La terza Sezione della Cassazione Civile si è nuovamente espressa in ordine alla qualificazione del comodato di un immobile destinato ad uso familiare respingendo, in tal guisa, l’eventualità che spetti al comodante il diritto di richiedere la restituzione del bene nelle modalità e ai sensi dell’art. 1810 c.c. La Suprema Corte ha escluso il carattere c.d. “precario” del menzionato istituto per ricondurlo alla forma ex art. 1809 c.c. che, all’opposto, regola il comodato pattuito in virtù di un uso dal quale è possibile desumerne l’implicito termine di scadenza contrattuale. Occorre, infatti, rilevare come la predetta fattispecie, unitamente a quella per cui le parti stabiliscono l’esatta durata dell’accordo, si contrappone alla tipologia in virtù della quale il bene oggetto di comodato rimane nel godimento del comodatario pur in assenza di un termine determinato. Tale ultima circostanza – che conferisce al contratto di comodato una natura precaria – legittima la richiesta di restituzione della cosa a totale discrezione del comodante il quale dispone, per il divisato dell’art. 1810 c.c., di un diritto di recesso ad nutum.
Nel caso di specie il Giudice di merito ha rigettato le domande attoree in forza delle quali il comodante lamentava la mancata restituzione dell’immobile che aveva concesso precedentemente al figlio in prospettiva dello svolgimento autonomo della sua futura vita familiare. La madre – ricorrente nel giudizio di legittimità – asseriva la natura precaria del comodato e, in ogni caso, la rottura del suddetto rapporto di convivenza, stante l’assegnazione della casa familiare alla compagna del figlio per gli effetti di una sentenza emessa dal Tribunale per i Minorenni. A sostegno delle proprie ragioni, la ricorrente citava la Cassazione a Sezioni unite del 2004 che, con sentenza n. 13603, ha inquadrato l’ipotesi di comodato di abitazione familiare nello schema del comodato “a termine indeterminato”.
La citata pronuncia, chiarendo che il provvedimento di assegnazione della casa familiare non influisce in alcun modo sulla natura dei diritti pregressi sull’immobile, ha respinto l’opinione in merito alla quale la scadenza del suddetto comodato sarebbe rideterminata proprio in considerazione della sentenza di assegnazione. Ne deriva, invece, l’applicabilità delle norme disciplinanti l’istituto contrattuale preesistente che, dunque, assume una rilevanza esclusiva qualora, con specifico riferimento alla qualificazione del comodato immobiliare, divenga necessario verificarne l’apposizione di un termine.
A tale proposito, la Suprema Corte ha evidenziato la necessità di assoggettare il comodato di casa familiare al disposto ex art. 1809, secondo comma c.c., stante la sussistenza nel caso de quo di un comodato con termine implicito di durata poiché determinato per relationem, ovverosia, in ragione dell’uso cui il bene concesso è destinato. Ciò dovrebbe sostenersi non per la natura immobiliare del comodato – alla cui tesi aderiva la risalente, seppur cospicua, giurisprudenza – bensì, per le stesse esigenze abitative familiari la cui verificazione necessita di un rigoroso accertamento in fatto e che, in particolar modo, non vengono meno a causa della mera sopravvenienza di una crisi di coppia.
Si riporta, qui, un frammento della sentenza Cass. SS.UU. n.13603 del 2004: “nell’ipotesi di concessione in comodato da parte di un terzo di un bene immobile di sua proprietà perché sia destinato a casa familiare, il successivo provvedimento di assegnazione in favore del coniuge affidatario di figli minorenni o convivente con figli maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa, emesso nel giudizio di separazione o di divorzio, non modifica la natura ed il contenuto del titolo di godimento sull’immobile, ma determina una concentrazione, nella persona dell’assegnatario, di detto titolo di godimento, che resta regolato dalla disciplina del comodato, con la conseguenza che il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l’uso previsto nel contratto, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, ai sensi dell’art. 1809 c.c.”.
All’orientamento sopra richiamato la giurisprudenza di legittimità parrebbe essersi conformata in via unanime, fatta eccezione per Cass. Civ., terza Sez., sentenza n. 15986/2010. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 20448/2014 (citata dalla stessa pronuncia in esame), hanno ribadito come l’interpretazione del comodato ad uso familiare quale istituto soggetto a termine di durata ex art. 1809 c.c. tragga il suo riscontro nella stabilità della destinazione abitativa e nei fini solidaristici di tutela della prole. Ne consegue che, per attuare un giusto contemperamento di interessi tra la famiglia e il titolare dell’immobile concesso in comodato, quest’ultimo avrà diritto di richiedere la restituzione del bene solo “se sopravviene un urgente e impreveduto bisogno”, ove l’urgenza non indica necessariamente la gravità della situazione, bensì, la sua concretezza e imminenza.
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