Il licenziamento per superamento del periodo di comporto è legittimo anche se alla malattia segue l’aspettativa

In caso di malattia del dipendente, la concessione del periodo di aspettativa previsto dal C.C.N.L. di categoria, anche se richiesto quando il periodo di comporto sia già esaurito, esclude che il licenziamento intimato pochi giorni dopo l’esaurimento dell’aspettativa, possa considerarsi illegittimo.

Decisione: Sentenza n. 6697/2016 Cassazione Civile – Sezione Lavoro

Classificazione: Lavoro

Parole chiave: aspettativa – malattia – periodo di comporto – licenziamento

 

Il caso.

Una lavoratrice ricorreva al Tribunale esponendo di essere stata oggetto di comportamenti vessatori da parte della Banca datrice di lavoro, che avevano causato la sua assenza per malattia.

Una volta scaduto il periodo di comporto, seguito di una nota da parte della Banca, la lavoratrice presentava domanda di aspettativa che veniva accolta.

Durante il periodo di aspettativa, la banca le comunicava che veniva trasferita in altra città, e al termine del periodo di aspettativa la invitava a riprendere servizio presso la nuova sede, pena il recesso dal contratto di lavoro.

Quattro giorni dopo la banca procedeva al licenziamento per superamento del periodo di comporto.

La ricorrente contestava il licenziamento, chiedendo la reintegra nel posto di lavoro e il risarcimento del danno biologico: il tribunale accoglieva la domanda di reintegro ma non quella risarcitoria.

Si appellavano alla decisione sia la banca che la lavoratrice, e la Corte di appello rigettava entrambi i gravami, ritenendo che il licenziamento era stato intimato dopo nove mesi dal superamento del periodo di comporto.

La banca ricorre in Cassazione, che accoglie le doglianze del datore di lavoro.

 

La decisione.

L’azienda lamenta che, «a differenza del licenziamento disciplinare, nel licenziamento per superamento del periodo di comporto non vi è un principio di immediatezza del recesso, sussistendo all’opposto un ragionevole spatium deliberandi da parte del datore di lavoro al fine di valutare l’utilità ed opportunità della cessazione del rapporto di lavoro nel contesto dato. In ogni caso solo dal momento dell’effettivo rientro in servizio del lavoratore assente per malattia poteva valutarsi una effettiva e prolungata inerzia del datore di lavoro contrattualmente significativa. Evidenzia che nella specie dopo la fruizione del periodo di comporto la lavoratrice aveva richiesto il periodo di aspettativa previsto dal c.c.n.I., che le era stato riconosciuto, sicché non poteva parlarsi di inerzia della datrice di lavoro o di tacita rinuncia al diritto di recesso».

E argomenta che «comunque non poteva sanzionarsi la Banca per aver concesso l’aspettativa richiesta al solo fine di consentire alla lavoratrice di recuperare appieno le sue energie psicofisiche e di riprendere il servizio».

La Corte di legittimità accoglie le doglianze, e ricorda che «Deve dunque notarsi che nel caso di concessione di un periodo di aspettativa, successivo a quello di malattia, i limiti temporali per poter procedere al licenziamento per superamento del periodo di comporto devono essere ulteriormente dilatati, in modo da comprendere anche la durata dell’aspettativa (ex alias, Cass. n. 122332013)».

Nel caso di specie, «non può parlarsi in alcun modo di rinuncia tacita al recesso per superamento del periodo di comporto (avendo peraltro il datore di lavoro invitato la lavoratrice a riprendere servizio appena scaduto il periodo di aspettativa), essendo a tal fine necessario valutare il comportamento del datore di lavoro dal momento della ripresa del servizio (a seguito della fruizione del comporto e di aspettativa comunque concessa e sempre connessa allo stato di malattia) che si traduca in una prolungata inerzia datoriale, sintomatica della volontà di rinuncia al potere di licenziamento e tale da ingenerare un corrispondente incolpevole affidamento da parte del dipendente (Cass. n. 248992011, Cass. n. 194002014), gravando peraltro su quest’ultimo l’onere di provare tale circostanza (Cass. n. 194002014)».

Ricorda anche che «Resta poi fermo il principio, più volte enunciato da questa Corte, secondo cui nel licenziamento per superamento del periodo di comporto per malattia (ivi compresa l’eventuale aspettativa concessa) l’interesse del lavoratore alla certezza della vicenda contrattuale va contemperato con un ragionevole “spatium deliberandi” che va riconosciuto al datore di lavoro perché egli possa valutare nel complesso la convenienza ed utilità della prosecuzione del rapporto in relazione agli interessi aziendali (cfr. ex alias, Cass. n. 70372011). Nella specie il recesso segue di pochi giorni la cessazione del periodo di aspettativa».

La Cassazione afferma quindi il seguente principio: «in caso di malattia del dipendente, la concessione, di fatto, da parte del datore di lavoro, del periodo di aspettativa previsto dal c.c.n.l. di categoria, ancorché richiesto allorquando il periodo di comporto sia già esaurito, non elimina l’effetto di giustificare l’assenza sino allo scadere dei periodo di aspettativa, restando escluso che il licenziamento intimato pochi giorni dopo l’esaurimento della detta aspettativa, possa considerarsi illegittimo, sia sotto il profilo della rinuncia tacita al recesso per superamento del comporto, sia sotto il profilo dell’affidamento del dipendente circa la prosecuzione del rapporto».

 

Osservazioni.

La Cassazione, nel pronunciarsi sul caso, ha ritenuto che il periodo di aspettativa susseguente al periodo di comporto per malattia giustifica l’assenza del lavoratore (anche se l’aspettativa viene richiesta una volta scaduto il periodo di comporto), escluda l’illegittimità del licenziamento operato entro pochi giorni dall’esaurimento dell’aspettativa.

L’affidamento del dipendente sulla stabilità e prosecuzione del rapporto deve essere contemperato con un ragionevole “spatium deliberandi” riconosciuto al datore di lavoro al fine di valutare la convenienza ed utilità della prosecuzione del rapporto di lavoro.

Il periodo di aspettativa al termine del periodo di comporto per malattia, ben potrebbe consentire al lavoratore di recuperare appieno le sue energie psicofisiche e riprendere il servizio: in tali casi, vincolare il datore di lavoro ad esercitare il recesso subito dopo il periodo di comporto andrebbe a ledere proprio quegli interessi che la il sistema cerca di tutelare.


 

Disposizioni rilevanti.

Codice Civile

Vigente al: 8-4-2016

 

Art. 2110 – Infortunio, malattia, gravidanza, puerperio

In caso d’infortunio, di malattia, di gravidanza o di puerperio, se la legge o le norme corporative non stabiliscono forme equivalenti di previdenza o di assistenza, è dovuta al prestatore di lavoro la retribuzione o un’indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali, dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità.

Nei casi indicati nel comma precedente, l’imprenditore ha diritto di recedere dal contratto a norma dell’art. 2118, decorso il periodo stabilito dalla legge, dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità.

Il periodo di assenza dal lavoro per una delle cause anzidette deve essere computato nell’anzianità di servizio.

Graziotto Fulvio

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