Con la sentenza n. 1952 depositata il 17.11.2016, il Tribunale di Brindisi, in persona del giudice onorario, avv. Luigia Fiorenza, ha dichiarato l’inammissibilità di un’azione di nullità di clausole di conto corrente e ripetizione d’indebito per essere stata, la medesima, proposta dagli ex soci di una cessata società in accomandita semplice.
La peculiarità della decisione consiste nel fatto di aver esteso l’operatività della Riforma del diritto societario (D.Lgs. n. 6 del 2003) ad una fattispecie di cancellazione anteriore rispetto alla sua entrata in vigore.
Il Tribunale ha in primo luogo esaminato l’eccezione preliminare sollevata dalla banca, secondo cui con la cancellazione dal Registro delle Imprese della società, avvenuta circa dieci anni prima rispetto all’avvio del giudizio, i singoli soci non erano legittimati all’esercizio delle azioni giudiziarie, la cui titolarità sarebbe spettata alla società prima della cancellazione.
Su tale aspetto la giurisprudenza, che si è formata negli ultimi anni a seguito della pronuncia della cassazione a Sezioni Unite n. 4062 del 2010, ha ribadito che le società, comprese quelle di persone, si estinguono definitivamente con la cancellazione dal Registro delle Imprese per effetto della riforma del diritto societario, introdotta dal D.Lgs. n. 6 del 2003, e che in tale caso i singoli soci non sono legittimati all’esercizio di azioni giudiziarie la cui titolarità sarebbe spettata alla società, ma che questa ha scelto di non esperire sciogliendosi e facendosi cancellare dal Registro.
Prima della Riforma del 2003, invece, costituisce ius receptum che l’atto formale di cancellazione di una società dal Registro delle Imprese aveva funzione di pubblicità e non ne determinava l’estinzione, nel caso in cui non fossero ancora esauriti tutti i rapporti giuridici facenti capo alla società stessa.
La giurisprudenza era, infatti, favorevole ad una interpretazione che disponeva per la prosecuzione della capacità giuridica e della soggettività della società stessa dopo la cancellazione dal Registro delle Imprese e dopo il loro scioglimento e la successiva liquidazione del patrimonio sociale.
La situazione muta con l’introduzione del D.Lgs. n. 6 del 2003 e con la successiva evoluzione della giurisprudenza che sancisce il principio secondo cui alla cancellazione della società dal Registro delle Imprese consegue l’estinzione della stessa e l’esclusione di una qualunque successione (cfr. ex multis Cass., n. 16758/2010).
Quindi, se la società sia stata posta in liquidazione o comunque sciolta decidendo di non intraprendere una certa azione giudiziaria, tanto è sintomo della volontà della società stessa di rinunciare all’azione e, di conseguenza, nessuna posizione giuridica può essere trasmessa ai soci che non sono legittimati ad agire in giudizio in luogo della società estinta.
In base a questo orientamento alla cancellazione/estinzione corrisponde la volontà tacita della società di abdicare ai suoi diritti residui.
Il suddetto orientamento è stato anche ripreso dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite nella sentenza n. 6070/2013 che ha così stabilito “Qualora all’estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina u fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali;b) si trasferiscono del pari ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, i diritti ed i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, ma non anche le pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato”.
Nel giudizio de quo, osserva il Tribunale di Brindisi, i soci della cessata società hanno avanzato pretese nei confronti della banca per un diritto di credito, contestato dalla stessa, e quindi controverso, per accertare il quale sarebbe stata necessaria una ulteriore attività giudiziale.
Ma applicando quanto statuito dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, tali pretese devono intendersi rinunciate a favore di una più rapida conclusione del processo estintivo; ed infatti, nel caso de quo, i soci della società cancellata, pur essendo consapevoli dell’esistenza dei contratti di conto corrente oggetto di causa, hanno tuttavia dato luogo allo scioglimento anticipato della società senza messa in liquidazione, espressamente dichiarando, con evidente volontà abdicativa rispetto ad ogni eventuale pretesa riferibile ai rapporti per cui è causa, l’inesistenza di debiti sociali.
Gli attori, pertanto, prima dell’interruzione del giudizio erano carenti di legittimazione attiva ed il giudice, a seguito di tanto, ha dichiarato inammissibile la domanda avanzata dagli stessi nei confronti della banca.
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