Con sentenza numero 28216, del 7 luglio 2016, la III Sez. della Suprema Corte di Cassazione, si è pronunciata sulla questione inerente alla fondatezza dell’eccezione di inutilizzabilità sollevata, ai sensi dell’art. 271 comma I c.p.p., nell’ipotesi in cui ricorra la mancata indicazione, nel verbale di esecuzione delle intercettazioni telefoniche, delle generalità dell’interprete straniero che aveva proceduto alla traduzione delle conversazioni in esse contenute.
Invero, in quella circostanza, l’indagato aveva proposto ricorso avverso l’ordinanza resa in data del 19 giugno 2015, mediante la quale il Tribunale di Palermo aveva riformato, con riferimento esclusivo alla mancanza di gravi indizi di colpevolezza in ordine alla ricorrenza dell’aggravante della transnazionalità, le ordinanze di applicazione di misura cautelare in carcere emesse dal GIP locale, a carico di un cittadino rumeno regolarmente soggiornante in Italia, indagato per i reati di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, aggravati dall’uso della violenza, dal numero dei concorrenti nel reato e da quello delle persone sfruttate.
La Cassazione, in particolare, era chiamata a pronunciarsi sul rilievo attribuito dal ricorrente alla totale assenza, nella redazione dei verbali delle trascrizioni eseguite in quella sede, del nominativo dell’interprete che aveva provveduto all’ascolto, alla traduzione nonché alla trascrizione delle conversazioni dalla lingua rumena a quella italiana, ai fini di una declaratoria di inutilizzabilità delle risultanze intercettive in tal modo acquisite, per violazione della disposizione normativa contenuta nell’art. 271 c.p.p. nella parte in cui prevede che debbano considerarsi inutilizzabili i risultati delle attività captative ogni qual volta esse siano eseguite fuori dai casi previsti dalla legge ovvero in violazione di quanto previsto dall’art. 267 c.p.p., e nell’art. 268 c.p.p., comma I, quest’ultimo statuendo che delle operazioni di intercettazione sia redatto apposito verbale, ai sensi dell’art. 89 disp.att. c.p.p.
Per maggiore chiarezza, si precisa che l’art. 268 comma I c.p.p., prevede che le comunicazioni intercettate siano registrate e delle operazioni sia redatto verbale nel quale, ai sensi del secondo comma, sia altresì trascritto anche solo sommariamente il contenuto delle conversazioni captate. Inoltre, l’art. 89 disp.att. c.p.p. dispone che, nel verbale, siano indicati gli estremi del decreto che ha disposto l’intercettazione, la descrizione delle modalità di registrazione, l’annotazione del giorno e dell’ora di inizio e di cessazione dell’ intercettazione ed i nominativi delle persone che abbiano preso parte alle operazioni di captazione ed ascolto.
A riguardo, la Cassazione ha puntualmente indicato in sentenza, gli orientamenti della giurisprudenza sul punto, essenzialmente riconducibili a due visioni contrapposte in tal modo sintetizzabili :
Secondo una prima interpretazione della normativa vigente, condivisa anche dalla sentenza n. 24141 del 2008, Sez. VI Pen., essendo la traduzione delle conversazioni oggetto di un’attività logicamente e cronologicamente successiva alla loro intercettazione, essa esulerebbe dall’alveo delle operazioni previste dall’art. 89 disp.att.c.p.p. con l’inevitabile conseguenza che le indicazioni del nominativo dell’interprete non fanno parte di quelle da annotare nel verbale delle operazioni, previsto dall’art. 268 comma 1 c.p.p. Difatti, con sentenza del 27 luglio 2007, n. 30783, la stessa Corte di Cassazione, aveva sostenuto che alcuna disposizione normativa presente nel nostro ordinamento sembra ricollegare a tale omissione la nullità o l’eventuale inutilizzabilità delle attività da questo svolta, ben potendosi al più configurarsi come una fonte di mera irregolarità dell’atto, non suscettibile di sanzione endoprocessuale, posto che la verifica della capacità dell’ interprete, la quale implica comunque una preventiva identificabilità personale del soggetto traduttore, è dato rilevabile indipendentemente dall’identificazione dell’interprete, in quanto desumibile dalla correttezza o meno della traduzione eseguita.
A tal proposito, l’ulteriore pronuncia della Sez. V Cass. pen. del 17 giugno 2015 n. 25549, precisava come le: “operazioni di intercettazione, le quali sono svolte, ai sensi dell’art. 268 c.p.p., sotto il diretto controllo dell’autorità giudiziaria, non debbano essere confuse con le operazioni di esse successive, fra le quali vi è la loro verbalizzazione”.
Di converso, il secondo filone interpretativo, avvalorato anche dalla pronuncia oggetto di disamina, identifica l’incertezza assoluta sul nominativo dell’interprete intervenuto in occasione delle operazioni di intercettazione di conversazioni telefoniche, in : “una causa di nullità delle medesime, la quale, data la sua caratteristica di nullità relativa, deve essere immediatamente eccepita rimanendo sanata in caso contrario” ( Cass. Pen., Sez. I, 27 marzo 2008, n. 12954).
E difatti, l’omessa indicazione nel verbale di esecuzione delle intercettazioni, delle generalità dell’interprete di lingua straniera che abbia proceduto all’ascolto, alla traduzione ed alla trascrizione delle conversazioni, non può che rendere inutilizzabili tali operazioni a causa dell’effettiva impossibilità di verificare l’oggettiva correttezza traduttiva degli originali delle intercettazioni registrate.
Invero, la lettura complessiva delle disposizioni contenute nei già citati artt. 268 c.p.p., comma 1ed 89 disp. att. c.p.p., nonché dell’art. 142 c.p.p. per il quale “il verbale è nullo se vi è incertezza assoluta sulle persone intervenute o se manca la sottoscrizione del pubblico ufficiale che lo ha redatto”, ed infine, dell’art. 271 c.p.p., comma 1, secondo il quale “i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati qualora le stesse siano state eseguite fuori dei casi consentiti dalla legge o qualora non siano state osservate le disposizioni previste dall’art. 267 e art. 268, commi 1 e 3″, induce a ritenere che la traduzione delle conversazioni in lingua straniera intercettate non si concretizzi in una attività meramente materiale, ma integri un’opera avente precipuo carattere intellettuale. E’ quindi essenziale che il traduttore abbia la qualifica professionale e le competenze tecniche necessarie, sulla cui sussistenza la difesa deve essere messa in condizione di effettuate i dovuti controlli, ed è per tale motivo che l’art. 268 c.p.p., comma 7, prevede che la trascrizione delle registrazioni debbano essere disposta dal giudice “osservando le forme, i modi e le garanzie previsti per l’espletamento delle perizie”. E’ pur vero che la norma si riferisce al giudice, al dibattimento ed alla perizia, ma è altrettanto vero che la sua ratio non può che riverberarsi anche nelle traduzioni e le consulenze in generale disposte in sede di indagini preliminari dal PM o dalla polizia giudiziaria. Deve ritenersi infatti che, ai fini della conferma di una misura cautelare personale da parte del tribunale del riesame, non potrebbero essere utilizzate le risultanze di una consulenza tecnica disposta dal PM o dalla polizia giudiziaria ed eseguita da un soggetto di cui non vengano indicate le generalità e di cui non sia quindi possibile valutare la capacità professionale e la competenza. Con riferimento, poi, al caso dei brogliacci di ascolto redatti dalla PG incaricata delle indagini, è indubbio che essi siano atti che fanno fede del loro contenuto e della loro provenienza proprio perché redatti da personale della PG, le cui generalità e qualifica sono note in quanto riportate nell’atto stesso; e che è vero che la PG nel corso delle indagini e per ragioni di urgenza, può fare ricorso alla collaborazione di soggetti estranei, ma è anche vero che l’art. 115 disp. att. c.p.p. prevede che “quando per il compimento di atti si avvale di altre persone, la polizia giudiziaria annota altresì le relative generalità e le altre indicazioni personali utili per la identificazione”.
Da quanto finora esposto, emerge esplicita la precisa volontà del codice di rito di rendere note le generalità dei soggetti terzi della cui collaborazione la PG si avvalga nel corso delle indagini, al fine di rendere verificabile da parte della difesa e sin dalla fase delle indagini preliminari, e l’attività investigativa e le attività tecniche attraverso le quali la stessa si è svolta, attribuendosi, in caso contrario, gravità indiziaria a contenuti investigativi che, pur materialmente assunti dalla PG, non sono espressione dell’ attività cognitiva ed elaborativa degli agenti di PG, ma di soggetti estranei non identificabili. Inoltre, come già accennato, il ricorso da parte della PG o del PM a collaboratori esterni dotati di specifiche competenze tecniche è previsto dall’art. 348 c.p.p., comma 4, e art. 359 c.p.p.. L’art. 73 disp. att. c.p.p. tuttavia, prescrive che “Il pubblico ministero nomina il consulente tecnico scegliendo di regola una persona iscritta negli albi dei periti”, in tal modo confermandosi la volontà normativa di attribuire il ruolo di collaboratore del PM o della PG a soggetti terzi, purché “dotati di specifiche competenze tecniche” rilevabili dalla loro identificazione negli atti di indagini cui hanno preso parte indispensabile, altresì, al fine di consentire la verifica dell’insussistenza di situazioni di incompatibilità a carico del traduttore agente, le quali, se presenti, determinerebbero la nullità degli atti dal medesimo compiuti.
Per tali ragioni, non potrà, dunque che pervenirsi ad una del tutto coerente condivisione dei motivi contenuti nella pronuncia di annullamento resa dalla Suprema Corte a seguito di ricorso avverso l’ordinanza del Tribunale di Palermo, e contraddistinta dal numero 28216, avendo il ricorrente correttamente individuato nell’omessa indicazione, nel verbale di esecuzione delle operazioni di intercettazione di cui all’art. 268 c.p.p., comma 1, delle generalità dell’interprete di lingua rumena che ha proceduto all’ascolto delle conversazioni intercettate ad alla loro traduzione e trascrizione, la violazione dei principi normativi che impongono, sin dalla fase delle indagini preliminari, la trasparenza della attività investigativa e la conoscenza della qualifica professionale nonché del grado di competenze tecniche possedute da consulenti, interpreti e traduttori di cui il PM e la PG si siano avvalsi.
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