare che nella nozione di “fatti materiali e rilevanti” contenuta nell’art. 2621 c.c. non siano da ricomprendere anche, e soprattutto, le valutazioni.
La Cassazione Penale ha affermato il seguente principio: «Può, allora, affermarsi il principio secondo cui nell’art. 2621 cod. civ. il riferimento ai “fatti materiali” oggetto di falsa rappresentazione non vale a escludere la rilevanza penale degli enunciati valutativi, che sono anch’essi predicabili di falsità quando violino criteri di valutazione predeterminati. Infatti, qualora intervengano in contesti che implichino accettazione di parametri di valutazione normativamente determinati o, comunque, tecnicamente indiscussi, anche gli enunciati valutativi sono idonei ad assolvere ad una funzione informativa e possono, quindi, dirsi veri o falsi. »
Nell’analizzare il caso, la Corte così si esprime: «La nuova formulazione del citato art. 2621 cod. civ., rispetto alla precedente versione, non fa più riferimento ai “fatti”, ma precisa che deve trattarsi di “fatti materiali” non rispondenti al vero; con esclusione, quindi, delle “mere valutazioni”. Le valutazioni estimative (quali, ad esempio, il valore di un immobile od il presumibile valore di realizzo di un credito o di un brevetto) di per sé non sarebbero punibili, ma lo diventano solo se – e quando – si riferiscano a fatto materiale non rispondente al vero, sicché non rileva l’errato apprezzamento del valore di realizzo di un credito effettivo. Non è, dunque, pertinente il richiamo della sentenza impugnata al precedente giurisprudenziale (Sez. 5 n. 8084/2000), proprio perché anteriore alla riforma del decreto legislativo n. 61 del 2002.»
E ricorda che quando le valutazioni sono da parametrare a criteri predeterminati dalla legge o da prassi universalmente accettate, eludere tali criteri integra una falsità.
Più precisamente, il mancato rispetto di tali criteri integra la falsità punibile ai sensi dell’art. 2621 c.c. malgrado la legge 69/2015 abbia soppresso l’inciso “ancorché oggetto di valutazioni”.
Un passo della sentenza recita: «Giova, intanto, premettere che la “novella” ha profondamento inciso sulla precedente fisionomia della fattispecie delle false comunicazioni sociali, prima articolata – in una sorta di progressione criminosa – in due distinte ipotesi (la prima, Corte di Cassazione – copia non ufficiale prevista dall’originario art. 2621 cod. civ., in termini di reato contravvenzionale; la seconda come reato di danno).
Sono, ora, previste due distinte tipologie di reato, a seconda che si tratti di società non quotate (odierno art. 2621 cod. civ.) o quotate (nuovo art. 2622 cod. civ.), entrambe concepite come delitti di pericolo, punibili di ufficio.
Incisivo è stato l’intervento sulla stessa morfologia dell’illecito, mediante l’eliminazione delle soglie di punibilità; mentre, quanto all’elemento soggettivo, alla rimozione dell’inciso «con l’intenzione di ingannare i soci o il pubblico» ha fatto riscontro l’impiego dell’avverbio “consapevolmente”, ferma restando la necessità del dolo specifico («al fine di procurare per sé o per altro un ingiusto profitto» (Sez. 5, n. 37570 del 08/07/2015, Rv. 265020).
Sono stati, inoltre, introdotti due nuovi articoli, e cioè gli artt. 2621-bis e 2621- ter cod. civ. Il primo prevede una diminuzione di pena, ove i fatti di cui all’art. 2621 siano di lieve entità, «tenuto conto della natura e delle dimensioni della società e delle modalità o degli effetti della condotta»; e prevede, altresì, lo stesso regime sanzionatorio per i fatti di cui allo stesso art. 2621 cod. civ. (salvo che costituiscano più grave reato), riguardanti società che non superino i limiti indicati dal secondo comma dell’art. 1 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, stabilendo, in ipotesi siffatta, la procedibilità a querela della società, dei soci, dei creditori o degli altri destinatari della comunicazione sociale. L’art. 2621-ter cod. civ. stabilisce, invece, la non punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131-bis cod. pen., qualora il giudice valuti «in modo prevalente, l’entità dell’eventuale danno cagionato alla società, ai soci o ai creditori conseguente ai fatti di cui agli articoli 2621 e 2621-bis». »
In altro passaggio, la Cassazione afferma: «… l’individuazione della significazione precipua dei termini materiali e rilevanti non può prescindere dal richiamo ai contesti in cui gli stessi sono maturati e da cui sono stati recepiti. » «… i fatti possono dirsi essenziali e rilevanti solo nella misura in cui riescano a rendere una rappresentazione corretta e veritiera della situazione economico-finanziaria della società, in diretta connessione con il fine primario di orientare responsabilmente le scelte degli operatori (pubblico: risparmiatori, istituti di credito ed altri interessati; e soci). Sicché la mera potenzialità al distorto condizionamento, da apprezzarsi ex ante, costituisce il parametro primario di giudizio, da condursi – come si conviene ad ogni apprezzamento di merito – secondo canoni di buon senso e ragionevolezza. »
Circa l’oggetto della falsità, chiarisce: « “falso”, però, non può mai essere un “fatto” (perché il fatto o esiste o non esiste nella realtà), ma solo la rappresentazione che di esso é data, è agevole la conclusione che l’occultamento ovvero l’esposizione non rispondente al vero di dati “rilevanti” in enunciati descrittivi integra, certamente, l’ipotesi della falsità prevista dall’art. 2621 cod. civ. »
E sulle valutazioni, così si esprime: «Orbene, è risaputo che il bilancio – principale strumento di informazione – si compone, per la stragrande maggioranza, di enunciati estimativi o valutativi, frutto di operazione concettuale consistente nell’assegnazione a determinate componenti (positive o negative) di un valore, espresso in grandezza numerica. Si tratta, per vero, di attività prettamente speculativa e valutativa, al pari di ogni altra che esprima giudizi di valore.
Non può, allora, dubitarsi che nella nozione di rappresentazione dei fatti materiali e rilevanti (da intendere nelle accezioni anzidette) non possano non ricomprendersi anche – e soprattutto – tali valutazioni. »
La Cassazione Penale ha quindi affermato il principio che «il riferimento ai “fatti materiali” oggetto di falsa rappresentazione non vale a escludere la rilevanza penale degli enunciati valutativi, che sono anch’essi predicabili di falsità quando violino criteri di valutazione predeterminati»
Osservazioni.
La sentenza è bene articolata, ripercorre l’evoluzione storica delle false comunicazioni sociali e analizza i criteri interpretativi da utilizzare per ricavare le norma dalle disposizioni del codice civile di cui agli artt. 2621 e seguenti.
Il vero punto debole della decisione è che, in realtà, le valutazioni in tema di bilancio si basano su criteri e regole “predeterminate” che non sono così oggettive e determinate come invece pare ritenere la Cassazione.
I principi contabili (tecnicamente denominati “GAAPs”, cioè Generally Accepted Accounting Principles) sono una guida per i redattori e i verificatori del bilancio, ma non sono certo immuni da criteri valutativi che possono riferirsi a numerosissime voci, sia dello stato patrimoniale (che rappresenta una “fotografia” delle attività, passività e mezzi propri alla data di chiusura dell’esercizio) che al conto economico (il quale, invece, riepiloga i costi sostenuti e i ricavi conseguiti in tutto l’esercizio).
Disposizioni rilevanti.
REGIO DECRETO 16 marzo 1942, n. 262
Approvazione del testo del Codice civile
Vigente al: 16-2-2016
Titolo XI – DISPOSIZIONI PENALI IN MATERIA DI SOCIETA’ E DI CONSORZI Capo I – Delle falsità
Art. 2621 – False comunicazioni sociali
Fuori dai casi previsti dall’art. 2622, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, al fine di conseguire per sè o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, previste dalla legge, consapevolmente espongono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore, sono puniti con la pena della reclusione da uno a cinque anni.
La stessa pena si applica anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.
Art. 2621-bis – Fatti di lieve entità
Salvo che costituiscano più grave reato, si applica la pena da sei mesi a tre anni di reclusione se i fatti di cui all’articolo 2621 sono di lieve entità, tenuto conto della natura e delle dimensioni della società e delle modalità o degli effetti della condotta.
Salvo che costituiscano più grave reato, si applica la stessa pena di cui al comma precedente quando i fatti di cui all’articolo 2621 riguardano società che non superano i limiti indicati dal secondo comma dell’articolo 1 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. In tale caso, il delitto è procedibile a querela della società, dei soci, dei creditori o degli altri destinatari della comunicazione sociale.
Art. 2621-ter – Non punibilità per particolare tenuità
Ai fini della non punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’articolo 131-bis del codice penale, il giudice valuta, in modo prevalente, l’entità dell’eventuale danno cagionato alla società, ai soci o ai creditori conseguente ai fatti di cui agli articoli 2621 e 2621-bis.
Art. 2622 – False comunicazioni sociali delle società quotate
Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori di società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea, i quali, al fine di conseguire per sè o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico consapevolmente espongono fatti materiali non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore, sono puniti con la pena della reclusione da tre a otto anni.
Alle società indicate nel comma precedente sono equiparate:
1) le società emittenti strumenti finanziari per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea;
2) le società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un sistema multilaterale di negoziazione italiano;
3) le società che controllano società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea;
4) le società che fanno appello al pubblico risparmio o che comunque lo gestiscono.
Le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.
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