Se per alcuni aspetti l’idea di agganciare il pagamento del canone RAI al possesso di un’utenza per la fornitura di energia elettrica ha un evidente obiettivo equi distributivo all’insegna del più noto brocardo “paghiamo tutti per pagare meno”, sul piano della logica giuridica è difficile comprendere la ratio sottesa al pagamento di questo canone. La configurazione del canone come imposta è stato il risultato di una lunga evoluzione. Nella sua storia il canone televisivo è stato di tutto e di più: tassa, prezzo e per finire imposta. Si è arrivata perfino a sostenere che il canone doveva essere pagato (anche nell’impossibilità fisica di godere del servizio) per remunerare i servizi relativi alla polizia e all’amministrazione dell’etere. Pur di ottenere questa entrata lo Stato si è inventato di tutto, senza però avere mai il coraggio di dire agli italiani che, canone o tassa, trattasi di una prestazione tributaria fondata sulla legge e non commisurata alla possibilità effettiva di usufruire del servizio televisivo attraverso la detenzione di un apparecchio a ciò preposto.
Medesima vigliaccheria si registra nella recentissima modifica apportata alla regia normativa del ’38 che fa presumere il bluff della detenzione dell’apparecchio televisivo all’esistenza di un’utenza per la fornitura di energia elettrica nel luogo in cui un soggetto ha la sua residenza anagrafica. Quindi, quale corollario della permanenza nell’ordinamento del cordone ombelicale che lega il canone alla detenzione dell’apparecchio televisivo, è prevista la possibilità che il cittadino possa superare la presunzione del possesso dell’apparecchio televisivo, per il solo fatto di avere un’utenza elettrica, attraverso una specifica dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà da presentare all’Agenzia delle Entrate di Torino.
Si decida una volta per tutte il legislatore, delle due l’una. Se il canone è una prestazione tributaria che va pagata indipendentemente dalla fruizione del servizio pubblico televisivo fornito dalla RAI perché lo si continua a legare ad un presupposto oggettivo e materiale qual’ è quello della detenzione di un apparecchio televisivo? Insomma è una tassa che il cittadino-contribuente paga per l’erogazione di un servizio pubblico o è un’imposta sganciata dalla sua effettiva fruizione?
Altra domanda sorge spontanea. Se il possesso di un apparecchio televisivo costituisce per la Corte Costituzionale un “indice di capacità contributiva”, perché mai dovrebbe essere pagato il canone RAI una sola volta anche in presenza di più apparecchi televisivi presenti in più immobili del medesimo proprietario? L’esatto contrario di quanto avviene con l’imposta comunale sugli immobili. All’aumentare del numero di apparecchi televisivi detenuti non aumenta, progressivamente, la capacità contributiva. Il che la dice lunga sulla legittimità costituzionale di tale pretesa.
Chi ci capisce è bravo! Aveva ragione Ottone Von Bismark secondo cui “Meno le persone sanno di come vengono fatte le salsicce e le leggi e meglio dormono la notte”.
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