Omissione del versamento IVA sanzionata anche se sotto la soglia di punibilità penale

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La Cassazione ha precisato che il venir meno del reato tributario per innalzamento della soglia di punibilità (soglia che, per l’IVA, è passata da euro 50mila a euro 250mila) non ha rilevanza sotto il profilo tributario, rimanendo l’omesso versamento, a seguito dell’innalzamento della soglia di rilevanza penale, un illecito amministrativo.

Nell’eventuale procedimento penale già in corso l’assoluzione deve essere pronunciata con formula piena («il fatto non sussiste»), e non perché «il fatto non è previsto dalla legge come reato.»

 

Decisione: Sentenza n. 3098/2016 Cassazione Penale – Sezione III

Classificazione: Penale, Tributario

Parole chiave: IVA – illecito amministrativo – omesso versamento

 

Il caso.

Una società aveva omesso il versamento di IVA per l’anno 2010 per 51mila euro, e l’amministratore di era stato assolto «perché il fatto non è previsto dalla legge come reato» in quanto, nel frattempo, la Corte Costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale del reato per i fatti commessi fino al settembre 2011, in cui la soglia di rilevanza penale era fissata a 103.291,38 euro.

L’imputato ricorreva in Cassazione per ottenere l’assoluzione con la formula più ampia, e la corte ha accolto il ricorso.

 

La decisione.

Nell’affrontare il caso, dapprima la Corte di Cassazione richiama quanto precisato dalla Corte Costituzionale nel 2008: «La Corte costituzionale, con la sentenza n. 85 del 2008, ha chiarito che le uniche decisioni totalmente assolutorie sono quelle pronunciate con le formule “il fatto non sussiste” e “l’imputato non lo ha commesso”, mentre tutte le altre formule di assoluzione comportano, con forme e gradazioni diverse, un riconoscimento della responsabilità dell’imputato o comunque l’attribuzione del fatto allo stesso, e quindi, sebbene non applichino una pena, sono sicuramente idonee ad arrecare ugualmente all’imputato significativi pregiudizi di ordine sia morale sia giuridico. All’imputato va quindi normalmente riconosciuto il diritto di impugnare una sentenza di proscioglimento per ottenere una assoluzione con una formula per lui migliore perché totalmente liberatoria o comunque produttiva di effetti extrapenali più favorevoli o meno pregiudizievoli (Sez. U, n. 40049 del 29/05/2008, Guerra cit., in motiv.)».

E ne precisa le ragioni pratiche: «la pronuncia penale non può recare ex se un pregiudizio scaturente dalla pretesa efficacia, radicalmente esclusa, come si è detto, soltanto dalle formule “il fatto non sussiste” o “l’imputato non lo ha commesso”, della sentenza di assoluzione nei giudizi extrapenali, nei quali quindi l’accertamento può tradursi, con riferimento alle altre formule assolutorie, nell’applicazione automatica delle sanzioni, una volta che il giudice penale – quando in sede extrapenale si controverte intorno ad un diritto o ad un interesse legittimo il cui riconoscimento è dipeso dall’accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale – abbia espresso un giudizio di applicabilità delle medesime, producendosi perciò un pregiudizio delle posizioni giuridiche soggettive, che è nell’interesse dell’imputato rimuovere, rivendicando la formula di maggiore favore».

Quindi, nell’affrontare il ricorso, afferma che «è necessario, per la corretta soluzione della questione, stabilire quale ruolo svolgono le soglie di punibilità nella struttura del reato. 3.1. La giurisprudenza di legittimità è divisa nel ritenere le soglie di punibilità come elemento costitutivo del reato o condizione obiettiva di punibilità. L’orientamento che propende in quest’ultimo senso è stato anche recentemente espresso (Sez. 6, n. 6705 del 16/12/2014, dep.2015, Libertone, Rv. 262394) e ritiene che, nel prevedere una soglia di punibilità, il legislatore ha inteso riservare la sottoposizione alla più grave delle sanzioni, quella appunto penale, alle ipotesi di evasione ritenute più gravi, proprio perché superiori ad un determinato ammontare: tale valore rappresenta, non un elemento costitutivo del reato, ma una condizione obbiettiva di punibilità, in mancanza della quale (ossia al di sotto della predetta soglia) l’interesse dell’amministrazione finanziaria è presidiato dalle conseguenze civilistiche della violazione».

Sul punto la Suprema Corte richiama le Sezioni Unite: «Anche le Sezioni Unite hanno preso posizione in tal senso affermando, tra l’altro, che, per la commissione del reato ex art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, è sufficiente la coscienza e volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato e tale coscienza e volontà deve investire anche la soglia di punibilità, che è un elemento costitutivo del fatto, contribuendo a definirne il disvalore (Sez. U, n. 37424 del 28/03/2013, Romano, non mass. sul punto, in motiv. § 6)».

Infine esprime l’orientamento del Collegio giudicante: «Ritiene il Collegio che, nell’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 e nelle fattispecie analoghe, che condividono la stessa struttura quanto agli enunciati di tipicità che caratterizzano la fattispecie incriminatrice, la soglia di punibilità rientra tra gli elementi costitutivi del reato.

Le “soglie” non possono quindi essere inquadrate tra le condizioni di punibilità, neppure cd. intrinseche, consistendo queste ultime in eventi che rendono attuale l’offesa all’interesse protetto dalla norma violata o che costituiscono una progressione o un aggravamento di tale offesa, con la conseguenza che siffatti eventi, concorrendo a delineare il disvalore penale del fatto, sono in realtà elementi costitutivi del reato, cosicché devono essere necessariamente coperti dal dolo o, secondo i casi, dalla colpa dell’agente.

E’ fondamentale pertanto considerare che l’integrazione della soglia quantitativa necessaria per il perfezionamento del reato non dipende da un evento futuro ed incerto (ossia da una condicio) ma dallo stesso comportamento dell’agente che, nella presentazione della dichiarazione annuale ai fini dell’Iva, sottrae all’imposizione, con il mancato versamento e, dunque, con una condotta omissiva, una quantità di tributo che, integrata la soglia, contribuisce alla realizzazione del fatto tipico».

Con la precisazione circa l’elemento soggettivo del reato: «Quanto poi alla struttura del dolo, a parte il fatto che sarebbe tutta da dimostrare la situazione di incompatibilità strutturale tra la soglia di punibilità come elemento costitutivo del fatto di reato e la costruzione di fattispecie a dolo specifico, deve ritenersi, risolvendosi definitivamente la questione, che l’elemento soggettivo del reato ex art. 10-ter è sostenuto dal dolo generico (Sez. U, n. 37424 del 28/03/2013, Romano, cit., in motiv. § 6). In definitiva, la soglia di punibilità si traduce nella fissazione di una quota di rilevanza quantitativa e/o qualitativa del fatto tipico…».

La Corte ricorda poi la natura del delitto di omesso versamento IVA: «Conclusivamente, in conformità all’insegnamento delle Sezioni Unite Romano, l’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 configura reato omissivo proprio (di mera condotta e, dunque, cd. formale) e di danno, il cui oggetto specifico della tutela penale è costituito dall’interesse dello Stato alla percezione dei tributi».

E infine trae le conseguenze: «Ne consegue che tale coscienza e volontà deve investire anche la soglia di punibilità (ora di Euro duecentocinquantamila a seguito del d.lgs. n. 158 del 2015), che è un elemento costitutivo del fatto di reato, contribuendo a definirne il disvalore e che dunque deve rientrare, in uno agli elementi costitutivi del fatto tipico, nel fuoco del dolo, con la sottolineatura che la prova del dolo è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia, ora, di Euro duecentocinquantamila, entro il termine lungo previsto».

Dopo aver richiamato nuovamente le Sezioni Unite (“secondo il dictum delle Sezioni Unite Orlando, l’adozione della formula «il fatto non è previsto dalla legge come reato» dipende dal tenore formale dell’imputazione, dalla circostanza cioè che con essa si assume la riconducibilità della fattispecie concreta ad una fattispecie astratta mai esistita, abrogata o dichiarata (in toto) costituzionalmente illegittima. Mentre, quando il fatto storico, così come ricostruito, non è idoneo, come nella specie, ad essere sussunto nella fattispecie astratta, per la mancanza di un elemento costitutivo del reato, occorre adottare la formula «il fatto non sussiste» (Sez. U, n. 37954 del 25/05/2011, Orlando, cit.).”), la Cassazione accoglie il ricorso e annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

 

Osservazioni.

Con questa pronuncia, la terza sezione penale della Cassazione ha ripercorso i passaggi rilevanti sia per l’inquadramento della natura del delitto di omesso versamento IVA, sia per i criteri da seguire per la formula assolutoria applicabile. La sopravvenuta non punibilità penale non toglie, però, rilevanza all’illecito tributario, da sanzionarsi sotto il profilo amministrativo.

 

Disposizioni rilevanti.

DECRETO LEGISLATIVO 10 marzo 2000, n. 74

Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto

Vigente al: 11-4-2016

 

Art. 10-ter – Omesso versamento di IVA

1. E’ punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d’imposta.

AGGIORNAMENTO: La Corte Costituzionale, con sentenza 7 – 8 aprile 2014, n. 80 (in G.U. 1a s.s. 16/4/2014, n. 17), ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 10-ter del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 (Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, a norma dell’articolo 9 della legge 25 giugno 1999, n. 205), nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo di imposta, ad euro 103.291,38”.

Graziotto Fulvio

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