La responsabilità aggravata nel processo tributario (ART. 96 C.P.C.)

Redazione 13/05/11
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La responsabilità aggravata nel processo civile, espressamente disciplinata dall’art. 96 c.p.c., sanziona il comportamento definito come illecito processuale che preclude l’applicabilità sia diretta dell’art. 2043 C.C. (responsabilità aquiliana), sia un eventuale concorso, anche alternativo, delle due norme e, quindi, dei due tipi di responsabilità, in relazione ad un medesimo fatto processuale.

I presupposti per l’applicabilità sono tre:

1) la soccombenza totale dell’agente, non essendo sufficiente una soccombenza solo parziale da determinare in relazione all’esito finale del giudizio e non ad una sua fase anteriore;

2) l’aver agito con mala fede o colpa grave ossia con la consapevolezza dell’infondatezza della domanda o dell’eccezione ovvero del carattere irrituale o fraudolento dei mezzi operati, oppure nel difetto della normale diligenza per l’acquisizione di tale consapevolezza;

3) l’aver tenuto una condotta tale da aver provocato, quale conseguenza diretta ed immediata, un pregiudizio alla controparte.

Tale fattispecie viene comunemente definita come “lite temeraria” il cui accertamento è riservato all’insindacabile valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata.

La dottrina e la giurisprudenza sembrano ormai pacificamente ammettere l’applicabilità al processo tributario dell’articolo 96 c.p.c., nonostante qualche opinione contraria.

In particolare nel senso della compatibilità dell’istituto della responsabilità aggravata con il processo tributario depongono i seguenti elementi:

a) la generalità del riferimento al regime delle spese nel processo civile operato nel D.Lgs. 546/1992: nonostante l’espresso richiamo del solo art. 92 comma 2 c.p.c. si ritiene applicabile l’intero capo sulla disciplina delle spese;

b) l’assenza di una esplicita esclusione e l’inesistenza di alcuna norma tributaria incompatibile;

c) la natura consequenziale ed accessoria della pronuncia sulle spese e sulla responsabilità aggravata, inquadrabile nell’attribuzione alle Commissioni delle controversie concernenti <<interessi ed altri accessori>> (art. 2, 2° comma, D.Lgs. 546/1992);

d) il consolidato orientamento giurisprudenziale che riconosce l’applicabilità dell’istituto contro la pubblica amministrazione, sia nel processo civile, sia in quello amministrativo, dunque non vi sarebbe motivo valido per escluderla nel processo tributario.

Pertanto, volendo privilegiare l’applicabilità al rito tributario dell’istituto della responsabilità per lite temeraria (in tal senso recentemente Circolare Agenzia delle Entrate n.17 del 31 marzo 2010), si precisa che l’istituto in esame, pur richiamandosi ai principi generali in tema di illecito extracontrattuale, si pone con carattere di specialità rispetto all’articolo 2043 c.c., di cui va quindi esclusa ogni applicazione in via concorrente o alternativa.

Esaminando la norma, si è già precisato che la responsabilità di cui al 1° comma dell’articolo 96 c.p.c. richiede la sussistenza dei seguenti presupposti: a) la soccombenza totale della parte; b) l’aver agito o resistito in giudizio con mala fede o con colpa grave; c) l’aver causato all’altra parte un danno concreto ed effettivo.

L’elemento soggettivo della mala fede o della colpa grave è stato in particolare ravvisato: – nell’aver agito basandosi su presupposti di fatto inesistenti o su una disposizione già dichiarata incostituzionale o in contrasto con consolidati orientamenti giurisprudenziali, senza svolgere alcuna argomentazione atta a determinare una revisione (C 93/1953); – nell’aver preteso il pagamento di una somma a titolo di ritenuta d’acconto, di cui contestualmente si affermava il versamento (C 97/1082); – nell’aver disconosciuto la propria sottoscrizione poi dichiarata vera (C 89/163); – nell’aver proposto mezzi processuali con meri intenti dilatori (con riferimento alla proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione: C 95/448; C 90/964; C 89/25; C 92/10488; C 91/11029); – nell’aver impugnato un provvedimento ordinatorio e non decisorio, oggettivamente e palesemente non impugnabile (C 01/10731; C 00/16); per quanto riguarda l’amministrazione finanziaria, si è evidenziato come la relativa responsabilità non possa scaturire dall’attività di applicazione del tributo anteriore al giudizio, ma semmai dall’aver ostinatamente continuato il giudizio, senza revocare la propria pretesa manifestamente illegittima, oppure nella mancata esecuzione da parte della P.A. di ordinanze emesse nel giudizio di ottemperanza.

Anche il 2° comma dell’articolo 96 c.p.c. concernente l’esecuzione di provvedimenti latu sensu cautelari o esecutivi si può ritenere applicabile. In tali casi la responsabilità aggravata presuppone l’accertata inesistenza del diritto in base al quale si è agito e il difetto della ordinaria prudenza.

Si è ipotizzato, al proposito, il caso di un’azione esecutiva intrapresa in pendenza di giudizio e non sospesa dall’amministrazione, nonostante l’evidente fondatezza del ricorso e la specifica richiesta di sospensione rivolta alla stessa amministrazione (****è, Le spese del giudizio, in Il Processo tributario 1998, a cura di *******, 325).

Anche l’ultimo comma dell’art. 96 c.p.c. si applica al rito tributario nella parte in cui dispone che il giudice d’ufficio e in ogni caso, può sempre condannare la parte soccombente al pagamento a favore della controparte di una somma equitativamente determinata.

Si precisa che la condanna ai sensi dei primi due commi dell’art. 96 c.p.c., presuppone la prova del danno e la valutazione equitativa ove il pregiudizio non possa essere quantificato nel suo preciso ammontare, mentre l’ultimo comma, prescinde dalla prova del pregiudizio e dalla colpa grave (“in ogni caso”), presupponendo solo lo stato di soccombenza. Trattasi di un danno c.d. “punitivo” che è compatibile con il giudizio tributario.

Recentemente, il Tribunale di Roma, Sezione distaccata di Ostia, con una clamorosa sentenza del 9 dicembre 2010 ha severamente condannato il concessionario della riscossione al pagamento della somma di €.25.000 in favore del contribuente ai sensi dell’art. 96 comma 3 c.p.c. ritenendo che nella specie “non si tratta di un risarcimento ma di un indennizzo (se si pensa alla parte a cui favore viene concesso) o una punizione (per aver appesantito inutilmente il corso della giustizia, se si ha riguardo allo Stato) di cui viene gravata la parte che ha agito con imprudenza, colpa o dolo”; inoltre, afferma che “a differenza delle ipotesi classiche (primo e secondo comma) il Giudice provvede ad applicare quella che si presenta né più né meno che come una sanzione d’ufficio a carico della parte soccombente e non (necessariamente) su richiesta di parte”.

Sicuramente tale sentenza, ad oggi isolata, potrebbe rappresentare un precedente di rilievo e ribaltare l’orientamento giurisprudenziale consolidato che nella quasi totalità dei casi, anche in caso di soccombenza dell’Ente impositore e del Concessionario della Riscossione, dispone la compensazione delle spese giudiziali. Nella prassi giudiziaria, infatti, permane la tendenza ad optare per la compensazione delle spese legali, sebbene l’art. 92 c.p.c., così come modificato dalla Legge 69/2009, ne abbia ulteriormente ristretto l’ambito di applicazione

Invero, l’esigenza di un uso più accorto della giustizia si ravvisa soprattutto nel rapporto tra il Fisco e il contribuente ed infatti merita di essere severamente sanzionata la condotta pretestuosa dell’Amministrazione Finanziaria che resista in giudizio senza approntare una difesa fondata e ragionevole, disconoscendo ingiustamente le ragioni del contribuente.

In quanto depositaria di una funzione pubblica, la condotta dell’A.F. a maggior ragione deve ispirarsi a criteri di correttezza, buona fede, lealtà, nonché a doveri di responsabilità, diligenza e professionalità.

Sulla base delle superiori considerazioni, il Tribunale di Roma nella sentenza sopra citata ha condannato la Gerit Equitalia S.p.A. per la sua condotta senza dubbio scorretta e sintomatica di inefficienze amministrative stante che “a. l’illustrazione delle caratteristiche e finalità astratte dell’ipoteca legale è inutile ed irrilevante disquisizione teorica; b. la spa Gerit era parte del procedimento davanti al GDP per l’annullamento della cartella esattoriale de qua. Nel provvedimento di fissazione dell’udienza al 6.11.2008 il GDP sospendeva la esecutorietà del titolo, sicché alla data del 4.11.2009 (comunicazione iscrizione ipoteca) la spa Gerit sapeva benissimo dell’avvenuta sospensione; c. non è vero, come si legge nella comparsa del 6.4.2010 della spa Gerit, che il giudizio di merito sia in corso; al contrario in data 18.2.2010 la cartella de qua veniva annullata con sentenza; d. come comprova il fascicolo di parte spa Gerit, dal quale non risulta alcun documento depositato, è affermazione priva di riscontro che la procedura di iscrizione ipotecaria sia stata chiusa;e. l’affermazione che la cartella esattoriale sia stata a suo tempo notificata è del tutto irrilevante ed esposta senza alcuna ragione”.

Pertanto, il giudice di merito, in accoglimento del ricorso, ha condannato l’Agente per la riscossione alla refusione delle spese legali e al pagamento della somma di €.25.000,00 a titolo di indennizzo ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c.

 

GIURISPRUDENZA COLLEGATA

Il Tribunale di Roma si pronuncia in questi termini

ANNULLA l’ipoteca legale iscritta in data 4.11.2009 (provv. n. …)  dalla  Spa Equitalia Gerit  in persona del suo legale rappresentante pro tempore sugli immobili di T. B.;

CONDANNA Spa Equitalia Gerit in persona del suo legale rappresentante pro tempore al pagamento delle spese di causa che liquida in favore di T. B. in complessivi €.5.000,00  di cui  €.800,00 per spese, oltre IVA e CAP;

CONDANNA Spa Equitalia Gerit in persona del suo legale rappresentante pro tempore al pagamento in favore di T. B. ed ai sensi dell’art. 96 III° comma cpc della somma di €.25.000,00 oltre interessi legali dalla data della sentenza al saldo.

 

Tribunale di Roma, sez. distaccata di Ostia, 9 dicembre 2010 (**************)

Osserva:

le domande di T. B. sono del tutto fondate.

In relazione a cartella esattoriale n. …/000 ammontante ad €.1.900,00 la spa Gerit Equitalia comunicava a T. B. di aver iscritto in data 4.11.2009 (provv. n. …) ipoteca  sugli immobili della medesima.

L’iscrizione ipotecaria, gravemente illegittima, è da annullare (con condanna della spa Gerit Equitalia a cancellarla a sua cura ed a sue spese) per due ordini di ragioni:

1. In  primo luogo il titolo esecutivo (vale a dire la cartella esattoriale n. …/000 sottesa alla iscrizione ipotecaria) era stato sospeso dal Giudice di Pace di Ostia in data 18.7.2008 in contraddittorio con la stessa spa Gerit Equitalia.

2. In secondo luogo è illegittimo iscrivere ipoteca per somme, come in questo caso, che non superano gli €.8.000.

Se sul primo punto non vi sono particolari osservazioni da svolgere: essendo sospeso, nei confronti della stessa spa Gerit, il titolo esecutivo la successiva iscrizione da parte sua di ipoteca legale  non solo è manifestamente illegittima, ma costituisce un vero e proprio abuso di diritto, sanzionabile ai sensi dell’art.96 cpc.

Quanto al secondo punto secondo consolidata giurisprudenza della Sezione (cfr. in http://afolostia.com) esistente e conoscibile ben prima della conforme pronuncia delle Sezioni Unite Cassazione civile, SS.UU., sentenza 22.02.2010 n. 4077, l’iscrizione essendo stata imposta per un credito che non supera gli €.8.000, è illegittima.

Si legge nella sentenza Nrg 1262/07 – sentenza del 30/04/09 (voce esecuzione forzata):

L’ipoteca è stata iscritta illegittimamente.

Ed invero l’importo totale dei crediti è di €.5.300, pari al doppio dell’importo iscritto a ruolo di €.2.973.

L’art.77 del DPR 602/1973 prevede che decorso inutilmente il termine di cui all’articolo 50, comma 1, il ruolo costituisce titolo per iscrivere ipoteca sugli immobili del debitore e dei coobbligati per un importo pari al doppio dell’importo complessivo del credito per cui si procede.

In base a tale norma la spa Gerit ritiene di avere agito correttamente affermando che non esiste, come invece sostiene la deducente, alcun importo minimo per iscrivere ipoteca.

L’affermazione, solo apparentemente esatta, non è condivisa dal Giudice, derivata com’è da una lettura errata e non consapevole delle norme.

L’art.77 va letto infatti nel contesto unitario della legge, nella quale esiste anche una diversa e significativa previsione.

L’art.76 infatti dispone, fra l’altro, che il concessionario può procedere all’espropriazione immobiliare se l’importo complessivo del credito per cui si procede supera complessivamente ottomila euro.

Dal suo canto l’art.2808 cc dispone che l’ipoteca attribuisce al creditore il diritto di espropriare, anche in confronto del terzo acquirente, i beni vincolati a garanzia del suo credito e di essere soddisfatto con preferenza sul prezzo ricavato dall’espropriazione 

Le norme del DPR 602/1973citato, frutto di disordinati e torrentizi rimaneggiamenti dell’originario testo, non sono coordinate e vanno interpretate in modo che abbiano un significato logico e giuridico accettabile e conforme ai principi dell’ordinamento.

Non è possibile ritenere che si sia inteso modificare implicitamente  la struttura del diritto reale di garanzia che risponde al nome di ipoteca.

Anche un legislatore non troppo esperto quale l’attuale non lo avrebbe potuto fare così disinvoltamente. Modificare un istituto millenario e ben radicato fin dentro l’attuale sistema giuridico non è cosa che si possa fare o ritenere fatta per implicito o di straforo.

E pertanto poiché non ha senso giuridico immaginare un’ipoteca orbata del diritto di espropriare (e ridotta a semplice prenotazione reale per una eventuale espropriazione da altri iniziata e che potrebbe non intervenire mai !?!) occorre più realisticamente affermare che l’ipoteca può essere iscritta solo laddove il credito complessivamente iscritto a ruolo superi gli ottomila euro.

Una testuale conferma della esattezza della tesi deriva dal fatto che la legge usa l’espressione credito per cui si procede.

Ebbene, ipotizzando un’ipoteca priva del diritto di espropriare, non si vede proprio come il concessionario potrebbe procedere. Al contrario dopo aver iscritto l’ipoteca potrebbe solo stare fermo e sperare che esista un altro creditore che inizi una procedura immobiliare sullo stesso immobile ipotecato per partecipare alla futura distribuzione altrimenti l’ipoteca avrebbe solo lo scopo di infastidire il debitore, scopo questo che ripugna attribuire ad un legislatore sano di mente.

Ricostruzione della norma, quella a seguire la tesi della spa Gerit, assurda quindi ed inaccettabile e pertanto da respingere.

Ne deriva l’illegittimità della iscrizione ipotecaria.

Va pertanto dichiarata la nullità della ipoteca iscritta.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

La spa Gerit Equitalia va inoltre condannata ai sensi del terzo comma dell’art.96 cpc. che prevede che:

Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche di ufficio, nella sentenza.

Il giudice che accerta l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziaria, o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l’esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l’attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente.

In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata

La norma del terzo comma introdotta dalla l.18.6.2009 n.69 (GU 95 L 19.6.2009) ed entrata in vigore dal 4.7.2009 ha cambiato completamente il quadro previgente con alcune importanti novità:

– in primo luogo non è più necessario allegare e dimostrare l’esistenza di un danno che abbia tutti i connotati giuridici per essere ammesso a risarcimento essendo semplicemente previsto che il giudice condanna la parte soccombente al pagamento di un somma di denaro ;

– non si tratta di un risarcimento ma di un indennizzo (se si pensa alla parte a cui favore viene concesso) o una punizione (per aver appesantito inutilmente il corso della giustizia, se si ha riguardo allo Stato) di cui viene gravata la parte che ha agito con imprudenza, colpa o dolo;

– l’ammontare della somma è lasciata alla discrezionalità del giudice che ha come unico parametro di legge l’equità per il che non si potrà che avere riguardo, da parte del Giudice, a tutte le circostanze del caso per tarare in modo adeguato la somma attribuita alla parte vittoriosa;

– a differenza delle ipotesi classiche (primo e secondo comma) il Giudice provvede ad applicare quella che si presenta né più né meno che come una sanzione d’ufficio a carico della parte soccombente e non (necessariamente) su richiesta di parte;

– infine, la possibilità di attivazione della norma non è necessariamente correlata alla sussistenza delle fattispecie del primo e secondo comma.

Come rivela in modo inequivoco la locuzione in ogni caso la condanna di cui al terzo comma può essere emessa sia nelle situazioni di cui ai primi due commi dell’art. 96 e sia in ogni altro caso. E quindi in tutti i casi in cui tale condanna, anche al di fuori dei primi due commi, appaia ragionevole.

Volendo concretizzare il precetto, vengono in mente i casi in cui la condotta della parte soccombente sia caratterizzata da colpa semplice (ovvero non grave, che è l’unica fattispecie di colpa presa in esame dal primo comma), ovvero laddove una parte abbia agito o resistito senza la normale prudenza (fattispecie diversa da quelle previste dal primo e secondo comma).

Poiché non è pensabile che possa essere sanzionata la semplice soccombenza, che è un fatto fisiologico alla contesa giudiziale, chi scrive opina che debba sempre esistere qualcosa di più, tale che la condotta soggettiva in esame risulti caratterizzata da imprudenza, dolo o colpa (la sussistenza dei quali potrà essere ravvisata anche applicando i ben noti parametri della prevedibilità ed evitabilità dell’evento, in questo caso della soccombenza).

Come detto, invece, non è necessario che vi sia stato a carico della parte vittoriosa un danno.

O meglio non si tratta di una condizione necessaria come nei casi del primo e del secondo comma dell’articolo in commento.

Naturalmente laddove risulti un danno (patrimoniale o non patrimoniale) questo contribuirà insieme a tutte le altre circostanze alla formazione della valutazione del Giudice sul punto della responsabilità della parte condannata, specialmente per quanto riguarda il quantum della somma da porle a carico.

Nel caso di specie considerate le circostanze elencate ai n.ri 1 e 2 non vi è dubbio che la soccombente abbia agito abusando, in modo clamoroso, del suo diritto di iscrivere ipoteca legale, con dolo.

Ed invero essendo stata parte del procedimento nel quale era stata sospesa l’esecutorietà del titolo, non poteva non sapere che l’ipoteca che successivamente iscriveva era del tutto illegittima.

 

L’ammontare della somma deve essere proporzionato

1. allo stato soggettivo della spa Gerit Equitalia (e per essa dei suoi organi operativi), che in questo caso è da qualificarsi doloso; infatti la convenuta essendo parte costituita della causa nella quale il Giudice aveva sospeso l’esecutorietà non poteva non sapere che non doveva assolutamente, non poteva assolutamente scrivere ipoteca; l’averlo fatto connota condotta volontariamente arbitraria;

2. alla qualità del responsabile, in questo caso trattandosi di soggetto di notevolissime dimensioni, necessariamente ben strutturato, come si evince logicamente dalla necessità di supportare con una adeguata estesa e competente organizzazione lo svolgimento delle funzioni che in epigrafe accompagnano la ragione sociale (.. Agente per la Riscossione della Provincia di Roma). A tale soggetto sono concessi grandi poteri (per rimanere ai più noti, ipoteca legale, fermo di veicoli e natanti..) ai quali, come è giusto, si deve accompagnare un senso di responsabilità, di prudenza, e di equilibrio appropriati alla funzione latu sensu pubblica che l’Agente esplica;

3. alla importanza della misura cautelare o esecutiva di cui si discute. Nel caso di specie si tratta di vincolo assai invasivo e penalizzante per chi lo subisce, sia dal punto di vista oggettivo (è del tutto inutile soffermarsi a ricordare gli effetti dell’ipoteca, quelli diretti e quelli indiretti, sulla commerciabilità del bene, sulla possibilità di ottenere mutui e finanziamenti e via dicendo) e sia dal punto di vista soggettivo, per lo stress, l’agitazione, la preoccupazione per le gravi conseguenze,  la vergogna ed altri sentimenti che secondo id quod plerumque accidit invadono chi lo patisce;

4. alla forza ed al potere economico del responsabile. Attesa infatti la funzione, sopra esplicitata del nuovo istituto, non v’ha dubbio che la somma che il Giudice pone a suo carico debba costituire un efficace deterrente per la reiterazione di analoghe condotte. Diversa di conseguenza sarà la somma a valere per un pensionato sociale rispetto a soggetto dotato di elevati mezzi economici;

5. alla condotta processuale della convenuta. La Gerit non ha manifestato alcuna resipiscenza esponendo argomenti errati o non pertinenti alla fattispecie:

a. l’illustrazione delle caratteristiche e finalità astratte dell’ipoteca legale  è inutile ed irrilevante disquisizione teorica;

b. la spa Gerit era parte del procedimento davanti al GDP per l’annullamento della cartella esattoriale de qua. Nel provvedimento di fissazione dell’udienza al 6.11.2008 il GDP sospendeva la esecutorietà del titolo, sicché alla data del 4.11.2009 (comunicazione iscrizione ipoteca) la spa Gerit sapeva benissimo dell’avvenuta sospensione;

c. non è vero, come si legge nella comparsa del 6.4.2010 della spa Gerit, che il giudizio di merito sia in corso; al contrario in data 18.2.2010 la cartella de qua veniva annullata con sentenza;

d. come comprova il fascicolo di parte spa Gerit, dal quale non risulta alcun documento depositato, è affermazione priva di riscontro che la procedura di iscrizione ipotecaria sia stata chiusa;

e. l’affermazione che la cartella esattoriale sia stata a suo tempo notificata è del tutto irrilevante ed esposta senza alcuna ragione.

Tutto ciò considerato e valutato, la somma che si reputa equo attribuire all’attrice ed a carico della spa Gerit Equitalia è quella di €.25.000,00.

La sentenza è per legge esecutiva.-

 

P.Q.M.

 

definitivamente pronunziando, ogni contraria domanda eccezione e deduzione respinta, così provvede:

ANNULLA l’ipoteca legale iscritta in data 4.11.2009 (provv. n. …)  dalla  Spa Equitalia Gerit  in persona del suo legale rappresentante pro tempore sugli immobili di T. B.;

CONDANNA Spa Equitalia Gerit in persona del suo legale rappresentante pro tempore al pagamento delle spese di causa che liquida in favore di T. B. in complessivi €.5.000,00  di cui  €.800,00 per spese, oltre IVA e CAP;

CONDANNA Spa Equitalia Gerit in persona del suo legale rappresentante pro tempore al pagamento in favore di T. B. ed ai sensi dell’art. 96 III° comma cpc della somma di €.25.000,00 oltre interessi legali dalla data della sentenza al saldo.

 

1 Estratto dal volume “Come applicare la procedura civile nel contenzioso tributario” ***************** 2011

Redazione

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