Gli elementi costitutivi del reato consistono in quei particolari connotati – specifici, essenziali, intrinseci – che devono sussistere ‘acchè si possa concretare la fattispecie criminosa.
Il codice Rocco – così come il codice Zanardelli del 1889 – prescrive la concomitanza di tali presupposti quali, la presenza di un fatto materiale, di un collegamento causale tra la condotta omissiva o commissiva e le relative conseguenze dannose, di un coinvolgimento psichico – doloso, colposo o preterintenzionale – di una data giuridicità dell’attività, ferma restando l’ assenza di cause che possano escludere la punibilità del soggetto agente.
La mancanza degli stessi comporta, sic et simpliciter, a seconda del tipo di reato e dell’elemento assente, dei risvolti giuridici estremamente rilevanti. Nel caso in cui vengano meno tre dei connotati appena descritti – fatto materiale, nesso tra condotta ed evento e colpevolezza – appare impossibile muovere un rimprovero penalmente rilevante al soggetto agente.
Un discorso differente opera per i c.d. elementi estrinseci, ossia le c.d. cause obiettive di punibilità, per le quali non risulta necessario valutare la presenza dei presupposti appena evidenziati, venendo disposte sulla base di un riscontro formale o sostanziale, indipendentemente dalla colpevolezza del reo.
Certo è che la presenza degli uni o degli altri rileva ai fini della incriminazione del reo, andando ad invadere l’ambito valutativo e applicativo del precetto – per così dire – primario della fattispecie criminosa. In altre parole, una volta appurata la responsabilità dell’imputato, sarà onere del giudice provvedere ad infliggere un’adeguata sanzione, nei limiti dei minimi e massimi edittali stabiliti dalla legge, ex artt. 132- 133 c.p. .
Un maggior adeguamento della pena al caso de quo può avvenire grazie al ricorso, da parte del giudice, dello strumento circostanziale. Si tratta di parametri ulteriori, specializzanti ed accessori rispetto a quelli costitutivi, che a norma degli artt. 59 e ss c.p., hanno la funzione di mitigare o inasprire, a seconda dei casi, il trattamento sanzionatorio previsto per quella data condotta criminosa. Il fatto lesivo sarà quindi arricchito, a discrezione del giudice e in base al caso concreto, da circostanze ulteriori, quelle di reato, che andranno a modificare la pena prevista per quella data fattispecie.
Se è vero che elementi costitutivi, da una parte ed elementi circostanziali dall’altra, decretano la formula definitiva da imprimere a quella data imputazione criminosa, è pur vero che risulta alquanto problematico distinguere gli uni dagli altri. Le difficoltà nascono dal fatto che tra le circostanze e gli elementi costituivi non esista un discrimen, a livello ontologico- qualitativo, significativo, potendo indifferentemente il legislatore attribuire al medesimo elemento l’una o l’altra connotazione tecnica.
In primo luogo le circostanze sono soggette ad un regime di particolare imputazione, in virtù delle quali le attenuanti sono imputate anche se non conosciute dall’agente, mentre le aggravanti, solo se conosciute con colpa o ritenute inesistenti a causa di errore determinato da colpa; gli elementi costitutivi sono soggetti al classico criterio di imputazione del dolo.
Su altro fronte, se la sola circostanza si realizza nel territorio dello Stato, mentre il reato si consuma all’estero, la punibilità secondo la legge italiana è senza dubbio esclusa.
Invero nell’ambito di concorso di persone risultano applicabili, alla forma autonoma di reato, gli artt. 116- 117 c.p., contrariamente per la forma circostanziata che sottostà al disposto ex art. 118 c.p.
Anche in tema di prescrizione urge una specificazione: il reato circostanziato è preso in considerazione, ai fini prescrittivi, solo nel caso in cui venga disposta, con l’aggravante, una pena di specie diversa rispetto a quella ordinaria o ad effetto speciale.
Ai fini della loro distinzione, la dottrina ha enucleato alcune teorie, nessuna delle quali completamente appaganti, per cercare di fare luce su tali incertezze discretive.
Una prima tesi, detta dell’accessorietà, stabilisce che le circostanze sono elementi accessori rispetto agli elementi costitutivi, quest’ultimi in grado di incidere sulla configurabilità del reato, a differenza delle prime, estranee ad un’operazione di tal guisa. Se si ammettesse tale visione, ciò susciterebbe l’ulteriore problema di stabilire quando determinati elementi debbano ritenersi accessori, rispetto a quelli essenziali.
Un’altra teoria ha cercato di inquadrare il problema verso un’ottica squisitamente lesiva del bene giuridico, oggetto di tutela penale. In tal senso si propenderebbe per considerare elemento costitutivo, quel parametro idoneo ad incidere sulla lesività del bene protetto, a differenza della circostanza, inidonea in tale direzione.
In terzo luogo si è avanzata la tesi basata sulla distinzione tra disposizione contenente il precetto primario – l’elemento costitutivo – e disposizione contenente il precetto secondario, la circostanza.
E ancora, vi è stato chi ha posto rilevanza al criterio del favor rei, nel senso che, nel caso in cui non si riesca a comprendere se ci si trovi davanti ad un’autonoma ipotesi di reato o ad elemento specializzante, nel dubbio, si opterebbe per considerare la sussistenza di autonoma ipotesi di reato. Altra tesi, infine, ha optato per la rilevanza di specialità delle circostanze rispetto al reato autonomamente inteso, nel senso che la circostanza avrebbe carattere specializzante la condotta criminosa posta in essere.
Nessuna delle tesi fino ad ora prospettate ha effettivamente chiarito i rapporti tra gli uni e le altre.
Un contributo notevole viene, invece, offerto dalla Giurisprudenza che, con le note sentenze Fedi del 2002 e le SSUU del 2011 in tema di tenuità ex art. 73 del DPR del 90, ha posto le basi per cercare di chiarire il campo discretivo degli elementi costitutivi, da una parte, e circostanziali dall’altra. La Cassazione ha preliminarmente indagato tale rapporto secondo lo schema della descrizione delle fattispecie, in base al quale ci si trova davanti ad un’ipotesi autonoma di reato, qualora non sia necessario, ai fini della descrizione strutturale della fattispecie, un rinvio per relationem ad un’altra ipotesi criminosa; in caso contrario, si tratta di circostanza di reato. Nel caso di specie, difatti, viene stabilito che l’ipotesi sancita dall’art. 624 bis c.p. sia un’ipotesi autonoma di reato e non un’ipotesi circostanziata, posto che si mostra quale forma criminosa indipendente rispetto alla forma base di furto ex art. 624 c.p.; così come altre statuizioni giurisprudenziali giungono alle medesime conclusioni in riferimento alle ipotesi disciplinate dall’art. 640 bis e dall’art. 609 octies. Successivamente però le SSUU 2011 sposano il criterio discretivo teleologico, in base al quale, si può stabilire la presenza di un’ipotesi autonoma di reato o circostanziata solo con riferimento all’entità dell’offesa procurata dalla condotta criminosa, in quel dato fatto concreto. In altre parole, solo nel caso in cui sia mutato il bene giuridico tutelato dalla fattispecie base, si può parlare di autonoma ipotesi di reato.
E’ chiaro che l’analisi porti a conseguenze differenti, in relazione alla diversità delle ipotesi di reato imputate al soggetto agente. Certo è che tali criteri hanno portato ulteriori conseguenze nell’ applicazione degli elementi circostanziali al delitto tentato, posto che la regola generale, in tema di circostanze, prevede la loro inflizione solo nel caso in cui il fatto criminoso sia portato a consumazione.
Lo stesso articolo 56 c.p. non chiarisce affatto il riscontro delle stesse, posto che si “limita” a definire il tentativo. Esso è difatti inteso quale insieme di atti univoci, non equivoci, idonei a sottolineare la carica offensiva di quella condotta, in grado di generare il pericolo concreto, poi non portato a compimento, che l’evento si verifichi. Più specificamente si tratta di quell’insieme di atti non solo esecutivi, come sosteneva il Codice Zanardelli, ma meramente preparatori, da valutare oggettivamente e secondo l’id quod plerumque accidit, in grado di anticipare naturalisticamente e teleologicamente l’atto tipico (tipicità desunta dallo stesso art. 115 c.p.) . Oltre la “tipicità preparatoria”, è richiesta una valutazione di idoneità degli atti compiuta ex ante, per mezzo di un giudizio prognostico, su base parziale e concreta, che accerti la collocazione ideale e temporale della condotta de qua, posto che, non essendosi verificato l’evento, non avrebbe senso far riferimento al criterio condizionalistico, fondato sulla valutazione controfattuale ex post.
Nel silenzio della legge, occorre valutare varie ipotesi di delitti, a metà strada tra tentativo e circostanze: il delitto tentato circostanziato, il delitto circostanziato tentato e il delitto circostanziato tentato circostanziato.
Per ciò che concerne il delitto tentato circostanziato, esso si ha quando la circostanza si è compiutamente realizzata. In questo caso si invocano i principi di offensività ed uguaglianza e se ne ammette la configurabilità grazie ad un’estensione analogica dell’art. 56 c.p. .
Ammessa la pacifica configurabilità di tale delitto con riferimento alle circostanze comuni generali, con esclusione della colpa cosciente e del concorso dell’offesa, problemi di applicazione riguardano invece la configurabilità del delitto con le circostanze speciali. Queste ultime sarebbero invocabili solo per le ipotesi espressamente previste di delitto consumato, non operando per il reato in forma tentata; ma grazie alla suddetta operazione estensiva, anche le speciali, salvo il caso in cui le stesse possano incorrere nella creazione di ipotesi autonome di reato, possono essere applicate al delitto tentato.
Il delitto circostanziato tentato, invece, si ha quando la circostanza non si è verificata, essendo rimasta nell’animus del soggetto agente; tale situazione comporterebbe la loro l’inammissibilità sulla base di tre considerazioni.
In primo luogo il nostro ordinamento non conosce la forma tentata delle circostanze e questo costituisce la regola generale di funzionamento delle ipotesi circostanziali; poi, ammettere l’ipotesi di delitto sopra considerata vorrebbe dire sostenere la configurazione delle circostanze putative; infine hanno ad oggetto il verificarsi di un evento, incompatibile con il disposto ex art. 56 c.p. .
In realtà tali argomenti vengono facilmente superati grazie alle motivazioni secondo cui è la fattispecie criminosa ad essere tentata, non le singole circostanze, essendo sempre rilevante la condotta circostanziata, non quella semplice ed essendo le circostanze stesse legate al piano esecutivo del delitto perfetto avuto di mira e non al verificarsi dell’evento de quo.
Un discorso a sé merita la rilevazione, in tema di tentativo, delle circostanze che attengono l’entità del danno. Inizialmente si propende per l’applicazione della circostanza, tanto attenuante quanto aggravante, solo se la stessa si verifichi effettivamente.
La Giurisprudenza maggioritaria, poi, inizia a cambiare il proprio pensiero, propendendo per una soluzione di pacifica applicazione della suddetta circostanza al delitto tentato, anche nel caso in cui non si sia verificata concretamente: ciò che conta è fornire sempre la prova rigorosa secondo cui, se l’evento si fosse verificato, ne sarebbe derivato un danno di particolare tenuità o di rilevante entità, ammettendo la verificazione del delitto circostanziato tentato.
Risulta significativa, in tal senso, una pronuncia del 2008 n. 44153 che, in caso di delitto di furto tentato, prevede l’applicazione dell’attenuante di speciale tenuità, guardando al danno ipotetico che si sarebbe verificato nel caso di consumazione del reato.
Altre SSUU del 2013, le n. 28243, difatti, seguendo tale impostazione, hanno pacificamente ammesso l’applicazione delle circostanze relative all’entità del danno, in tema di delitto tentato, statuendo che, nei delitti contro il patrimonio, le circostanze di speciale o rilevante entità sono applicabili, al caso concreto tentato, solo se, mediante un giudizio ipotetico, si verifichi che le stesse si sarebbero realizzate, ove il fatto criminoso si fosse consumato.
Infine risulta doveroso qualche cenno al metodo di calcolo della pena, una volta ammessa la sussistenza della circostanza nell’ambito del delitto tentato.
Orbene sarà innanzitutto necessario individuare la pena prevista per il reato base; procedere poi alla diminuzione per il tentativo, previsto, in caso di pena edittale, di 1/3 per il massimo edittale e di 2/3 per il minimo edittale; oppure, in caso di pena fissa, operare la diminuzione da 1/3 a 2/3 dalle pena così formulata per il delitto tentato; dovrà essere disposto, successivamente, la diminuzione o l’aumento previsto dalla circostanza prevista per quel caso concreto.
In ultima analisi occorre far riferimento alla figura di delitto circostanziato tentato circostanziato, secondo cui alcune circostanze si sono verificate, mentre per le altre non vi è alcuna realizzazione.
In tali casi si applicano i criteri ordinari appena evidenziati, ossia quelli favorevoli all’ammissibilità delle suddette categorie.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento