Innanzi all’adito Tar Bari parti ricorrente intende conseguire l’annullamento della nota a mezzo della quale il dirigente del settore edilizia pubblica e privata (servizi catastali) ha “confermato il diniego” di permesso di costruire, in base alle motivazioni espresse in altra precedente nota ex art. 10 bis Legge n. 241 del 1990.
Parte ricorrente lamenta, in primis, la violazione degli artt. 2 e 2 bis Legge n. 241 del 1990 e 20, co. 8, D.P.R. n. 380 del 2001: in particolare, sull’istanza di rilascio di permesso di costruire, un mese dopo il parere favorevole del R.U.P., doveva ritenersi formato il silenzio assenso.
Ne deriva, sempre secondo parte ricorrente, l’illegittimità dell’atto di “diniego definitivo” (preceduto dal preavviso di diniego e dalla diffida all’inizio/prosecuzione dei lavori), siccome, a fronte del silenzio assenso già formatosi, sarebbe stato necessario un intervento in autotutela.
Qualora, poi, l’atto gravato fosse da considerarsi quale revoca, lo stesso sarebbe illegittimo siccome non recherebbe alcuna motivazione in ordine all’interesse pubblico perseguito e non considererebbe l’affidamento ingenerato nell’istante.
Da parte sua l’adito Tribunale Amministrativo pugliese ha accolto la domanda di annullamento in quanto, in mancanza di motivato diniego che sarebbe stato onere del dirigente opporre prima del decorso di trenta giorni dall’adozione dell’ultima determinazione del R.U.P. (ex art. 20, co. 8, D.P.R. n. 380 del 2001), doveva ritenersi formato il silenzio assenso sull’istanza di permesso di costruire, secondo lo schema delineato dall’art. 20 cit.
Osserva il Collegio giudicante che quando il Legislatore prevede che il decorso di un dato termine senza pronuncia negativa dell’Amministrazione integri la formazione del silenzio-assenso sulla richiesta di rilascio del titolo edilizio, il potere di provvedere su detta istanza si consuma con la costituzione del provvedimento tacito, sicché l’Amministrazione non può opporre un diniego tardivo – che sarebbe illegittimo in quanto disposto in carenza di potere – ed è soltanto abilitata a rimuovere in autotutela il titolo formatosi per silentium (sempreché ne sussistano naturalmente i presupposti), dovendosi altresì considerare che il diniego intervenuto ex post potrebbe rivestire natura ed efficacia di provvedimento di annullamento d’ufficio del titolo tacito solo se recante l’esplicito riferimento all’atto che si intende eliminare e al vizio che lo inficerebbe, e solo se assistito da puntuale motivazione circa l’interesse pubblico specifico che giustificherebbe l’esercizio del potere di autotutela.
E cioè a dire, in altri termini, il riconoscimento dell’avvenuta formazione del silenzio-assenso si risolve in una verifica che assevera la sussistenza dei presupposti formali richiesti dalla legge e l’osservanza del procedimento, ma non anche la conformità dell’intervento da realizzare alle prescrizioni urbanistiche ed edilizie applicabili al caso di specie, per cui, una volta perfezionatosi il titolo tacito, l’ente locale conserva i suoi poteri di controllo e sanzionatori, nell’esercizio dei quali ben può annullare quell’atto ove ne riscontri il contrasto con le previsioni della disciplina di piano e non vi ostino preclusioni legate alle condizioni legali per il ricorso all’ autotutela amministrativa.
Secondo il Collegio giudicante, nel caso sottoposto al suo esame, è da escludere che l’atto gravato possa qualificarsi come annullamento d’ufficio, non ricorrendo alcuno dei requisiti all’uopo necessari.
Quanto alla domanda di annullamento della nota recante la comunicazione di avvio del procedimento di diniego, essa è stata invece ritenuta inammissibile, trattandosi di mero atto endoprocedimentale, privo di autonoma portata lesiva.
Ha affermato il T.a.r. Piemonte, sez. I, 12 giugno 2014, n. 1030 che: “la comunicazione dei motivi ostativi è pacificamente ritenuta priva di immediata lesività, attesa la funzione che le è propria di consentire alla parte di partecipare attivamente al procedimento e, in ipotesi, di far pervenire l’autorità competente anche ad una diversa determinazione rispetto a quanto rappresentato nella sede dell’interlocuzione procedimentale; pertanto, si deve escludere la sussistenza di alcun onere di immediata impugnazione giurisdizionale di tali comunicazioni.”.
Come inammissibile è stato ritenuto, per carenza di interesse, anche il ricorso avverso l’ordinanza recante l’inibizione all’inizio – prosecuzione dei lavori, essendo sopravvenuti ulteriori provvedimenti che, avendo determinato un nuovo assetto di interessi, rendono ab origine del tutto inutile l’eventuale pronuncia.
Idem quanto alla domanda, proposta da parte ricorrente, relativa all’accertamento della formazione del silenzio assenso.
Il Collegio giudicante, in ordine a tale profilo, ha confermato il proprio consolidato orientamento espresso in precedenti pronunce secondo cui la richiesta declaratoria dell’intervento assenso sull’istanza edilizia, risulta inammissibile in quanto ipotesi non ricompresa tra quelle previste in via tassativa dall’ordinamento processuale (art. 31, commi 1, 2, 3; art. 31 commi 1 lett. c; art. 34 commi 3 e 5; art. 114, comma 4, D.Lgs. n. 104 del 2010), che non prevede un’azione generale di accertamento, bensì solo ipotesi tipizzate e tassative.
Trattasi, pertanto, di domanda del tutto atipica ed estranea all’ambito delle azioni ammesse nel giudizio amministrativo e, in quanto tale, inammissibile (ex multis, sent. T.a.r. Puglia, Bari, sez. III, n. 588 del 2013, n. 75 del 214, n. 173 del 2014).
Infine, è stata rigetta la domanda di riparazione del pregiudizio da ritardo.
Precisa il Tribunale adito che il risarcimento da ritardo non spetta alla ricorrente:
– se la domanda è da intendersi formulata ai sensi dell’art. 2 bis, co. 1 bis, L. n. 241/1990 (che prevede la corresponsione di un indennizzo per il mero ritardo in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento amministrativo iniziato ad istanza di parte, per il quale sussiste l’obbligo di pronunziarsi, con esclusione delle ipotesi di silenzio qualificato e dei concorsi pubblici). Invero, ai sensi del co. 10 dell’art. 28 L. n. 98/2013 “Le disposizioni del presente articolo si applicano, in via sperimentale e dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, ai procedimenti amministrativi relativi all’avvio e all’esercizio dell’attività di impresa iniziati successivamente alla medesima data di entrata in vigore” (21/08/2013), di talchè il procedimento in parola, iniziato con istanza del 26/06/12 e relativo, peraltro, a rilascio di titolo edilizio, non è contemplato nella previsione;
– non spettare se la domanda è intendersi formulata ai sensi dell’art. 2 bis, co. 1, L. n. 241 del 1990, stante la mancata prova del danno patito dalla ricorrente. È orientamento consolidato, invero, che la richiesta di accertamento del danno da ritardo, ovvero del danno derivante dalla tardiva emanazione di un provvedimento, in ossequio al principio dell’atipicità dell’illecito civile, costituisce una fattispecie sui generis, di natura del tutto specifica e peculiare, che deve essere ricondotta nell’alveo dell’art. 2043 c.c. per l’identificazione degli elementi costitutivi della responsabilità.
Deve ritenersi che la sussistenza del danno da ritardo non può presumersi iuris tantum atteso che esso non deriva per il solo fatto del ritardo nell’adozione del provvedimento, essendo necessario che il danneggiato provi tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda compreso, appunto, il danno.
In altri termini non può confondersi e sovrapporsi il danno evento (il ritardo nell’adozione del provvedimento) con i danni conseguenza, che devono essere dimostrati.
Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School Of Economics
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