L’accertamento della falsità della sottoscrizione relativa a una polizza a vita

Sommario: 1. La controversia decisa dal Tribunale di Perugia   con la sentenza n. 2313/2016, depositata il 13.10.2016. – 2. Ammissibilità di una querela di falso – relativamente a un’assicurazione sulla vita – proposta in epoca anteriore alla pronuncia delle SS.UU. della Corte di Cassazione nr. 12307/2015 – 3. Possibile attendibilità dell’esame grafico di una copia fotostatica nel procedimento per querela di falso  – 4. La consulenza grafologica su copia fotostatica: lo stato dell’arte. – 5. Alcune valutazioni conclusive.

 

 

1.Con atto di citazione proposto avanti il Tribunale di Milano la Sig.ra A conveniva in giudizio l’Assicurazione B e il signor C, suo agente, chiedendo accertarsi la falsità della sottoscrizione del Modello W1001 di rettifica di beneficio relativo a una polizza di assicurazione sulla vita stipulata in vita dal signor D con la società B evocata in giudizio, con conseguente dichiarazione di inesistenza e/o nullità o inefficacia dell’appendice nr. 14.447 relativa a tale polizza, con condanna in solido dell’Assicurazione B e del signor C al pagamento in suo favore alla somma di Euro 200.000,00 oltre interessi legali e risarcimento dei danni morali subiti per effetto della condotta dei convenuti e per il ritardo connesso al pagamento di ingente importo da quantificarsi in via equitativa. Esponeva a fondamento della domanda che: in data 7.3.2007 il defunto signor D – con il quale intercorreva un rapporto di lavoro ed anche una relazione di natura sentimentale – aveva stipulato con la società B presso l’Agenzia della compagnia sita in Foligno e a mezzo dell’agente signor C, polizza di assicurazione sulla vita (nr. 3226104) per capitale assicurato di Euro 300.00,00 indicandola quale esclusiva beneficiaria in caso di morte; deceduto il sig. D nel mese di novembre 2008 a causa di un adenocarcinoma diagnosticato agli inizi del 2008, a seguito di contatti con l’Agenzia di Foligno, apprendeva con sua sorpresa di essere beneficiaria della polizza unitamente ai due eredi (figli) del defunto. L’attrice sosteneva di avere intimato alla Compagnia la liquidazione in suo favore dell’intero importo assicurato, contestando l’esistenza di altri beneficiari e di avere appreso che il sig. D con atto del 9.3.2007 (a distanza dunque di pochi giorni dalla stipula della polizza con beneficio disposto in suo esclusivo favore) avrebbe modificato il beneficio estendendolo anche ai figli E e F; sosteneva di aver contestato e disconosciuto in via stragiudiziale l’autenticità della sottoscrizione del modulo di rettifica del beneficio intimando alla compagnia la liquidazione dell’intera somma assicurata e di avere ricevuto, invece, la sola somma di Euro 100.00,00. L’attrice agiva dunque in giudizio chiedendo all’autorità giudiziaria di accertare e dichiarare la falsità della sottoscrizione del modulo di rettifica del beneficio e specificando, nella parte motiva dell’atto di citazione, di proporre “querela di falso nell’eventualità in cui l’Ill. Giudice adito ritenga che detta contestazione debba sollevarsi nelle forme di cui agli artt. 221 2 11 c.p.c.” ….

Il Tribunale di Milano con ordinanza collegiale del 4.10.2010, ritenendo essere stata proposta dall’attrice querela di falso in via principale avente ad oggetto la contestazione dell’autenticità della sottoscrizione del modulo di rettifica dei beneficiari della polizza stipulata dal defunto sig. D, previa separazione della relativa domanda – dichiarando invece la propria competenza con riguardo alle ulteriori domande – dichiarava con esclusivo riguardo alla domanda di accertamento della falsità della sottoscrizione la competenza del Tribunale di Perugia o in via alternativa del Tribunale di Trieste con assegnazione di termini di legge per l’eventuale riassunzione.

Con atto di citazione notificato il 9.12.2010 l’attrice ha riassunto il giudizio avanti al Tribunale di Perugia, evocando in giudizio tutte le parti costituite avanti al Tribunale di Milano e mediante querela di falso  proposta “in via principale” ha chiesto di accertarsi e dichiararsi nei confronti di tutte le parti la falsità della sottoscrizione del modello di rettifica del beneficio relativo alla polizza assicurativa stipulata dal defunto sig D con la società B in data 7.3.2007.

Il Tribunale di Perugia definitivamente pronunciando ogni ulteriore domanda o eccezione disattesa, con la sentenza n. 2313/2016, pubblicata il 13.10.2016, dichiarava la falsità della sottoscrizione apparentemente apposta dal sig D sul modello W1001 di rettifica del beneficio relativo alla polizza assicurativa stipulata con la società B.

 

2. Il convenuto sig. C aveva dedotto l’inammissibilità della querela di falso rilevando che poiché il documento in contestazione era qualificabile quale scrittura privata non riconosciuta né autentica, il ricorso alla querela di falso avrebbe dovuto ritenersi inammissibile. Sul punto, il Collegio ha statuito che l’eccezione suddetta “deve essere rigettata ritenendo il Tribunale di dover far applicazione nel caso di specie – considerato che il giudizio è stato introdotto nel 2010, dunque in epoca anteriore alla recente pronuncia delle SS.UU. della Corte di Cassazione nr. 12307/2015 che ha optato per la c.d. “terza via” sostenendo che laddove si voglia contestare l’autenticità di scritture private provenienti da terzi e in particolare di testamento olografo, la parte interessata deve proporre non già querela di falso ma bensì azione di accertamento negativo della provenienza della scrittura – del principio secondo il quale pur potendo “ …. Le scritture private provenienti da terzi estranei alla lite ….. essere liberamente contestate dalle parti, non applicandosi alle stesse né la disciplina sostanziale di cui all’art. 2702 cod. civ., né quella processuale di cui all’art. 214 cod. proc. civ., atteso che esse costituiscono prove atipiche il cui valore probatorio è meramente indiziario, e che possono, quindi, contribuire a fondare il convincimento del giudice unitamente agli altri dati probatori acquisiti al processo…” deve riservarsi un diverso trattamento a quelle scritture private “… la cui natura conferisce loro una incidenza sostanziale e processuale intrinsecamente elevate, tale da richiedere la querela di falso onde contestarne l’autenticità…” (Cass. SS. UU. 419/2010). Applicando tali principi alla vicenda in esame si osserva che l’atto che parte attrice contesta nella sua autenticità pur provenendo formalmente da soggetto “estraneo” al processo (il defunto Ing. Piva) appare sostanzialmente “connesso” con l’oggetto della lite posto che è in forza di tale scrittura che i convenuti E e F hanno ottenuto parte del premio della polizza, recante in origine quale unica beneficiaria l’attrice e la convenuta B ha provveduto – pur a fronte della contestazione stragiudiziale di autenticità eccepita da parte attrice – al pagamento del premio in favore degli ulteriore beneficiari, sicché non può negarsi, stante la rilevanza che l’atto contestato assume nel rapporto tra le parti in giudizio, che si tratti di scrittura dotata di particolare valore intrinseco che ben può essere contestata nella sua autenticità a mezzo di proposizione di querela di falso, alla luce dell’orientamento della Corte di legittimità in funzione nomofilattica al momento dell’introduzione del giudizio”.

 

3. Il Tribunale di Perugia, motivando sulla ritenuta falsità della sottoscrizione, ha così argomentato: “Il convenuto sig. C nei suoi atti difensivi ha dichiarato che il defunto sig. D dopo aver stipulato polizza assicurativa esclusivamente in favore di parte attrice, avrebbe manifestato la volontà di inserire quali beneficiari anche i suoi due figli e che avrebbe “firmato” il modulo di modifica dei destinatari di polizza non in sua presenza, essendosi l’agente limitato a ritirarlo già firmato. Tale dichiarazione – avente natura sostanzialmente confessoria – appare di estrema rilevanza ai fini della decisione perché attesta che la firma sulla modifica della polizza non fu apposta in presenza dell’agente sig. C. Tale elemento conferma l’esito della CTU disposta in corso di causa, che dopo approfondito esame della scrittura (prodotta in copia) e comparazione con scritture di certa provenienza dell’Ing. Piva ha concluso per la falsità della sottoscrizione, apposta per mera imitazione, conclusione cui è giunto attraverso valutazione metodologicamente corretta ed immune da errori e che il Collegio ritiene di dover integralmente condividere.

I convenuti hanno sostenuto l’inammissibilità della CTU essendo stata l’indagine peritale condotta su una copia della scrittura contestata e non sull’originale. La censura è palesemente infondata. Premesso che la compagnia assicurativa convenuta ha omesso, nonostante il reiterato ordine di esibizione emesso dal GI, di provvedere al deposito della scrittura contestata di cui aveva la disponibilità materiale e giuridica, la conformità all’originale (non prodotto dalla convenuta che ha invece sostenuto l’autenticità dell’atto e sulla quale gravava l’onere di provvedere all’esibizione) della copia della scrittura acquisita in giudizio e sulla quale è stata espletata la CTU non è stata contestata da alcuno dei convenuti e la circostanza che l’esame peritale abbia avuto ad oggetto la copia dell’atto (il cui originale si ripete la Compagnia Assicurativa non ha prodotto sostenendo di “non averlo reperito”) non inficia l’esito della CTU né la rende inutilizzabile. Il deposito dell’originale del provvedimento oggetto di querela di falso infatti, secondo il constante orientamento della Corte di Cassazione, non costituisce condizione di ammissibilità della querela di falso né degli eventuali accertamenti tecnici sul documento, potendo semmai assumere rilevanza ai fini dell’attendibilità di tale accertamento. Nel caso in esame, posto che la compagnia assicurativa convenuta che sostiene invece l’autenticità della modifica di polizza, ha omesso di provvedere al deposito della stessa, pur avendola utilizzata per pagare il premio ai beneficiari ed ha omesso anche di fornire congrui chiarimenti sulle ragioni della mancata produzione, può ritenersi per quanto dichiarato dal CTU che la copia costituisce documento idoneo a formare oggetto di valutazione grafologica, tenuto conto anche delle ulteriori circostanze indiziarie emerse in sede di giudizio e in particolare della circostanza, dichiarata dal convenuto agente signor C, che la firma sul modulo di rettifica non è stata apposta in suo presenza dal sig. D. Il CTU ha sostenuto, con valutazioni che si ripete il Collegio condivide integralmente, la evidente falsità della sottoscrizione, procedendo a comparare la firma del documento prodotto in copia fotostatica con le firme originali apposte da D su altri analoghi moduli assicurativi (con comparizione dunque tra scritture omogenee, coeve e prodotte in circostanze simili). Il CTU ha evidenziato in modo congruo e completo le palesi differenze emergenti tra la firma in contestazione e le firme autografe rilevando in particolare, pur a fronte di somiglianza, discordanze evidenti relative all’assetto grafo-motorio, alla gestione dell’inclinazione degli atti, alla disparità del tono pressorio, alle caratteristiche di gesto ed ha concluso sostenendo che “…All’analisi approfondita la contestata (firma) è un tracciato sostanzialmente diverso rispetto all’autografia, in particolare riguardo al gesto e alla grafomotricità …” ed ha così ritenuto la falsità della sottoscrizione….”.

Dalla decisione del Tribunale di Perugia appare dunque possibile estrapolare il seguente principio di diritto: “In sede di querela di falso, laddove la parte che sostenga l’autenticità della sottoscrizione abbia omesso senza congrue giustificazioni di provvedere al deposito dell’originale della scrittura contestata di cui aveva la disponibilità materiale e giuridica, nonostante il reiterato ordine di esibizione emesso dal Giudice, e al contempo la conformità all’originale della copia della scrittura acquisita in giudizio e oggetto di perizia calligrafica non sia stata contestata da alcuna delle parti, nei casi in cui il CTU ritenga che la copia in esame costituisca un documento idoneo a formare oggetto di valutazione grafologica, il giudizio espresso a seguito dell’esame grafico sulla copia, se congruamente motivato, è da considerarsi attendibile”.

4. In merito al problema dell’attendibilità di un esame grafico condotto su copia fotostatica, la Corte di Cassazione non si è espressa in modo uniforme. Recentemente, la Cass. Civ., Sez. VI-2, con l’ordinanza n° 20484 del 29.09.2014, ha statuito che “in effetti soltanto nel documento originale possono individuarsi quegli elementi la cui peculiarità o addirittura singolarità consente di risalire, con elevato grado di probabilità, al reale autore della sottoscrizione in relazione alla conosciuta specificità del profilo calligrafico, degli strumenti di scrittura abitualmente usati, delle stesse caratteristiche psico-fisiche del soggetto rappresentati dalla firma; non può invece che risultare inattendibile un esame grafico condotto su di una copia fotostatica, essendo questa inidonea a rendere percepibili segni grafici personalizzati ed oggettivi”, con un richiamo espresso ad una precedente pronuncia (Cass. Civ., Sez. II, n. 1831 del 18.02.2000) secondo la quale “Solo se compiuta sul documento originale – in relazione al quale è configurabile l’accertamento dell’autenticità -la verificazione può utilmente condurre, in alternativa al riconoscimento, al risultato di attribuire la dichiarazione al suo apparente sottoscrittore. Tale attribuzione non potrebbe essere giustificata dalla verificazione operata su una copia (…)”.

Diversamente, secondo altro orientamento (Cass. Pen., n. 42938 del 21.11.2011) Nessuna norma impone che la perizia grafologica su di un documento sospettato di falsità debba necessariamente svolgersi sull’originale e non su di una copia fotostatica”. (conforme, Cass. Pen., n. 7175 del 03.07.1979).

Parte della dottrina e della giurisprudenza, con un orientamento a nostro avviso condivisibile, osservano però come  il contrasto sia solo apparente, essendo opposti gli obiettivi che un’indagine grafologica si propone con riguardo al procedimento di verificazione di una scrittura, nel quale appare necessario l’esame grafico dell’originale la cui sottoscrizione è disconosciuta, piuttosto che nel caso di querela di falso.

In proposito, osservava lucidamente il Tribunale di Messina, con  sentenza del 27 novembre 2002: “Secondo costante indirizzo della Suprema Corte, invero, il deposito dell’originale del documento impugnato non è condizione di ammissibilità della querela di falso e nemmeno, a rigore e per coerente conseguenza, dello svolgimento dei successivi accertamenti tecnici, risolvendosi soltanto in eventuale limite, apprezzabile a posteriori, della materiale eseguibilità e dell’efficacia probatoria degli accertamenti medesimi (v. Cass. 6 febbraio 2002, n. 1591; 18 giugno 1996, n. 5350 in Giust. Civ. 1997, I, p. 164). Nei casi in cui il consulente stesso affermi di poter ugualmente giungere a conclusioni certe, senza margini di dubbio, già sulla base della copia (conforme all’originale) utilizzata, specie allorquando tali conclusioni siano nel senso della falsità del documento, non si vede ragione né logica né tecnica perché abbia a negarsi attendibilità a tale valutazione e se ne debba richiedere una (inutile e dispendiosa) ripetizione sulla base dell’originale. Ciò è quanto esattamente accade nella specie, laddove il consulente, senza nemmeno precisare se ha operato su copia o sull’originale, del quale peraltro – come detto – avrebbe potuto avere facile e immediata disponibilità, non esprime alcun dubbio sull’esito degli accertamenti operati, nemmeno nel senso di prospettare l’utilità di una ulteriore verifica sulla base dell’originale. Egli piuttosto giunge, sulla scorta di valutazioni essenzialmente legate a caratteristiche fisionomiche univocamente ricavabili anche da una copia (ritmica grafica, inclinazione, rapporti grafometrici ed interletterali), alla inequivoca conclusione di “tecnica impossibilità” che la firma in verifica, a nome di X.Y., possa definirsi autografa.

Non si ignora che, con riferimento al procedimento di verificazione di scrittura privata disconosciuta (art. 217 c.p.c.), ossia in ambito argomentativo bensì diverso ma contiguo, trovasi pacificamente affermato in giurisprudenza un principio apparentemente in contrasto, e cioè che all’istanza di verificazione può darsi corso (e la verificazione utilmente essere compiuta) solo se è acquisito al processo l’originale della scrittura medesima. …(omissis) dato che il sistema di fotocopiatura, prestandosi a svariate manipolazioni, non garantisce nemmeno l’unicità dell’atto riprodotto e, quindi, che il sottoscrittore abbia partecipato alla redazione dell’atto” (così ex multis Cass. 18 febbraio 2000, n. 1831; 19 ottobre 1999 n. 11739).Il contrasto tra i due orientamenti è, però, solo apparente come può comprendersi alla luce del su evidenziato obiettivo dell’indagine di verifica e della peculiare utilità che, rispetto ad esso, solo l’analisi dell’originale può offrire: obiettivo che è esattamente opposto a quello che un’indagine grafologica si propone nel caso di querela di falso. Mentre infatti nel caso del procedimento di verificazione si tratta di attribuire la dichiarazione al suo apparente sottoscrittore, partendosi da una situazione in cui tale attribuzione è esclusa a seguito del tempestivo disconoscimento, nel caso del giudizio di falso si tratta, all’opposto, di smentire detta attribuzione superando la forza dimostrativa legale che di essa discenda dalla natura dell’atto (atto pubblico o scrittura privata riconosciuta). Mentre nella prima direzione (verificazione) l’utilizzo della copia non può mai dare risultati di certezza “dato che il sistema di fotocopiatura, prestandosi a svariate manipolazioni, non garantisce nemmeno l’unicità dell’atto riprodotto e, quindi, che il sottoscrittore abbia partecipato alla redazione dell’atto”,nella direzione opposta (accertamento del falso) quest’ultimo limite sussiste solo se l’accertamento tecnico condotto sulla copia, in ipotesi, non consenta di negare l’attribuzione della firma al suo apparente sottoscrittore, ma non quando esso già lasci emergere, senza margini di dubbio, la falsità dell’atto. Rispetto a tale fine dimostrativo, ove adeguatamente motivato sul piano tecnico grafologico, nessuna utilità aggiuntiva potrebbe apportare l’analisi dell’originale, non essendo logicamente ipotizzabile che lo studio di questo possa condurre a far ritenere autentico quello che l’analisi della copia (conforme all’originale) ha già dimostrato essere falso”.

 Sul punto, dal punto di vista tecnico si segnala anche la seguente pronuncia del Tribunale di Bari Sez. II, 04.01.2007 secondo cui, “In mancanza dell’originale la consulenza grafologica può essere disposta anche su copia conforme e se secondo il motivato rilievo del ctu, per lo stato di conservazione del documento, la circostanza non impedisce lo svolgimento dell’indagine e da essa emerga che la sottoscrizione verificata, per quantità e qualità delle identità rilevate con le firme di comparazione, può ricondursi grafologicamente alla manualità del soggetto cui è attribuita, in assenza di altri elementi che confortino la tesi del carattere apocrifo, la sottoscrizione deve ritenersi autentica.”

Tale decisione riproduce un modus operandi comune della maggior parte dei Tribunali, secondo cui la Consulenza grafologica su copia fotostatica può essere effettuata se il CTU è in grado di motivare la ragione tecnica per cui è possibile ricondursi una scrittura privata ad un determinato soggetto.

Il Tribunale di Perugia, infine, con la recentissima sentenza sopra esaminata, la n. 2313/2016, depositata il 13.10.2016, ha mostrato di condividere l’orientamento favorevole alla possibile attendibilità di un esame grafico di copie fotostatiche (conformi all’originale) nel corso di un giudizio per querela di falso, a patto che non risulti possibile sottoporre a perizia l’originale, e ciò perchè la parte che sostenga l’autenticità della sua sottoscrizione ne abbia omesso senza congrue giustificazioni il deposito – pur avendone la disponibilità materiale e giuridica – così disattendendo il reiterato ordine di esibizione impartito dal Giudice.

5. A giudizio di chi scrive, il contrasto emerso in giurisprudenza, in ordine al problema dell’attendibilità dell’esame grafico di copie fotostatiche potrebbe in effetti definirsi apparente, con specifico riguardo alle conclusioni cui i Giudici di volta in volta sono pervenuti, a prescindere dalle argomentazioni utilizzate. Allo stato, infatti, è riscontrabile una certa uniformità di valutazioni in ordine alla possibile attendibilità di una perizia grafologica eseguita su semplici fotocopie nell’ambito dei procedimenti per querela di falso (ove ricorrano alcune delle condizioni di cui si è trattato nel precedente paragrafo), nonché in ambito penale.

Di converso, la giurisprudenza maggioritaria, con riguardo al procedimento di verificazione delle scritture private, tende per lo più a escludere la possibilità di disporre utilmente l’esame grafico di una copia fotostatica.

Lo ha fatto recentemente la Corte di Cassazione asserendo che  “non può invece che risultare inattendibile un esame grafico condotto su di una copia fotostatica, essendo questa inidonea a rendere percepibili segni grafici personalizzati ed oggettivi (cfr. ordinanza n° 20484 del 29.09.2014).

In realtà, la ragione deve identificarsi (come a suo tempo ben evidenziato dal Tribunale di Messina con sentenza del 27 novembre 2002:) nella circostanza per cui nel procedimento di verificazione si tratta di attribuire la dichiarazione al suo apparente sottoscrittore, partendosi da una situazione in cui tale attribuzione è esclusa a seguito del tempestivo disconoscimento, e tal scopo l’utilizzo della copia non può mai dare risultati di certezza “dato che il sistema di fotocopiatura, prestandosi a svariate manipolazioni, non garantisce nemmeno l’unicità dell’atto riprodotto e, quindi, che il sottoscrittore abbia partecipato alla redazione dell’atto”.

Invece, sempre secondo il Tribunale di Messina, “nella direzione opposta (accertamento del falso) quest’ultimo limite sussiste solo se l’accertamento tecnico condotto sulla copia, in ipotesi, non consenta di negare l’attribuzione della firma al suo apparente sottoscrittore, ma non quando esso già lasci emergere, senza margini di dubbio, la falsità dell’atto. Rispetto a tale fine dimostrativo, ove adeguatamente motivato sul piano tecnico grafologico, nessuna utilità aggiuntiva potrebbe apportare l’analisi dell’originale, non essendo logicamente ipotizzabile che lo studio di questo possa condurre a far ritenere autentico quello che l’analisi della copia (conforme all’originale) ha già dimostrato essere falso”.

Sentenza collegata

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Stefano Gallandt

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