La società con partecipazione pubblica è società di capitali di diritto comune, di cui lo Stato o altro ente pubblico detiene una partecipazione che può essere totalitaria (azionariato di Stato), di maggioranza o di minoranza (società mista). In tutti i casi l’impresa si presenta formalmente come un’impresa societaria privata e soggiace alla relativa disciplina in quanto i tratti pubblicistici si fermano a livello di enti di gestione, senza concernere le strutture operative attraverso le quali agiscono. Sono sottoposti al diritto comune non solo i rapporti esterni di impresa, ma anche i rapporti di organizzazione. La disciplina è quella dettata in generale dal codice civile in materia di società e impresa e quella specifica relativa al tipo societario prescelto.
La tradizionale impostazione di pubblica amministrazione è stata travolta attraverso le così dette privatizzazioni. Con la privatizzazione è infatti accaduto che alcuni servizi pubblici – pur ritenuti essenziali – siano stati affidati a società per azioni le cui quote risultano di pertinenza prevalente, se non esclusiva, di enti pubblici. La giurisprudenza ha così dovuto prendere atto della esistenza di società per azioni che costituiscono <<istituzione pubblica>> affermandone la giurisdizione della Corte dei Conti.
Dunque la qualificazione di un ente come società di capitali non è di per sé sufficiente ad escludere la natura di istituzione pubblica dell’ente stesso, ma si deve procedere ad una valutazione concreta in fatto, caso per caso.
La società per azioni con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato per il solo fatto che l’ente pubblico ne possegga in tutto o in parte le azioni. Pertanto, se la società partecipata dalla mano pubblica si avvale degli strumenti previsti dal diritto societario, essa non può che essere ritenuta un soggetto di natura privata. Le forme privatistiche di esercizio di impresa commerciale potranno eventualmente porre questioni attinenti alla natura pubblica o privata del soggetto partecipato da enti pubblici solo qualora l’aspetto gestionale e di attività di detti enti risultasse completamente avulso dalle regole e dagli schemi del diritto commerciale, così da rappresentare la società un mero organo, un’articolazione che si immedesima nel soggetto pubblico che la partecipa. Su questo tema la giurisprudenza ha affermato che gli indici di valutazione riguardanti sia l’aspetto gestionale che l’attività della società che gestisce il servizio pubblico in favore dell’ente locale che interamente la partecipa attengono in sintesi alla concorrenza dei seguenti dati: a) il soggetto affidatario deve svolgere la maggior parte della propria attività in favore dell’ente pubblico; b) l’impresa non deve aver acquisito una vocazione commerciale che rende precario il controllo dell’ente pubblico e che può risultare, tra l’altro, dall’ampliamento del soggetto sociale, dall’apertura obbligatoria della società ad altri capitali, dall’espansione territoriale dell’attività della società a tutto il territorio nazionale ed all’estero; c) il consiglio di amministrazione della società non deve avere poteri gestionali di rilievo e l’ente pubblico esercita poteri maggiori rispetto a quelli che il diritto societario riconosce alla maggioranza sociale; d) le decisioni di maggior rilievo devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante. (Tribunale Santa Maria Capua Vetere 24 maggio 2011)
Da un punto di vista sistematico, la configurabilità di innesti di disciplina di matrice pubblicistica in soggetti di diritto privato non rappresenta, certo, una novità nell’ambito del nostro ordinamento. Ed infatti, pur in istituti propri del diritto privato, laddove rilevino interessi di valenza sovra individuale, vengono ordinariamente previsti speciali regimi giuridici a tutela degli stessi ed in deroga al regime tipico civilistico. Un esempio classico può esser rinvenuto nel diritto di famiglia, laddove, a tutela di determinati interessi, in quanto ritenuti di rilevanza pubblicistica, è prevista una tutela anche ad iniziativa del pubblico ministero. Analoga fattispecie si riviene anche nell’ambito delle disciplina speciale del fallimento. È prevista, infatti, a tutela delle ricadute di natura pubblica e di allarme sociale connesse alla crisi di impresa, il potere/dovere di iniziativa del pm ai fini della richiesta di dichiarazione di fallimento.
D’altronde, la medesima ratio si pone a fondamento, ad esempio, anche della estensione, in capo a società di diritto privato inquadrabili quali “organismi di diritto pubblico” ( Cfr CdS n 570/13), degli obblighi di evidenza pubblica nella materia dei contratti di cui al Dlgs 163/06, con conseguente radicarsi, con riferimento solo a tale specifico segmento di azione, della giurisdizione esclusiva del GA. Anche in tali casi, infatti, pur non venendo meno la natura di diritto privato della società in questione, rileva un innesto di disciplina speciale, derogante rispetto a quella tipica del regime societario e della ordinaria capacità negoziale, giustificata da un bilanciamento degli interessi in gioco definito in favore della tutela del principio della libera concorrenza.
Appaiono, pertanto, pienamente configurabili, a livello di teoria generale, nell’ambito delle società in parola, segmenti di disciplina speciale rappresentati, tra l’altro, dal regime di responsabilità amministrativa, rimesso alla iniziativa del pm contabile, a tutela della corretta gestione delle risorse pubbliche investite ed affidate all’ente societario. Si tratta, in pratica, di un bilanciamento degli interessi in gioco, che, laddove penda in favore degli interessi pubblici coinvolti, consente segmenti speciali di disciplina, in deroga a quella civilistica, a tutela degli stessi.
Ed invero, con specifico riferimento alla tematica delle società in mano pubblica, si sono espresse in tal senso, da ultimo, anche le SU.
La sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 10299 del 2013 sostiene “non è dato ravvisare la giurisdizione della Corte dei conti in controversie che abbiano ad oggetto la responsabilità per mala gestio imputabile ad amministratori di società a partecipazione pubblica, ove il danno di cui si pretende il ristoro sia riferito al patrimonio sociale, cioè ad un patrimonio che … appartiene alla società medesima, la quale non diviene essa stessa un ente pubblico sol per il fatto di essere partecipata da un ente pubblico”.
Le Sezioni Unite ( Cass. S.U. n. 3/1993 cit.; S.U. n. 4989/1995 cit.; S.U. n. 2738/1997 cit.. Di recente Cass., S.U., 7799/2005 cit.) hanno riconfermato che : <<Normalmente, come è stato già sottolineato dalla stessa Corte (Cass. Sez. Un. 6.5.1995, n. 4989; 6.6.1997, n. 5085; 26.8.1998, n. 8454) la società per azioni con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché lo Stato o gli enti pubblici (Comune, Provincia, etc.) ne posseggano le azioni, in tutto o in parte, non assumendo rilievo alcuno, per le vicende della medesima, la persona dell’azionista, dato che tale società, quale persona giuridica privata, opera “nell’esercizio della propria autonomia negoziale, senza alcun collegamento con l’ente pubblico”: il rapporto tra la società e l’ente locale “è di assoluta autonomia, sicché non è consentito al Comune incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto medesimo e sull’attività della società per azioni mediante l’esercizio di poteri autoritativi o discrezionali”. Invero, la legge non prevede “alcuna apprezzabile deviazione, rispetto alla comune disciplina privatistica delle società di capitali, per le società miste incaricate della gestione di servizi pubblici istituiti dall’ente locale… La posizione del Comune all’interno della società è unicamente quella di socio di maggioranza, derivante dalla “prevalenza” del capitale da esso conferito; e soltanto in tale veste l’ente pubblico potrà influire sul funzionamento della società … avvalendosi non già di poteri pubblicistici che non gli spettano, ma dei soli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri di nomina comunale presenti negli organi della società (v. art. 2459 c.c.)”>>.
Cfr. Cons. Stato, sez. V, 18.09.2003 n. 5361 cit.; da ultimo T.A.R. Toscana, II, 14.10.2005, n. 4677: “La giurisprudenza ha avuto modo di precisare che il rapporto tra il comune e la società per azioni costituita dallo stesso comune per la gestione di un servizio pubblico è di assoluta autonomia, sicchè una società del genere opera come persona giuridica privata, senza alcun collegamento con l’ente pubblico (cfr. Cass. SS.UU. 6 maggio 1995 n. 4989 e 4991). Tali società quindi, in quanto dotate di personalità giuridica e di autonomia imprenditoriale, operano secondo i comuni principi di concorrenza al pari di tutte le altre”,
Tuttavia, come è stato più volte evidenziato dalla Cassazione a Sezioni Unite (ma anche da una parte della giurisprudenza amministrativa ), la società pubblica è un soggetto autonomo rispetto all’ente pubblico proprietario e quest’ultimo non ha poteri ulteriori rispetto a quelli ad esso attribuiti in qualità di socio.
Cfr. F. GALGANO, Il nuovo diritto societario cit., 439 : “Al fenomeno dell’azionariato pubblico (…) il codice civile non dedica che poche norme, quelle degli artt. 2449-51. Ciò non denota scarsa considerazione legislativa per il fenomeno: ciò denota, tutto all’opposto, un preciso intento degli artefici del codice civile, quello di assoggettare la società in mano pubblica, salvo quanto disposto dalle norme ora citate, alla medesima disciplina applicabile alla società in mano privata. Nella relazione ministeriale, n. 998, è detto espressamente che <<la disciplina comune della società per azioni deve applicarsi anche alle società con partecipazione dello Stato o di enti pubblici senza eccezioni, in quanto norme speciali non dispongano diversamente>>”.
In una recente decisione n. 7345 del 2005 il Consiglio di Stato definisce senza mezzi termini “società privata” una società posseduta al 99% da un soggetto pubblico. Le citate decisioni suscitano interesse, in quanto riconoscono che la società pubblica è un soggetto autonomo, dotato di vita propria, titolare di diritti e regolato dal diritto privato.
L’ente pubblico in linea di principio può partecipare alla società di diritto comune soltanto se la causa lucrativa è compatibile con la realizzazione di un proprio interesse. La Suprema Corte ha, infatti, rilevato che l’interesse che fa capo al socio pubblico si configura come di rilievo esclusivamente extra sociale, con la conseguenza che le società partecipate da una pubblica amministrazione hanno comunque natura privatistica. Il rapporto tra società ed ente è di assoluta autonomia non essendo consentito al secondo di incidere unilateralmente sullo svolgimento dello stesso rapporto e sull’attività della società mediante poteri autoritativi, ma solo avvalendosi degli strumenti previsti dal diritto societario e mediante la nomina dei componenti degli organi sociali (La Cassazione ha affermato reiteratamente che «la società per azioni non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché l’Ente pubblico ne possegga in tutto o in parte le azioni…» (cfr. Cass, Sez. Un., n. 7799 del 2005; Cass. Sez. Un., n. 4991 del 1995, Cass., Sez. Un., n. 17287 del 2006).
Insomma il legislatore ha inteso equiparare le società partecipate da una P.a. a quelle partecipate esclusivamente da soggetti privati ed infatti nella Relazione al codice civile si legge che «in questi casi è lo Stato che si assoggetta alla legge della società per azioni per assicurare alla propria gestione maggiore snellezza di forme e nuove possibilità realizzatrici. La disciplina comune della società per azioni deve pertanto applicarsi anche alle società con partecipazione dello Stato o di enti pubblici senza eccezioni, salvo che norme speciali non dispongano diversamente».
Indipendentemente dalla natura dell’attività svolta, la società a partecipazione pubblica è per l’ordinamento un imprenditore commerciale e come tale assoggettato al relativo statuto a cominciare dalle procedure concorsuali. La Suprema Corte ha, d’altra parte, avuto modo di affermare che le società partecipate da un ente pubblico non perdono la loro natura privatistico-commerciale per il solo fatto che il loro capitale sia alimentato da conferimenti provenienti da soggetti pubblici. (Cass., Sez. Un., 19 dicembre 2009, n. 26806)
Lo stesso TAR della Campania ha ritenuto che “i limiti soggettivi circa la partecipazione proprietaria che deve essere di mano pubblica, gli altri vincoli esistenti relativamente alla circolazione del capitale sociale e l’oggetto sociale –benchè consistente, senza incertezze , nello svolgimento di un servizio pubblico, qual è la gestione ed il trattamento delle risorse idriche- non sono affatto significative per attribuire ad Alto Calore Servizi s.p.a. la natura di soggetto pubblico.” ( sentenza n. 2569/2015)
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento