Con la sentenza n. 1138 depositata in data 1° marzo 2016 il Tribunale di Bari, in persona del dott.ssa Rosanna Angarano, si è pronunciato in tema di onere della prova a carico dell’attore-correntista in un giudizio promosso nei confronti di un istituto di credito in cui l’attore chiedeva al giudice:
1) accertare e dichiarare l’invalidità a titolo di nullità parziale del contratto di a/c particolarmente in relazione alle clausole di applicazione degli interessi ultralegali, della determinazione ed applicazione dell’interesse anatocistico con capitalizzazione trimestrale, all’applicazione della commissione di massimo scoperto, alla applicazione degli interessi per giorni valuta, dei costi, delle competenze e delle remunerazioni a qualsiasi titolo pretese;
2) conseguentemente, accertare e dichiarare l’esatto dare-avere tra le parti in base ai risultati del ricalcolo a mezzo CTU;
3) determinare il costo effettivo annuo dell’indicato rapporto bancario; accertare e dichiarare, previo accertamento del TEG, la nullità e l’inefficacia di ogni e qualsivoglia pretesa della banca per interessi, spese, commissioni e competenze per contrarietà alla Legge 1996 n. 108, perché eccedente il tasso-soglia, con l’effetto, ai sensi degli artt. 1339 e 14192 c.c. dell’applicazione del tasso legale in regime di contabilizzazione semplice annuale;
4) condannare la banca a restituire le somme illegittimamente addebitate e/o riscosse, oltre gli interessi legali;
5) condannare la banca al risarcimento dei danni patiti dall’attore, in relazione agli artt. 1337, 1338, 1366, 1376 c.c. da determinarsi in via equitativa.
Ebbene, il Tribunale di Bari ha osservato che la pretesa attorea si fonda sull’assunto della esistenza di un rapporto di conto corrente con affidamento intrattenuto con la banca convenuta nel periodo compreso tra il 1986 ed il 1998 e sull’ulteriore assunto che “il contratto base originario”, che regolava il rapporto, fissava gli interessi legali con rinvio all’uso piazza e conteneva la clausola nulla di capitalizzazione trimestrale e che per tutto il rapporto erano state addebitate somme non dovute a titolo di cms ed applicate valute fittizie. L’attore, tuttavia, non ha prodotto in giudizio il contratto, alla cui esistenza in forma scritta ha fatto inequivoco riferimento chiedendone anche la esibizione alla controparte, ed ha prodotto estratti conto solo parziali.
In particolare l’attore, oltre a non produrre il primo estratto conto, quello necessariamente a saldo zero, ha prodotto gli ulteriori estratti conto in modo del tutto frammentario, portando alla ricostruzione di ben dieci periodi contabili discontinui, caratterizzati, per altro, dalla non coincidenza del saldo finale dell’ultimo estratto conto di un periodo con quello iniziale del primo estratto conto disponibile del periodo successivo.
Il giudice ha affermato, in primis, che la parte che deduca la nullità di clausole contrattuali e l’annotazione di poste non dovute in ragione di detta nullità è onerata dalla prova degli elementi costitutivi della fattispecie invocata e quindi, preliminarmente, della produzione del contratto contenente le clausole nulle ed ha, inoltre, evidenziato che “la allegazione della inesistenza del contratto è diversa per fatti costitutivi dalla allegazione della nullità delle sue clausole”.
Da ciò discende che l’attore non ha dimostrato l’assunto relativo alla previsione in contratto di clausole contenenti il rinvio all’uso piazza e la previsione della capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori e che, comunque, la ricostruzione del saldo creditorio resta preclusa dalla mancanza degli estratti conto integrali.
E’ pacifico che si pongono sul punto due diverse questioni: una attinente alla possibilità di ricostruire il rapporto anche in mancanza di tutti gli estratti conto e l’altra relativa alla individuazione della parte su cui far ricadere le conseguenze della mancata produzione in ragione dell’onere probatorio sulla medesima gravante.
Entrambe le questioni sono state affrontate dalla Suprema Corte con pronunce dalle quali il Tribunale di Bari non ritiene di discostarsi.
E’ principio ormai consolidato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione che “nei rapporti bancari in conto corrente, una volta che sia stata esclusa la applicabilità di pattuizioni relative agli interessi, alla capitalizzazione o ad altri addebiti, per invalidità delle relative clausole contrattuali o per mancanza stessa del contratto, l’attore deve dimostrare l’entità del proprio credito mediante la produzione degli estratti del conto corrente a partire dall’apertura del conto stesso attraverso l’integrale ricostruzione del dare e dell’avere” (cfr. tra le più recenti Cass. n. 2982/2016).
Si deve escludere, al contrario che il correntista-attore possa sottrarsi all’onere di provare il proprio credito riversando sulla banca l’obbligo di produrre in atti tutti gli estratti conto (cfr. tra le più recenti Cass. n. 9201/2015).
Secondo il Tribunale a nessuna diversa conclusione può giungersi in ragione dell’ordine di esibizione impartito alla banca ex art. 210 c.p.c.; è pacifico, infatti, che non può supplirsi all’onere di provare i fatti costitutivi della domanda con la richiesta alla controparte di esibizione di documenti e che, in ogni caso, l’inosservanza all’ordine di esibizione, quando concesso, non determina l’inversione dell’onere della prova restando esclusivamente un comportamento liberamente valutabile.
Sulla base di tali premesse il giudice osserva che nel caso de quo l’attore, pur avendo chiesto la rideterminazione del saldo, previa ricostruzione dell’intero rapporto, ha prodotto in giudizio gli estratti conto in modo frammentario.
Il Tribunale afferma che “la movimentazione del conto nei periodi non coperti dagli estratti conto ha inevitabilmente esplicato ripercussione inquinante sulla progressiva evoluzione del rapporto stesso e sulla formazione del dato intermedio costituente il punto di partenza della evoluzione successiva. Da ciò consegue l’impossibilità di determinare in modo attendibile l’intera entità del credito azionato”.
Né ritiene il giudice che nel caso in esame possano applicarsi il criterio equitativo per la determinazione dell’indebito (l’art. 1226 c.c. è norma eccezionale e si riferisce ai giudizi di liquidazione del danno, anche contrattuale, e non è applicabile in via analogica ad altri casi non specificamente previsti dalla legge) o il criterio sussidiario del così detto saldo pari a zero.
Tale indicazione, seguita in un precedente orientamento degli Ermellini (cfr. Cass. n. 1842/2011) è stata successivamente disattesa dalla medesima Corte di Cassazione che ha preso espressa posizione contraria ritenendo non condivisibile il criterio seguito in quell’unico precedente non solo perché si verrebbe in tal modo a introdurre “un criterio di tipo equitativo non consentito, ma anche perché, se si assumesse come dato di partenza “l’inesistenza di un saldo debitore”, si verrebbe ad escludere a priori la possibilità che, per effetto di eventuali rimesse effettuate nel periodo precedente, vi possa essere stato un saldo creditore per la correntista” (cfr. Cass. n. 20688/2013 e Corte di Appello di Bari sent. nn. 671/2014 e 1977/2014).
Osserva il Tribunale che “nel contratto bancario regolato in conto corrente gli accreditamenti e i prelevamenti costituiscono atti di utilizzazione dell’unico contratto ad esecuzione ripetuta. Essi, pertanto, non possono essere qualificati né come autonomi negozi giuridici, né come pagamenti, vale a dire come atti estintivi di obbligazioni; si tratta propriamente di atti che producono variazioni quantitative, secondo i casi, di depositi bancari o di aperture di credito” e che “il saldo esigibile, tuttavia, ove si assuma che il medesimo è conseguenza della non corretta contabilizzazione delle poste in virtù della applicazione di clausole nulle, non può che rideterminarsi attraverso la rivisitazione di tutte le poste che hanno contribuito a determinarlo”.
Sulla base di tali premesse il Tribunale di Bari ha rigettato la domanda, compensando le spese di lite e ponendo a carico dell’attore le spese di ctu..
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