L’Agenzia delle entrate, quando dal controllo sulla posizione economica del contribuente rileva la presenza di elementi indicatori di capacità contributiva incongruenti con i redditi personali dallo stesso dichiarati, procede ad accertamento.
I vari Decreti Ministeriali, succedutisi nel tempo a partire dal D.M. 10/9/1992 al D.M. 24/12/2012, di determinazione, ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, degli indici e coefficienti presuntivi di reddito o di maggior reddito in relazione agli elementi indicativi di capacità contributiva, sono illegittimi e nulli ai sensi dell’art. 21 septies della L. 241/1990, per carenza di potere e difetto assoluto di attribuzione, in quanto emanati del tutto al di fuori dei limiti della normativa primaria e dei suoi presupposti e al di fuori della legalità costituzionale e comunitaria, perché utilizzano categorie concettuali e elaborazioni non previste dalla norma attributiva, la quale richiede la identificazione di categorie di contribuenti, mentre i vari decreti non individuano tali categorie ma altro, sottoponendo indirettamente – considerata l’ampiezza dei controlli e il riferimento ai nuclei familiari – a controllo anche le spese riferibili a soggetti diversi dal contribuente e per il solo fatto di essere appartenenti al medesimo nucleo familiare. Non va, ancora, sottaciuto che, in particolare, il regolamento del potere esecutivo non fa alcuna differenziazione tra cluster di contribuenti, così come disposto dall’art. 38 del DPR 600/73 e dall’art. 53 della Costituzione, ma, autonomamente, esegue una differenziazione di tipologie familiari suddivise per cinque aree geografiche, ricollocando, quindi, all’interno di ciascuna tipologia figure di contribuenti del tutto differenti tra loro. Non può, cioè, non rilevarsi come l’art. 38 citato parli in modo esplicito di contribuenti e non già di famiglie (non potendo fare altro essendo ciò imposto dall’art. 53 Cost.); contribuenti che devono essere differenziati anche in funzione del nucleo familiare e dell’area territoriale di appartenenza. In definitiva, il riferimento al nucleo familiare e all’area territoriale, sono criteri aggiuntivi che in tutta evidenza devono servire a ulteriormente specificare e, per così dire, concretizzare, il cluster di riferimento già di per sé individuato in base a caratteristiche proprie. I decreti ministeriali, invece, utilizzano, i predetti criteri di complemento come principali ed esaustivi; utilizzano come parametro per determinare le spese medie delle famiglie (peraltro, anche difficilmente armonizzando con Corte Cost. 15/7/1976 n. 179 che aveva escluso la cumulabilità dei redditi dei coniugi) e quelle di cui al programma statistico nazionale predisposto ai sensi dell’art. 13 D.Lgs. 6/9/1989 n. 322; si utilizza, cioè, l’attività dell’ISTAT che nulla ha a che vedere con la specificità della materia tributaria che deve indirizzare la sua indagine alla ricostruzione specifica d’individualizzati profili di contribuenti e non già alla ricostruzione di macro categorie funzionali ad analisi macroeconomiche e sociologiche che proprio per questo sono del tutto eterogenee rispetto al concetto di contribuente. E’, infatti, appena il caso di osservare che il predetto programma statistico nazionale è il piano predisposto per legge dell’ISTAT, nel quale sono esposte le attività statistiche di interesse pubblico che l’ISTAT e altri enti s’impegnano a realizzare nel corso del triennio, al fine di offrire ai cittadini un’immagine non distorta della società e dell’economia nel suo complesso. Si violano gli artt. 2 e 13 Cost., gli artt. 1, 7, e 8 della Carta fondamentale della UE, nonché l’art. 38 del dpr 600/73, poiché prevede la raccolta e la conservazione non già di questa o quell’altra voce di spesa diverse tra loro per genere (come previsto dall’art. 38) ma, a ben vedere, di tutte le spese poste in essere dal soggetto (o per meglio dire: della famiglia), che è, quindi, definitivamente, privato del diritto ad avere una vita privata, di potere gestire autonomamente il proprio denaro e le proprie risorse, ad essere quindi libero nelle proprie determinazioni senza dover essere sottoposto all’invadenza del potere esecutivo e senza dover dare spiegazioni dell’utilizzo della propria autonomia e senza dover subire intrusioni anche su aspetti delicatissimi della vita privata, quali quelli relativi alla spesa farmaceutica, al mantenimento e all’educazione impartita alla prole e alla propria vita sessuale; soppressione, quindi, definitiva di ogni riservatezza e dignità riguardante, peraltro, non solo il singolo contribuente ma in realtà tutti i componenti di quel nucleo familiare.
Basta leggere le tabelle dei D.M. che si prenderà atto che il Fisco: saprà di ciascuna famiglia quante e quali calzature, pantaloni, biancheria intima, ecc. utilizzano i suoi componenti; se questi preferiscono il vino, la birra o analcolici e di che tipo; quanta acqua si utilizza, se sono state eseguite riparazioni di manutenzione ordinaria o straordinaria; addirittura, in manifesta violazione della dignità umana di cui all’art. 1 della Carta dei diritti fondamentali della UE, di quali e quanti medicinali e visite mediche ha necessitano il nucleo familiare e quindi i suoi componenti; quale carburate, lubrificante si utilizza per la propria auto; e, in violazione di ogni diritto dei minori, anche quali libri scolastici e spese assimilabili sono state sopportate (ad esempio, quindi, se quella famiglia necessita di materiale didattico specifico per il figlio affetto da una certa patologia, l’agenzia delle entrate lo verrà a sapere); in violazione dell’art. 18 e 21 della Costituzione l’Autorità governativa saprà quali associazioni culturali, quali manifestazioni culturali sono preferite dal nucleo familiare. Infine, l’Agenzia delle entrate può considerare in ogni caso anche tutte le altre spese non elencate nelle tabelle allegate ai D.M..
L’Autorità esecutiva, in definitiva, si auto attribuisce il potere di raccogliere e immagazzinare ogni singolo dettaglio dal più insignificante al più sensibile della vita di ciascun componente di un nucleo familiare; conferisce all’Agenzia delle entrate un potere che va, quindi, manifestamente oltre quello della ispezione fiscale consentito astrattamente dall’art. 14, co. 3, Cost. che in via eccezionale e manifestamente tassativo non richiede la riserva di giurisdizione. Infatti, è previsto dal Regolamento ministeriale un potere di acquisizione, archiviazione e utilizzo di dati di ogni genere che nulla ha a che vedere con la mera ispezione, rappresentando un potere di cui non gode persino l’autorità giudiziaria penale, che pure è destinataria di potere non di controllo generalizzato e indiscriminato ma sempre con riferimento a indagini riferite a specifici reati ipotizzati.
I regolamenti, ancora, violano il diritto alla difesa ex art. 24, il principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost. e l’art. 38 dpr 600/73, in quanto rendono impossibile fornire la prova di avere speso di meno di quanto risultante dalle predette Media Istat: ed, infatti, non si vede come si possa provare ciò che non si è fatto, ciò che non si è comprato, atteso che – anche a volere prevedere una impossibile e improbabile conservazione di tutti gli scontrini e una altrettanto improbabile analitica contabilità domestica – è chiaro che tale documentazione non dimostrerà che non è stata sopportata altra concreta spesa. Si arriva così all’irragionevole ricostruzione di spese artificialmente imposte dall’autorità governativa, mercé le quali si può di fatto intensificare il prelievo fiscale in violazione dell’art. 53, 1° e 2° comma, della Costituzione.
E’, altresì, rilevante osservare che l’ipotesi di spese minori di quelle presuntivamente ancorate alle medie non sono improbabili ma, invece, assolutamente certe: ed, infatti, se vi è una media di spesa, significa che sono state registrate nella realtà economica fasce di oscillazione da un minimo a un massimo, sicché è certo che coloro che si ritroveranno al di sotto di tale media si vedranno attribuire automaticamente consumi non sostenuti.
I Regolamenti, ancora, accomunano situazioni territoriali differenti, in quanto altro è la grande metropoli altro è il piccolo centro e altro ancora è vivere in questo a quel quartiere; violano i principi di eguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità, in quanto, a ben vedere, non è strumento idoneo a raggiungere in modo adeguato i prefissi obiettivi di repressione dell’evasione fiscale, pur sacrificando del tutto il diritto alla dignità, all’autodeterminazione e alla privatezza della propria vita individuale, associativa, culturale e relazionale non solo del singolo contribuente ma di tutto il suo nucleo familiare; ed, infatti, lo strumento induttivo è tanto più severo quanto più il presunto evasore è economicamente meno robusto; al soggetto, infatti, meno abbiente, s’impone in modo fittizio una spesa anche maggiore di quella reale, presumendo, quindi, una evasione fiscale in caso di acquisto di taluni beni di valore eccedenti l’area di tolleranza; il contribuente (o per meglio dire: il nucleo familiare) più economicamente benestante, invece, ne trae beneficio, in quanto sarà sufficiente evitare di acquistare la merce con sistemi telematicamente e potrà, quindi, spendere nella realtà molto di più di quanto, invece, in assenza di costi tracciabili, gli sarà presuntivamente imputato: in definitiva, più è benestante l’evasore potenziale, più è agevolato nel sottrarsi a tale controllo, anche perché, anche a volere tracciare i pagamenti, proprio in ragione del suo benessere per così dire ufficiale, potrà giustificare una serie di spese che vanno oltre il area di tolleranza e continuare ad accumulare reddito non dichiarato.
I Decreti, ancora, accentuano le predette discriminazioni anche in considerazione dell’insufficiente differenziazione geografica effettuata con indagine di tipo statistico funzionale a riflessioni macroeconomiche e a ricostruzioni di tendenze di massima della società, posto che si è tenuto conto di cinque aree territoriali: ebbene, è noto che all’interno della medesima Regione e, anzi, della medesima Provincia vi sono fortissime oscillazioni del costo concreto della vita, così come altrettanto forti oscillazioni vi possono essere all’interno di una medesima area metropolitana a seconda del quartiere in cui si vive.
Anche sotto tale profilo, lo strumento presuntivo approntato dai DD.MM. tendono a pregiudicare fatalmente la fascia di popolazione economicamente meno forte in favore di quella più forte; la media, infatti, come detto, è la risultante di valori opposti tra loro: ebbene, è noto che il costo della vita è inferiore nelle zone economicamente meno sviluppate, mentre, invece, è più alto nelle zone economicamente più robuste. Se ciò è vero. Allora i contribuenti delle zone più disagiate perderanno anche , per così dire, il vantaggio di potere usufruire di un costo della vita inferiore, in quanto gli sarà imputato in ogni caso il valore medio ISTAT delle spese; i contribuenti agiati delle zone economicamente più forti, invece, potranno addirittura utilizzare il redditometro a proprio vantaggio, mentre il contribuente economicamente meno agiato che però vive nell’area economicamente più costosa, ove utilizzi mezzi di pagamento tracciabili, sarà quello fatalmente più esposto al controllo da parte dell’Agenzia delle entrate. Situazione analoga si verificherà per il contribuente economicamente agiato che viva in zone col costo della vita inferiore alla media: ed, invero, in ragione di ciò egli potrà più agevolmente di altri accantonare risparmi; ma, poiché la quota risparmio è anch’essa considerata ai fini della ricostruzione del reddito, tale risparmio, se non compatibile, con la stessa media presunta, sarà inevitabilmente attribuito a reddito illecitamente sottratto al Fisco.
I Decreti, per quanto detto, si pongono in contrasto con l’art. 47 Cost., secondo cui la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme: non vi è chi non veda che, per com’è impostato il redditometro, sarà considerato lecito esclusivamente il risparmio che sia compatibile con tali criteri di spesa del tutto astratti e avulsi dalla realtà, in quanto scontano il fatto di avere mutuato elaborazioni statistiche nate per altri fini. Ancora, sono in contrasto con i principi fondamentali d’imparzialità, buon andamento dell’Amministrazione, nonché con i conseguenti corollari di cui alla L. 241/1990, dei principi di leale collaborazione procedimentale volta ad assicurare uno scambio di informazioni in una logica non di antitesi ma collaborativa, in quanto il diritto al contraddittorio assicurato al contribuente è in gran parte svuotato di effettività appena si ponga mente alla circostanza che: a) si è in presenza di un procedimento di tipo eminentemente inquisitorio e sanzionatorio; b) i soggetti a confronto (contribuente e Agenzia) si trovano in posizione di fortissima asimmetria, in quanto l’Agenzia delle entrate è anche socia della società di riscossione forzata, che gode di poteri di autotutela esecutiva anch’essi del tutto inusuali per la loro incisività sulla proprietà privata, asimmetria che potrebbe essere colmata solo in un confronto innanzi ad un organo terzo; c) l’Agenzia si trova in situazione di oggettivo conflitto di interessi, poiché essa è normalmente vincolata al raggiungimento di obiettivi e di risultati, sicché ha filologicamente interesse alla conferma della propria ipotesi, anche in ragione della sua partecipazione alla società di riscossione; d) proprio in ragione di ciò, cioè della fisiologica previsione di obiettivi di evasione da recuperare, è evidente che l’accertamento presuntivo, mercé il cosiddetto Redditometro, poiché non più ancorato – come nella vecchia disciplina – a dati certi, porta con sé il rischio che l’Agenzia delle entrate, anziché intensificare i controlli sulla realtà ai fini della ricostruzione reale dei redditi, tende a privilegiare l’accertamento reddito metrico: strumento meramente burocratico, meno dispendioso in tempo, di costi e di energia e soprattutto in modo tale da rendere non sempre praticabile un reale contraddittorio, tanto da escludere, anzi, per certi aspetti e in una certa misura, la stessa possibilità di una prova liberatoria.
Dalle considerazioni di ordine generale sopra svolte, salta subito evidente l’irragionevolezza, e quindi la non applicabilità, del risultato redditometrico quando determina, per il possesso di un’automobile immatricolata nel 2001, un reddito di € 43.358,83 (comprensivo di abbattimento del 10%) e un reddito di € 7.560,67 (comprensivo del 40% di abbattimento) per il possesso di altra automobile immatricolata nel 2005. E’ evidente a chiunque l’irragionevolezza dei risultati redditometrici, perché totalmente avulsi dalla realtà e ciò è vero solo se si consideri che l’80% della popolazione, che è notorio dichiarare redditi tra i 15 e i 40 mila euro circa, non potrebbe permettersi il possesso neanche di un’autovettura, quando si sa, invece, che molte famiglie ne possiedono almeno due.
In conclusione, tutte le considerazioni sopra svolte conducono verso la disapplicazione dei Regolamenti posti a base dell’art. 38 dpr 600/73, ai sensi e per gli effetti dell’art. 7, 5° co, del D.Lgs. 546/92.
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