È noto che al fine di quantificare l’eventuale assegna di mantenimento dovuto dalla parte con maggiori capacità economiche, rispetto all’altra, occorre verificare le condizioni patrimoniali di entrambi, tanto al fine di rispettare il tenore di vita goduto dal richiedente durante il matrimonio o la convivenza.
Ciò posto, la valutazione delle condizioni economiche, pur non richiedendo una rigorosa determinazione degli esatti redditi posseduti dalle parti, essendo a tal uopo sufficiente una verosimile ricognizione delle complessive situazioni patrimoniali, può anche prendere in considerazione la disparità attuale delle posizioni economiche dei coniugi (Cass. n. 17812/2015).
A tal proposito è stato stabilito che, “nella determinazione dell’assegno di mantenimento deve tenersi conto del tenore di vita “normalmente” godibile in base ai redditi percepiti dalla coppia, e, pertanto, colui al quale è riconosciuto il diritto a quell’assegno può chiedere, per tale titolo, le somme necessarie ad integrare entrate sufficienti a soddisfare le sue esigenze di vita personale in relazione al medesimo livello già raggiunto durante il matrimonio, dovendosi, peraltro, escludere, di regola, importi che consentano atti di spreco o di inutile prodigalità del suo destinatario” (Cass. n. 6864/2015).
Tuttavia, gli anzidetti criteri devono tener conto delle potenzialità reddituali di entrambe le parti e, pertanto, anche degli oneri e delle ulteriori responsabilità dell’obbligato in conseguenza della nascita di figli naturali da una successiva unione (Cass. n. 19194/2015).
Per quanto concerne l’abitazione coniugale, appare evidente che alla stessa debba essere dato un valore economico che, pertanto, dovrà essere considerato, e scomputato, dalla determinazione dell’assegno di mantenimento di cui beneficerà l’assegnatario dell’anzidetta casa.
A tal proposito, infatti, è stato ritenuto che “in tema di separazione personale dei coniugi, il godimento della casa familiare costituisce un valore economico – corrispondente, di regola, al canone ricavabile dalla locazione dell’immobile – del quale il giudice deve tener conto ai fini della determinazione dell’assegno dovuto all’altro coniuge per il suo mantenimento o per quello dei figli” (Cass. n. 25420/2015)
Analogamente, anche l’eventuale debito contratto per l’acquisto dell’abitazione, a maggior ragione se all’interno vi abitano anche i figli minori, deve essere valutato ai fini del computo dell’assegno di mantenimento, tanto ha stabilito la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 24821, pubblicata in data 5 dicembre 2016.
La stessa ha avuto modo di occuparsi della questione a seguito del ricorso del convivente obbligato che lamentava la circostanza per cui, la Corte di merito, aveva integrato, in aumento, il mantenimento determinato per il minore con una quota delle spese che la madre doveva sostenere per la propria abitazione, così erroneamente estendendo la normativa sulla separazione dei coniugi alla coppia di fatto.
Nel rigettare il ricorso la Suprema Corte richiama l’art. 337 ter Cc, intitolato “Provvedimenti riguardo ai figli” e, in particolare, il comma IV, a mente del quale, salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando: 1) le attuali esigenze del figlio. 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori. 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore. 4) le risorse economiche di entrambi i genitori. 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
L’assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice.
Ciò posto, ha ritenuto che il giudice di merito, correttamente, “nel determinare l’assegno periodico a norma dell’art. 337-ter cod. civ., ha considerato, ai fini della verifica -prescritta dal comma IV, n.4 di tale articolo- in ordine alle risorse economiche di entrambi i genitori, anche il debito gravante sulla C per disporre di una abitazione, peraltro non solo per sé ma anche per il figlio minore”.
Il ricorso, pertanto, trattato in camera di consiglio a norma dell’art. 380 bis Cpc, è stato rigettato, con condanna del ricorrente al rimborso in favore della controparte delle spese di questo giudizio di cassazione.
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