La nullità della transazione che maschera l’aumento del canone

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L’accordo transattivo mediante il quale è pattuito un aumento del canone locatizio in misura superiore a quanto stabilito dalla disciplina di settore deve considerarsi nullo per violazione di una norma imperativa. Si è, così, espressa la terza Sezione della Cassazione Civile la quale, ravvisando nella scrittura privata l’unico intento di ridefinire il corrispettivo della locazione, ha respinto l’opinione del giudice di merito secondo cui le parti avrebbero tentato di comporre la lite con effetti novativi del precedente rapporto. Al contrario, risulta essere stato adottato un atto elusivo della previsione dell’art. 32 L. 392/78. La Suprema Corte ha affermato che la transazione, nel momento in cui produce effetti vietati dall’ordinamento, è affetta da nullità per il sussistere di un contrasto col divisato di una norma imperativa. Ciò, a prescindere dal fatto che la stessa giurisprudenza di legittimità abbia, in passato, escluso l’applicazione della legge n. 392/78 con riguardo alle transazioni sui diritti disponibili.

 

La Corte d’Appello ha risolto in senso positivo la questione sulla legittimità della modifica del canone locatizio di un immobile per il tramite della successiva stipula di una transazione. Il giudice di secondo grado ha ritenuto che il dettato letterale degli artt. 32 e 79 della L. 392/78 sosterrebbe, in ossequio al principio dell’autonomia negoziale tra le parti, la validità degli accordi intervenuti anche nel corso del rapporto contrattuale. Il suddetto patto, pertanto, non potrebbe considerarsi nullo in ragione delle sole esigenze di salvaguardia della parte debole che, dato il tenore della legge, non giustificherebbero un ulteriore riguardo nei confronti del conduttore. Quest’ultimo, ad ogni modo, avrebbe posto in essere un accordo volto alla definizione di una controversia precedentemente incorsa tra le parti e nella quale veniva messa in discussione la legittimità del diniego (da parte del locatore) di rinnovare il patto locatizio.

 

La Suprema Corte, constatando come la volontà di procedere a reciproche concessioni non trovi alcun riscontro nel testo dell’asserito accordo transattivo, ha esposto le seguenti considerazioni. In primo luogo, ha aderito all’orientamento giurisprudenziale (inaugurato da Cass., sentenza n. 10826/2001 e seguito dalle sentenze n. 8410/2006; n. 2932/2008; n. 2961/2013) secondo cui il disposto di cui all’art. 79 L. 392/78 non permetterebbe alcuna rinuncia all’enunciato diritto di ripetizione, se sottoscritta nel corso del rapporto. La predetta norma riconosce, infatti, la facoltà in seno al conduttore di ripetere le somme pagate in violazione di limiti e divieti di legge anche dopo la consegna dell’immobile. Non possono, dunque, porsi sullo stesso piano la clausola stipulata alla conclusione del contratto di locazione e quella apposta successivamente atteso che, nel secondo caso, risiede in capo al conduttore una maggiore pressione psicologica ed economica dovuta al timore di perdere l’immobile locato.

 

In secondo luogo, il giudice di legittimità si è pronunciato in ordine alla qualifica transattiva dell’accordo stipulato tra le parti e sull’applicazione delle norme contenute nella legge n. 392/78. A tale proposito, la giurisprudenza si è espressa nel senso di delimitare il divieto dell’art. 79 ai soli casi in cui, al momento della stipula del contratto, le parti eludono una disposizione imperativa. Si è ritenuta, quindi, lecita la conclusione del patto transattivo che regola, oltre alle conseguenze dei fatti sopravvenuti incidenti su situazioni patrimoniali disponibili, i diritti contemplati da norme imperative, la durata o altri aspetti dell’accordo di locazione. Nel caso di specie, tuttavia, si è rilevato come la “transazione” in corso di rapporto non avesse avuto altro scopo che consentire al locatore di disporre di un canone ben più elevato rispetto ai criteri di aggiornamento delineati all’art. 32 L. 392/78. Derivandone un profilo di contrarietà a norma imperativa, diviene irrilevante la circostanza per cui l’accordo transattivo, non adempiendo alla funzione ex art. 1965 c.c., avrebbe mascherato l’aumento del canone di locazione. La Corte di Cassazione, per i predetti motivi, ha affermato che, “anche volendo accettare la ricostruzione della Corte di merito, secondo cui la scrittura privata più volte richiamata costituiva un accordo modificativo del canone iniziale e, nel contempo, anche un atto di transazione, la transazione ricade sotto la sanzione della nullità. D’altra parte, si osserva conclusivamente, non è pensabile che un accordo nullo in quanto posto in violazione delle regole della L. n. 392 del 1978, art. 32, possa, per così dire, diventare valido in quanto abbia assunto la diversa veste giuridica della transazione”.

Sentenza collegata

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Avv. Filippo Franzè

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