Una recente sentenza della Cassazione del 14/04/2015 n° 7457 ha riproposto un problema spesso avvertito nei piccoli Condomini ove frequentemente viene osservata la c.d. regola del “fai da te”.
I condomini senza troppe formalità delegano sovente uno di loro per provvedere alla cura degli interessi comuni, che possono essere quelli relativi alla pulizia delle scale, al pagamento dell’energia elettrica necessaria per illuminare gli spazi comuni, alle piccole riparazioni, ecc..
Ma può accadere l’insorgenza di contrasti fra i condomini quando si tratti di dar corso a lavori importanti che hanno dei costi, come ad esempio la riparazione di una fognatura, il rifacimento di un tetto lesionato da cui provengono infiltrazioni negli appartamenti sottostanti o la tinteggiatura delle pareti dell’edificio degradate dall’incuria del tempo o dalla trascuratezza delle stesse persone.
L’interrogativo che in simili casi i condomini si pongono riguarda, in special modo, la procedura da adottare affinché si possa concretamente procedere ai lavori necessari.
Spesso accade, soprattutto nei Condomini più piccoli, o costituiti da due soggetti, che vi siano dei lavori urgenti da fare al più presto in ragione della pericolosità del fabbricato per sue condizioni fatiscenti (es. distacco dei frontalini, rifacimento del terrazzo di copertura per le copiose infiltrazioni di acqua negli appartamenti sottostanti).
In questa seconda ipotesi, può avvenire che uno dei condomini proceda di propria iniziativa ai lavori chiedendo poi all’altra il rimborso pro-quota: richiesta che sovente sfocia in Tribunale, come la esperienza forense insegna, per tutta una serie di contestazioni che riguardano sostanzialmente l’an ed il quantum, ossia la stessa scelta di dare luogo ai lavori (ritenuti da una parte urgenti e dall’altra non urgenti) e la misura del corrispettivo pagato da chi quei lavori ha fatto eseguire.
Orbene, va preliminarmente ricordato, come da ultimo chiarito dalla Cassazione 02/04/2015 n° 6780, che lo status di condominio e, di conseguenza, il diritto di utilizzo delle parti comuni dell’edificio, deriva di per sé con l’acquisto di una unità immobiliare inserita nell’edificio condominiale. Tale diritto trova fondamento nel fatto che dette parti sono necessarie per l’esistenza dell’edificio condominiale, ovvero sono perennemente destinate all’uso o al godimento comune.
Il Condominio esiste in ragione della sola presenza di un fabbricato avente parti comuni, indipendentemente dalla approvazione di un regolamento o dalla validità del medesimo (v. Cass. 04/06/2008 n° 14813) e si costituisce ex sé ed ope iuris, senza che sia necessaria deliberazione alcuna, nel momento in cui più soggetti costruiscono nel suolo comune, ovvero quando l’unico proprietario dell’edificio ne ceda a terzi piani o porzione di piano in proprietà esclusiva, realizzando l’oggettiva condizione del frazionamento che ad esso dà origine (in tal senso Cass. 10/09/2004 n° 18226).
È importante ricordare, a questo punto, la specifica fisionomia giuridica del Condominio che si fonda sulla relazione di accessorietà che nel fabbricato lega i beni propri e comuni, riflettendosi nei diritti dei quali i beni formano oggetto (la proprietà esclusiva ed il Condominio).
In buona sostanza, come insegna la Cassazione (ex pluribus Cass. 2046/2006; Cass. 21015/2011) nel Condominio i beni comuni rappresentano utilità strumentali al godimento dei beni individuali laddove nella Comunione essi costituiscono l’utilità finale.
Le parti comuni nel Codice sono considerate beni strumentali al godimento dei piani e delle porzioni di piano in proprietà esclusiva: cose in comunione costituiscono beni autonomi, suscettibili di un utilità fine a sé stessa.
Il Condominio non ha personalità giuridica distinta rispetto a quella dei singoli condomini, trattandosi di un Ente di Gestione, come chiarito dalla Cassazione con sentenza 28/11/2000 n° 976, che opera in rappresentanza e nell’interesse comune senza privare i singoli partecipanti del potere di agire, disgiuntamente da chi amministra, per la tutela dei diritti conseguenti.
Tali precisazioni si appalesano necessarie per meglio comprendere la tematica oggetto del presente elaborato.
Venendo, dunque, al nocciolo della questione, va subito detto che la distinzione, nell’ambito di quello non obbligatorio, fra Condominio minimo (formato da due condomini) e Condominio piccolo (ex nuovo art. 1129 CC, formato da più di due condomini fino al numero di otto) appare di marginale importanza (come vedremo) dopo il noto intervento delle Sezioni Unite della Cassazione la quale, con la decisione 31/01/2006 n° 2046, ha composto il contrasto giurisprudenziale sulla applicabilità o meno al primo (cioè quello composto da due condomini) dall’art. 1134 CC, opinando per la soluzione affermativa.
L’articolo 1134 CC, che nella versione di cui alla L. 11/12/2013 n° 220, ha sostituito l’inciso “il condominio che ha fatto spese comuni” con quello “che ha assunto la gestione delle parti comuni” (quasi a voler sottolineare che quest’ultima è consentita) prescrive che chi ha assunto detta iniziativa, “senza” autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea non ha diritto al rimborso, salvo che si tratti di spesa urgente.
Proprio in merito alla interpretazione dell’art. 1134 CC si è assistito ad una lunga disputa giurisprudenziale, definita con la sentenza delle S.U. del 2006, ma iniziata nell’ormai lontano 1988 allorché la Cassazione stessa (sentenza del 18/10 n° 5664) decise che detta disciplina non potesse trovare applicazione in relazione al Condominio c.d. minimo la disciplina dell’art. 1134 CC ma piuttosto quella di cui all’art. 1110 CC, laddove uno dei condomini avesse fatto eseguire di sua iniziativa dei lavori per la conservazione della cosa comune chiedendo poi all’altro condomino il rimborso pro-quota. La qualcosa non è di poco conto, considerando la differenza delle due disposizioni normative, prevedendo l’art. 1134 CC la possibilità del rimborso solo per le spese urgenti, laddove l’art. 1110 CC subordina la possibilità del rimborso alla trascuratezza, ovvero l’inattività degli altri condomini (rectius comunisti).
Il menzionato contrasto era stato rilevato in ragione dell’opposto orientamento consacrato nelle decisioni della Cassazione 26/05/1993 n° 5914 e 04/08/1997 n° 7181.
Il principio sancito dalle S.U. si è successivamente stabilizzato con le decisioni 12/10/2001 n.21015, 21/09/2012 n° 16128 e, da ultimo, con la decisione già citata 7457/2015.
Dall’esame di detti precedenti si ricavano i seguenti postulati.
1) L’art. 1134 CC si applica anche al Condominio minimo oltre a quello obbligatorio o non obbligatorio perché costituito da meno di otto e più di due partecipanti (c.d. piccolo).
2) Presupposto per l’applicabilità della disposizione in esame è la accertata urgenza della spesa, cioè quella che deve essere eseguita senza ritardo (v. Cass. 26/03/2001 n. 4364) ed anche quella spesa la cui erogazione non può essere differita senza danno o pericolo secondo il criterio del buon padre di famiglia (Cass. 5256/1980).
In una parola “il concetto di urgenza impiegato dall’art. 1134 CC, viene ricavato dal significato proprio della parola che designa la stretta necessità: la necessità immediata ed impellente” (così Cass. 2046/2006). La quale può anche riguardare lavori che non possono essere rimandati per consentire una deliberazione assembleare ovvero un provvedimento dell’amministratore se non con pericolo di danno (Cass. 20151/2013).
3) La spesa per i lavori urgenti deve ovviamente riguardare una cosa comune, dovendosi accertare, soprattutto quando è consentita tale condizione, la relazione di accessorietà strumentale (di cui sopra si è detto) della proprietà individuale con quella comune oggetto di detti lavori (come chiarito da Cass. 02/04/2015 n° 6780 in un caso in cui si era negato che un cortile potesse considerarsi condominiale).
In ipotesi di lavori non urgenti, si discute se si possa ricorrere alla azione sussidiaria di indebito arricchimento ex art. 2041 CC, essendo il rimborso previsto solo nella ipotesi di cui all’art. 1134 CC (cfr Cass. 9629/1994), dovendosi tener conto che gli stessi potrebbero essere deliberati nell’apposita assemblea condominiale convocata dall’amministratore o, in assenza, su iniziativa del condominio interessato ed essendo sempre salvo il diritto di quest’ultimo di chiedere, in difetto di approvazione, l’intervento della Autorità giudiziaria.
È appena il caso di osservare, al riguardo, che il maggior rigore della disciplina in tema di Condominio, di cui all’art. 1134 CC, rispetto a quella prevista per la Comunione, di cui all’art. 1110 CC (ritenuta originariamente applicabile, come visto, al c.d. Condominio minimo)- laddove nella seconda il diritto al rimborso delle spese sostenute dal comunista per la conservazione delle cose comuni, è ricondotta alla semplice inattività (v. Cass. 10738/2001) – è proprio giustificato dalla diversa utilità dei beni, che formano oggetto dei differenti diritti: come sopra ricordato, l’utilità strumentale per i beni in Condominio e quella finale per i beni in Comunione, nel caso in cui chi agisce per ottenere il rimborso ex art. 1134 CC non riesca a provare la domanda.
Le superiori argomentazioni inducono a ritenere meramente nominalistica la differenza tra Condominio minimo e Condominio piccolo.
Più consona al dettato della legge la distinzione fra Condominio obbligatorio e non obbligatorio, nell’ambito di quest’ultima quella fra Condominio minimo e piccolo ha un mero valore descrittivo.
Infatti, come anche chiarito da Cass. S.U. 1046/2006 e da Cass. 16075/2007, anche il Condominio minimo potrà avvalersi dell’art. 1136 CC, potendo l’assemblea costituirsi con la presenza di entrambi i condomini all’unanimità, non essendovi norma da cui si ricava la necessità di operare con il principio maggioritario. Infatti le note norme in materia relative al numero dei condomini riguardano la nomina dell’amministratore e la formazione del regolamento (artt. 1129 CC e 1138 CC).
Solo qualora non sia possibile operare in questo senso si potrebbe far ricorso alla Autorità Giudiziaria.
In conclusione, l’art. 1134 CC si applica tout court al Condominio, indipendentemente dal numero di partecipanti, e non anche le disposizioni dell’art. 1129 e 1138 CC, per difetto del requisito dimensionale avuto riguardo al Condominio non obbligatorio ( minimo o piccolo)
Ciò non toglie che quest’ultimo possa dotarsi di un Amministratore o di un Regolamento, adempimento non obbligatorio, a differenza di quelli composti rispettivamente da più di otto e più di dieci partecipanti in cui tale condizione è inderogabile
Non è escluso che la gestione, nel caso di Condominio non obbligatorio (piccolo o minimo), possa essere demandata informalmente ad uno dei condomini essendo comunque indispensabile , nel disaccordo, che le decisioni che riguardano il Condominio di piccole dimensioni siano adottate in apposita assemblea che, in assenza della figura dell’Amministratore, può essere convocata da uno o più condomini (cfr., ad esempio, Tribunale Torino 16.3.1981 In Giur.It.1982,I,2,468; Cass.7126/1991; Cass.5298/1998; Cass.8876/2000). Febbraio 2016- Avv. Antonio Arseni
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