Esegesi dell’interpretazione giuridica

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Punto di partenza è il problema dell’interpretazione dei concetti, essi possono definirsi come un “genere funzionale” contrapposto ai “generi naturali”. Quello che li rende tali è il ruolo assunto nel sistema cognitivo, dando forma al comportamento intelligente.

Essi devono essere composizionali e pubblici, ma al contempo rilevanti per la nostra azione e percezione, in quanto necessari per valutare e regolare le categorizzazioni e i ragionamenti.

Nel rapporto “spiegazione” e “comprensione”, vi è una complementarietà e un rinviarsi vicendevole.  Ricoeur vede nella “spiegazione” la scomposizione del testo e la ricerca della funzione di ciascuna parte nel rapportarsi alle altre, mentre nella “comprensione” vi è la riconfigurazione dell’insieme quale realtà esterna a cui il testo rinvia nella sua totalità.

La funzione dell’interpete

L’interprete in questo “circolo ermeneutico” si appropria del testo e in tal modo crea il mondo già delineato nel testo, il diritto nel porre i segni si congela e diventa, nella reazione che ne consegue, passato a cui l’agire interpretativo reagisce. Ricoeur estende pertanto il concetto originario di “circolo ermeneutico” limitato nell’ellenismo al solo rapporto tra parte ed insieme del testo, che viene esteso in età romantica ad un continuo ed esclusivo rinvio tra il lettore interprete ed il testo stesso.

Dobbiamo considerare che i concetti assurgono a standard di valutazione nelle attività rette da regole, come nella logica, essi costituiscono tipi di rappresentazione che favoriscono la stessa “concezione” (Millikan), sebbene capaci di riassumere in sé le “varietà”.

Secondo la teoria pluralista dei concetti può esservi o un pluralismo dei compiti o un pluralismo ontologico, a seconda che si riferisca ai compiti cognitivi o a categorie ontologiche (Lalumera).

Ricoeur  definisce il rimpallo tra lettore e testo  come “una spirale senza fine” nella quale vi è un ripetuto passaggio “ per lo stesso punto, ma a un’altezza diversa” (119, Tempo e racconto, Jaca Book, 1986), resta peraltro nell’interprete un possibile sdoppiamento interpretativo, uno interiore e l’altro esteriore, opportuno da comunicare in termini comprensivi con una argomentazione dialogante.

L’accettazione della nuova spiegazione modifica il contesto tornando in forma di retrazione ad una nuova spiegazione, si ha quindi il superamento della distinzione avanzata da Dilthey  tra spiegazione e comprensione, in cui la spiegazione era propria delle scienze naturali mentre la comprensione si rivolgeva agli studi sociali e culturali, ossia in senso lato umanistici dove viene meno lo schema rigidamente causale, subentra pertanto una complementarietà tra i due aspetti arricchendoli a vicenda nel rapporto struttura interna e prospettiva intenzionale esterna.

Il processo mnemonico

Acquista rilevanza il processo mnemonico in cui la memoria lavorativa (a breve termine) interagisce con la memoria a lungo termine (conoscenza dichiarativa), la quale ultima nel permettere la formulazione di teorie sulla conoscenza del mondo, crea la categorizzazione propria della memoria fattuale necessaria alla creazione di una scala di valori, ancor più necessaria in presenza di contaminazioni culturali.

Murphy osserva che in presenza di compiti complessi, come le categorizzazioni, al fine di arrivare a risposte rapide e adeguate vi è il confluire di informazioni tanto dai “prototipi” proprietà generali di una classe di oggetti, che da altre informazioni apparentemente non pertinenti, effetto di conoscenza. Vi è inoltre, la possibilità di trarre analogie da esempi specifici archiviati nella memoria a lungo termine.

Si può quindi concludere che prototipi e rappresentazioni riassuntive intervengono nei compiti complessi, quali ragionamenti deduttivi e induttivi, mentre per compiti più semplici o limitati per tempo e categorizzazioni interviene l’analogia per esemplari.

Viene in tal modo meno il modello uniforme, input-output, nella rappresentazione dei concetti e nelle loro modalità di apprendimento.

Secondo la teoria sulla memoria semantica le esperienze raggruppate in categorie vengono definite nella mente umana quali “concetti” ossia classi di oggetti. Il concetto attraverso il ricombinarsi con altri concetti crea nuova conoscenza, divenendo in tal modo uno strumento dinamico con funzioni cognitivo-comportamentale.

Il concetto quale elaborazione dell’informazione proveniente dall’esperienza, nata dalla percezione e dalla capacità di confronto, viene inserito nella classificazione già esistente secondo un processo di codificazione e organizzazione.

Sviluppando la teoria degli schemi, alternativa a quella semantica, si è giunti al concetto di “script” (sceneggiatura), ossia di struttura standardizzata della conoscenza relativa ad eventi comuni ricorrenti, con la conseguente integrazione tra le strutture di elaborazione e di memoria, elemento necessario nella teoria dell’interazione sociale.

L’importanza di una condivisione

Emerge l’importanza della condivisione di una determinata cultura della stessa categorizzazione di un certo “script”, risulta pertanto fondamentale al fine di un rapido ed adeguato comportamento nelle interazioni sociali possedere e utilizzare gli “script” adatti (Shank – Abelson ).

Tuttavia sia l’elaborazione che l’archiviazione nel recupero dipendono dalla precedente esperienza già archiviata dal soggetto, questo determina una soggettività nell’elaborazione e archiviazione della stessa informazione, portando a differenti visioni da individuo a individuo.

L’interprete si fonda sulla propria esperienza personale oltre che sul suo sapere, in un rapporto tra sé e l’altro, ponendosi a distanza dalle intenzioni del legislatore per meglio comprendere le possibilità del testo nel mondo, dovendo in questo diffidare anche delle proprie certezze senza peraltro rinunciare alla tradizione entro cui è nato l’evento e il testo che ne è scaturito.

Una umiltà di metodo che evita la pretesa di una soluzione definitiva cosciente dei sempre presenti rischi della interpretazione: dove la dialettica tra interpretazioni ne evidenzia i limiti reciproci aprendo a nuove prospettive, superando l’aspetto di un sempre possibile nichilismo.

La dialettica così instaurata si allarga ad una comprensione dell’intera condizione umana superando il particolare da cui è nata, senza per questo assumere una assolutizzazione hegeliana dell’interpretazione quale sapere ultimo, coscienti di una “realtà esterna” a cui l’interprete tende ma di cui l’interpretazione è solo vicaria.

Heisemberg osserva che è il metodo adottato di osservazione e valutazione che fornisce una lettura alle nostre percezioni, tanto che l’epistemologia diventa parte integrante nella valutazione degli eventi, emergono pertanto due aspetti del pensiero: uno contestuale centrato sulle relazioni, l’altro sul processo della conoscenza.

La simbologia racchiusa nel testo diventa comunque senso e limite al fine di impedire che l’interpretazione diventi un puro e arbitrario gioco linguistico, la capacità critica deve riconoscere i limiti delle condizioni storiche entro cui agisce la condizione umana, senza per questo respingerne la razionalità del metodo. E’ infatti attraverso il testo che la soggettività dismette la propria pretesa di assolutizzazione (Jervolino), ponendo le premesse dell’incontro tra teoria e soggetto, tra ermeneutica esegetica, critica e filosofica, tra necessità pratiche e diritti individuali.

Il soggetto si rilegge attraverso il proprio passato riconnettendo i molteplici aspetti del proprio vissuto, in questa autobiografia vi è anche la lettura dei diritti che diventano parte dell’identità, si crea quindi una “ memoria” posta al confine tra collettivo e privato secondo una selettività che riflette le scale dei valori, ma proprio perché frutto di valori vi possono essere inaspettate rinascite, riaffiorare di ricordi e attese per il futuro, dove il testo mantiene sempre un margine di enigmaticità e così i ricordi che su di esso si fondano.

Interpretare non è mai un discorso puro ma vi è sempre una intermediazione simbolica che si innesta sulla valutazione economica dell’agire, questo comporta la necessità dell’altro nella creazione di una propria identità giuridica secondo una struttura relazionale del soggetto intenzionale, in una difficile trasparenza tra sé e l’oggetto esterno e delle conseguenti letture degli atti e delle azioni, dove agire e testo diventano paragonabili nelle sempre possibili poliletture a cui l’interprete deve fornire una unitarietà.

Dobbiamo considerare che le definizioni sembrano rappresentare bene gli oggetti logici e matematici, le teorie quelli naturali e artefatti, i prototipi le categorie di base e i simulatori azioni e categorie precise, entrando in difficoltà una volta usciti dal proprio dominio ontologico.

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Bibliografia

  • Montesperelli, Comunicare e interpretare. Introduzione all’ermeneutica per la ricerca sociale, Egea 2014;
  • Jervolino, Introduzione a Ricoeur, Morcelliana 2003;
  • Ricoeur, Percorsi del riconoscimento, Raffaello Cortina 2005;
  • Marin, Manuale di neurolinguistica, Carocci 2015;
  • L. Murphy, The big book of concepts, Mit Press, Cambridge (MA) 2002;
  • Lalumera, Cosa sono i concetti, Laterza 2009;
  • Job – R. Rumiti, Linguaggio e pensiero, Il Mulino 1988;
  • Vineis, Lost in translation, Codice 2011;
  • O’Sheer, Il cervello, Codice 2012.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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