Ci si domanda se sia possibile che uno dei due coniugi, in sede di giudizio di separazione e successiva divisione dei beni, abbia diritto ad ottenere la metà del valore del bene immobile oggetto di contratto preliminare d’acquisto stipulato dall’altro coniuge, durante il matrimonio, sebbene ancora non sia stato stipulato alcun contratto definitivo. In sostanza, può la ex moglie rivendicare la titolarità del diritto di credito oggetto del preliminare detto, a seguito della separazione e in sede di giudizio di divisione dei beni caduti in comunione?
Al fine di rendere compiuta risposta alla questione giuridica sopra delineata, è necessario affrontare due passaggi fondamentali.
Anzitutto si deve capire quale sia l’oggetto del regime della comunione legale e se vi rientrano i diritti di credito acquisiti da uno dei due coniugi durante il matrimonio, in particolare il diritto di credito scaturente dalla stipula del contratto preliminare di acquisto. Subito dopo aver esaminato tale punto si potrà valutare se tale diritto di credito potrà essere oggetto di divisione giudiziale, a seguito della separazione dei due coniugi.
La comunione dei beni è, in mancanza di differente convenzione stipulata dai due coniugi, il regime patrimoniale legale della famiglia.
Il regime di comunione legale tra coniugi consente di regolare i loro rapporti conformemente ai principi di solidarietà e uguaglianza che caratterizzano l’istituto del matrimonio.
Da ciò ne consegue che il 50% degli acquisti cadono in proprietà indivisa tra i due coniugi.
Oggetto della comunione legale, come recita l’art. 177 C.c., sono gli acquisti compiuti dai due coniugi, insieme o separatamente, durante il matrimonio, ovvero incrementi patrimoniali ottenuti a qualsiasi titolo dai coniugi, purchè non rientrino nel novero dei beni personali, di cui all’art. 179 C.c.
Sono altresì compresi i proventi, quali tutte le utilità tratte da attività diverse da quella di amministrazione dei propri beni. Ed infine oggetto di comunione legale sono le aziende, la cui attività di gestione si presume sia svolta effettivamente da entrambi i coniugi.
Chiarito quanto sopra, ci accingiamo ad esaminare il primo punto, ovvero se i diritti di credito siano ricompresi entro la comunione legale dei beni tra i coniugi e, dunque, nell’ambito della definizione di cui all’art. 177 c.c.
Al riguardo la giurisprudenza di legittimità ha espresso delle opinioni contrastanti.
Conformemente ad un primo indirizzo, posto che la ragione della comunione legale è quella di far godere entrambi i coniugi degli incrementi economici acquisiti nel loro patrimonio, il diritto di credito, che è anch’esso elemento corrispondente ad un incremento patrimoniale, vi sarebbe ricompreso.Così i titoli obbligazionari sono stati reputati appartenenti al regime della comunione legale, seppur acquistati con i proventi di un solo coniuge (Cass. Civ. n. 21098/2007).
Altro orientamento, al contrario, fa leva sulla “relatività” del diritto di credito, posto che esso si trova all’interno di un rapporto giuridico che coinvolge un determinato soggetto attivo, ossia il creditore.
A tal proposito è determinante la sentenza della Corte di Cassazione n. 9845/2012 che prevede come criterio discretivo tra i diritti di credito che rientrano nella comunione legale, e, quelli esclusi, la componente patrimoniale della “suscettibilità di acquisire valore di scambio”. Ne consegue che se il diritto di credito assume tale connotato, come accade per i titoli obbligazionari, sarebbe immediatamente ricompreso nella comunione legale. Qualora facesse difetto tale elemento patrimoniale, ne sarebbe escluso. Tale è il caso del diritto di credito nascente da contratto preliminare di acquisto stipulato da uno dei due coniugi durante il matrimonio.
Con riferimento specifico, dunque, al preliminare d’acquisto, il coniuge che agisce a nome della comunione e senza il consenso dell’altro assume il ruolo di “falsus procurator”. L’’altro coniuge, pertanto, ove non consenta alla ratifica, sarà del tutto estraneo al rapporto derivante dal preliminare. Lo stesso poi non potrà neppure impugnare, ex art. 184 C.c., detto atto in quanto il diritto di credito strumentale si è già detto che non rientra nel novero della comunione legale.
A sostegno della corrente giurisprudenziale di cui sopra, non può non farsi riferimento ad una recentissima sentenza emessa dalla Corte di Cassazione, sez. II civile, in data 3 Giugno 2016, n. 11504. I giudici di legittimità ribadiscono difatti che rientrano nella comunione tra moglie e marito tutti gli atti che comportano un trasferimento del diritto di proprietà sul bene acquistato. A fronte di tale considerazione, non vi rientrano i diritti di credito vantati da uno dei due coniugi, anche se il relativo contratto o l’obbligazione siano sorti durante il matrimonio.
Soltanto a seguito della trasformazione del diritto di credito in un bene allora la proprietà sul bene stesso entra a far parte della comunione.
In particolare, sul preliminare di acquisto, la Corte precisa che esso non comporta il trasferimento immediato del diritto di proprietà sul bene, ma unicamente il sorgere di un diritto di credito in capo all’acquirente a che il proprietario gli trasferisca successivamente la proprietà. Fino a tale momento, pertanto, il credito verso il futuro venditore non rientra nella comunione dei coniugi ma appartiene soltanto al coniuge che ha stipulato il compromesso.
Appare allora chiaro che, alla luce dei più recenti orientamenti giurisprudenziali, il diritto di credito nascente dal contratto preliminare non rientra nella comunione legale. Ne consegue che, se la coppia si separa prima della stipula del contratto definitivo, il coniuge estraneo al rapporto contrattuale non avrà diritto ad ottenere la metà del valore del bene immobile, posto che l’acquirente ex coniuge ha ancora un diritto di credito che, come tale, non rientra nella comunione legale.
Ulteriore conseguenza è la mancanza di facoltà in capo al coniuge non titolare del diritto di credito di poter esperire l’azione di annullamento del contratto preliminare compiuto dall’altro coniuge, prevista dall’art. 184 c.c.
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