La prima Sezione Civile della Corte di Cassazione ha di recente affermato come la responsabilità dell’amministratore di una S.p.A. debba riconoscersi in determinate occasioni anche se valutata in relazione alle operazioni compiute in via esclusiva da parte di un diverso amministratore munito di delega. L’opinione in forza della quale l’amministratore sarebbe esentato da qualsiasi profilo di responsabilità per le attività non comprese nel suo incarico è stata in parte disattesa e chiarita dalla Suprema Corte con sentenza del 31 agosto 2016 n. 17441. Tale affermazione, tuttavia, sembra trovare una apparente conferma a fronte della riforma societaria del 2003 per cui non sussisterebbe più alcun obbligo per l’amministratore sprovvisto di delega di vigilare sull’altrui operato gestorio.
La precedente formulazione dell’art. 2392 c.c. contemplava, infatti, l’obbligo per gli amministratori di adempiere ai doveri sociali attribuitigli dalla legge e dall’atto costitutivo con un grado di diligenza equiparabile a quello richiesto ai mandatari. La carente vigilanza sull’andamento generale della gestione societaria rappresentava, poi, una ulteriore ipotesi di responsabilità contrattuale per tutti gli amministratori i quali, pur provando la loro estraneità al novero delle competenze che si intendevano violate, fallivano nel dimostrare l’assenza di colpa in merito al mancato controllo dell’attività lesiva per l’impresa. Il d.lgs. n. 6/2003 ha così modificato l’art. 2392 al fine di evitare che la formulazione di cui al previgente secondo comma finisse, in estremo, per costituire un’autentica responsabilità oggettiva in capo agli amministratori che, concretamente, non avevano operato in danno della società. Il nuovo testo dell’art. 2392, secondo comma c.c. recita: “In ogni caso gli amministratori, fermo quanto disposto dal comma terzo dell’articolo 2381, sono solidalmente responsabili se, essendo a conoscenza di fatti pregiudizievoli, non hanno fatto quanto potevano per impedirne il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose”.
Orbene, il Giudice di legittimità ha evidenziato come il predetto riferimento all’art. 2381 c.c. non debba concentrarsi unicamente alla disposizione di cui al terzo comma, bensì, interessi anche il sesto comma di tale norma in virtù del quale gli amministratori hanno l’obbligo agire informati, potendo chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione societaria. Ne discende il compito di valutare l’andamento generale della suddetta gestione nonché l’adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili. I dati forniti dagli organi delegati, salvo segnali di allarme che giustificherebbero la richiesta di ulteriori informazioni (si veda Cass. n. 22848/2015), riguarderebbero aspetti attinenti al complesso delle attività svolte dal singolo incaricato, dunque, aspetti connotati da sostanziale generalità. Si esclude, così, qualsivoglia obbligo di vigilanza in merito ai singoli atti di amministrazione da parte dei soggetti che non hanno contribuito al loro compimento.
Il dovere di impedire fatti pregiudizievoli dei quali gli amministratori (non operativi) abbiano avuto conoscenza cela, d’altro canto, un obbligo positivo di condotta da parte di tutti coloro i quali, per la natura dell’incarico e per le competenze di cui sono destinatari nell’ambito dell’organo gestorio, siano tenuti ad acquisire di propria iniziativa le informazioni manifestanti il pericolo e/o il danno per la società. La Corte di Cassazione ha, invero, ricordato come la diligenza esigibile dall’amministratore non sia più riferibile alla figura del mandatario, bensì, a quella delineata al secondo comma dell’art. 1176 c.c. Ne deriva che la valutazione della condotta debba effettuarsi alla luce delle circostanze del singolo caso concreto, utilizzando come parametro di riferimento la posizione che l’individuo ricopre all’interno del consiglio di amministrazione, le specifiche competenze per cui è stato nominato dalla società e l’essenziale formazione (tecnica, contabile etc.) di cui questi dispone per lo svolgimento delle mansioni attribuitegli.
La Suprema Corte ha, quindi, riformato la sentenza della Corte d’appello che, addossando una responsabilità oggettiva in seno ai due amministratori sprovvisti di delega, non ha tenuto conto delle informazioni loro fornite e, soprattutto, della apparente plausibilità di esse: nonostante i dati siano stati alterati dall’amministratore operativo, gli elementi raccolti non erano tali da richiamare l’attenzione dei due ricorrenti e, quindi, da determinare una colpa per la loro condotta inerte.
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