Con sentenza n. 3505 del 2016, la suprema Corte di cassazione si esprime in modo chiarificatore circa la corretta applicazione delle c.d. Tabelle di Milano in riferimento al risarcimento dei danni non patrimoniali, patiti in conseguenza di responsabilità professionale medica.
Ed invero, la questione verte sul caso di un soggetto deceduto a seguito di un’operazione chirurgica per l’amputazione dell’avampiede sinistro, resasi necessaria a seguito dello schiacciamento riportato nell’incidente di cui era rimasto vittima per responsabilità di un veicolo terzo.
Proposta azione giudiziale per il ristoro dei danni subiti, gli eredi si vedono parzialmente accolta la domanda da parte del Tribunale di Treviso, Il quale, condanna le compagnie assicurative convenute e esonera da responsabilità l’Asl di Vicenza, anch’essa convenuta.
La sentenza del giudice di prime cure viene impugnata dinanzi la Corte di Appello di Venezia, la quale, in parziale accoglimento del gravame dei danneggiati, condanna anche la ASL di Vicenza, in solido con gli altri legittimati passivi, al risarcimento del danno riconosciuto in favore degli eredi, che viene maggiorato di un ulteriore importo di euro 32.000,00, all’attualità, in favore di ciascuno di essi, oltre interessi.
Avverso tale sentenza, viene proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi.
Il ricorso, viene ritenuto ammissibile in riferimento ai primi due:
- 1. con il primo motivo del ricorso principale viene denunziata la “violazione dell’articolo 1226 c.c., (richiamato dall’articolo 2056 c.c.) in relazione alla mancata applicazione dei valori numerici delle tabelle di Milano sui danni da morte (articolo 360 c.p.c., n. 3)“;
- 2. con il secondo motivo del medesimo ricorso principale viene dedotta la “insufficiente e contraddittoria motivazione sul procedimento estimatorio che ha contenuto l’entità del risarcimento dei ccdd.. danni parentali da morte in una somma inferiore a quella minima prevista nella pur citata Tabella di Milano c.d. 2011 in relazione alla morte di un genitore per due figlie non ancora trentenni (articolo 360 c.p.c., n. 5)”.
La corte, in via preliminare, rileva che la stessa ha manifestato di recente un orientamento secondo il quale le tabelle del Tribunale di Milano assumono rilievo, ai sensi dell’articolo 1226 c.c., come parametri per la valutazione equitativa del danno non patrimoniale alla persona; ne consegue che la loro erronea applicazione da parte del giudice da luogo ad una violazione di legge, censurabile in sede di legittimità ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3) (Sez. 3,Sentenza n. 4447 del 25 febbraio 2014), e che qualora il giudice, al fine di soddisfare esigenze di uniformità di trattamento su base nazionale, proceda alla liquidazione equitativa del danno non patrimoniale in applicazione delle tabelle predisposte dal Tribunale di Milano è tenuto ad esplicitare, in motivazione, se e come abbia considerato tutte le circostanze del caso concreto per assicurare un risarcimento integrale del pregiudizio subito da ciascun danneggiato (Sez. 3, Sentenza n. 9231 del 17 aprile 2013; nel medesimo senso, ancor più di recente, si veda Sez. 3, Sentenza n. 21782 del 27 ottobre 2015).
Dunque, a parere della corte, è sicuramente considerata ammissibile la possibilità che la liquidazione del danno non patrimoniale, nell’opera di necessaria personalizzazione di esso in base alle circostanze del caso concreto, sia effettuata anche con il superamento dei limiti minimi e massimi degli ordinari parametri previsti dalla c.d. tabella milanese.
Ma è altrettanto vero che tale deroga – se non intende del tutto privarsi di significato la richiamata opzione della giurisprudenza di legittimità per l’adozione di un tale uniforme parametro – deve poter avvenire solo quando la specifica vicenda presa in considerazione non rientri nell’ambito dell’ordinario e pur differenziato atteggiarsi delle varie possibili situazioni in astratto idonee ad orientare la liquidazione stessa tra il minimo ed il massimo del parametro tabellare, ma se ne discosti, per la presenza di circostanze di cui il parametro stesso, evidentemente costruito in base alla considerazione dell’oscillazione ipotizzabile nell’ambito delle diverse situazioni ordinarie configurabili secondo l’id quod plerumque accidit, non possa aver tenuto conto.
Sulla base dei su espressi principi di diritto, la Suprema Corte cassa la sentenza con rinvio alla Corte di Appello di Venezia, in diversa composizione, affinché rivaluti la fattispecie.
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