In particolare, si tratta di quella regola che risiede nell’art. 42 c.p. secondo cui, nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, qualora non l’abbia commesso con dolo. Da ciò si evince che il soggetto, agendo con dolo, si rappresenta e vuole l’attuazione dell’evento dannoso o pericoloso, il quale è strettamente collegato alla sua azione o omissione.
Ciònondimeno risulta doveroso considerare un altro aspetto: il secondo cpv del co 2 art. 42 c.p. mette in chiaro una deroga fondamentale al possibile rimprovero per dolo nei confronti del soggetto: quest’ultimo, difatti, sarà rimproverabile, eccezionalmente e nei casi previsti dalla legge, di delitto preterintenzionale o delitto colposo. Si tratta quindi di ipotesi sussidiarie rispetto a quelle dolose, in cui è la legge che stabilisce esplicitamente quando al reo sarà ascrivibile una responsabilità per colpa o per preterintenzione.
Con maggiore impegno esplicativo in tema di delitto colposo, si può affermare che esso consiste, secondo i dicta sanciti dall’art. 43 c.p., in quella fattispecie criminosa non voluta dall’agente, o che avviene contro la sua intenzione. Più specificamente si tratta di un evento che, seppur prevedibile ed evitabile, non dipende intenzionalmente dalla sua volontà, ma si verifica a causa di sua negligenza, imprudenza o imperizia oppure per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.
La colpa, così come enucleata dal presente articolo, consiste in una delle sfaccettature che può assumere l’animus soggettivo dell’agente e che, in casi prefissati, determina l’incriminazione penalmente rilevante.
Essa si compone di tre elementi fondamentali: l’assenza di volontarietà dell’evento, l’inosservanza di una regola cautelare e la rimproverabilità dell’agente per non aver rispettato la suddetta normativa.
Il dato fondamentale è caratterizzato dalla violazione della norma cautelare, che stigmatizza il rispetto di determinati comportamenti, diversi a seconda delle diverse regole richiamate dal caso concreto e che comporta il verificarsi di un evento prevedibile e completamente evitabile.
La colpa ex art. 43 cp è definita propria o comune e si contrappone a quella impropria – id est scriminante putativa, eccesso colposo, errore determinato da colpa – e speciale – id est professionale, in particolare quella medica. Nel più ampio genus così strutturato si colloca la colpa cosciente, che a norma dell’art. 61 n.3 cp., costituisce una circostanza aggravante, applicabile al caso in cui il soggetto, prevedendo l’evento lesivo, agisce in ogni caso, sperando nelle sue abilità di sventare l’evento criminoso, poi non riuscendoci. Ulteriore distinzione è quella tra colpa generica – che sussiste qualora il soggetto agisca con negligenza, imprudenza o imperizia – e colpa specifica – che deriva dall’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. Tale ultimo discrimen comporta conseguenze diverse circa l’accertamento dell’elemento soggettivo in seno al reo.
Qualora sia necessario accertare che il soggetto abbia agito con colpa generica, in assenza di indicazioni legalmente prestabilite, sarà necessario rapportare la condotta del soggetto de quo con un parametro oggettivo – ossia con la diligenza della doppia misura (la diligenza che risulta dal connubio tra quella del bonus pater familias e quella dell’ homo eiusdem professionis ac condicionis) tipica dell’agente modello, per valutare cosa avrebbe fatto quest’ultimo se si fosse trovato nella medesima situazione.
Qualora sia necessario accertare che il soggetto abbia agito con colpa specifica, in presenza di coordinate legali ben prefissate, non sarà necessario il richiamo alla diligenza della doppia misura. Al contrario, essendoci alla base l’inosservanza di una legge specifica, sarà necessario utilizzare il criterio della concretizzazione del rischio. Orbene occorrerà valutare se quell’evento lesivo sia riconducibile all’interno di quella serie di eventi che la norma giuridica – se osservata – mirava ad evitare. In altre parole, appurato il nesso oggettivo tra condotta e singolo evento lesivo, sarà necessario porre in essere un ulteriore riscontro causale: quello tra evento e colpa, ossia la valutazione della causalità della colpa. Qualora l’evento rientri tra la serie di eventi che abbia concretizzato il rischio del verificarsi dello stesso, il giudice dovrà porre in essere un’ ulteriore valutazione: operare una sostituzione comportamentale, ossia appurare se un comportamento alternativo lecito avrebbe prodotto la stessa conseguenza lesiva.
Tale argomentazione è utile al fine di comprendere secondo quali meccanismi operi la rimproverabilità per colpa. La ratio di tali criteri risiede nel fatto che il soggetto agente viola la regola cautelare, che poteva essere osservata se lo stesso avesse posto in essere un comportamento diligente. La differenziazione in termini di elemento soggettivo è utile ai fini della modulazione della sanzione ex art. 133 c.p.
Invero si tratta di criteri che valgono, tanto nel caso in cui sia uno solo il soggetto a comporre l’illecito, quanto nel caso in cui siano più soggetti a produrre conseguenze lesive contro la propria intenzione.
Se i riferimenti normativi maggiori, in tema di reati colposi monosoggettivi, si rinvengono negli artt. 42 e 43 c.p., il riferimento ad hoc, in tema di reati plurisoggettivi, è contenuto nell’art. 113 c.p., ferma la pedissequa applicazione, anche in tale ultimo caso, degli articoli appena menzionati.
Per ciò che concerne tale disposto normativo, l’art. 113 c.p. contiene la precisa indicazione della cooperazione colposa, intesa quale concorso tra più soggetti che cagionano un evento lesivo, ciascuno dei quali soggiacerà alla pena stabilita per il delitto stesso. Si tratta di una situazione concorsuale che, seppur ricalchi la ratio dell’art. 110 c.p., se ne distacca per quanto concerne l’elemento soggettivo.
Difatti il codice Zanardelli del 1889 non contiene alcuna indicazione circa tale particolare forma cooperativa: si credeva fosse impensabile parlare di un concorso tra più soggetti in assenza di una volontaria cooperazione tra gli stessi e che ammettere una previsione come quella ex art. 113 c.p. si ponesse in antitesi rispetto agli artt. 63 e ss c.p. 1889, che sottolineavano la necessaria presenza dell’intenzionalità dell’evento concorsuale.
La cooperazione colposa viene, quindi, inserita solo a partire dal codice degli anni ’30 e si sostanzia nella comune intenzione di più soggetti, volta a porre in essere una condotta violativa della medesima regola cautelare. In particolare, i concorrenti devono essere a conoscenza della comune volontà di attuare la condotta lesiva della regola cautelare, in assenza di una intenzionalità circa la verificazione dell’evento lesivo consequenziale.
Tale ultimo dictum – ossia l’assenza di intenzionalità nella verifica dell’evento – contraddistingue il delitto plurisoggettivo colposo dal delitto plurisoggettivo ordinario ex art. 110 cp.
E ancora: ulteriore distinzione sussiste tra la ratio dell’art. 113 c.p. e il concorso di cause indipendenti, ex art. 41 c.p.. Più propriamente si tratta di due fattispecie che, prima facie, potrebbero essere considerate equivalenti, ma che in realtà presentano profonde differenziazioni.
Orbene il discrimen si sostanzia nell’assenza, nell’art. 41 cp, della coscienza e volontà di cooperare, ponendo in essere la condotta violativa della medesima regola cautelare, avendo – il concorso di cause – ad oggetto una serie di condotte negligenti, frutto di un risultato causale non concordato, sottoposte in maniera autonoma al trattamento sanzionatorio, ciascuna con una propria responsabilità penale.
In realtà l’art. 113 c.p. si basa sui presupposti cardine dell’elemento soggettivo colposo, ossia prevedibilità ed evitabilità di un evento lesivo, commesso a seguito di una condotta comune violativa del dovere di diligenza; elemento soggettivo che svolge quindi nel reato plurisoggettivo ex art. 113 cp un ruolo fondamentale, tale da distinguerlo rispetto al concorso ex art. 41 cp..
In ogni caso il dato fondamentale della cooperazione colposa è l’individuazione del nesso tra le varie condotte, il quale consiste, secondo un primo orientamento giurisprudenziale, nella consapevolezza di cooperare con altri soggetti. Da tale assunto muovono gli orientamenti giurisprudenziali successivi, secondo i quali debba essere raggiunto un punto di incontro tra i meri comportamenti consapevoli, inidonei a costituire elementi caratterizzanti la cooperazione colposa e il troppo generico ed estensivo criterio della consapevolezza altrui. Si deve quindi trattare di un criterio che stia a metà strada tra le ipotesi appena menzionate e che la giurisprudenza maggioritaria rinviene nella c.d. interazione prudente. Tale criterio è utile per evitare di svuotare di contenuto la norma, estendendola eccessivamente.
In particolare la prudente interazione tra più soggetti – id est il collegamento psicologico cosciente e volontario – deve essere sancita ex lege, ossia è la stessa fonte normativa che stabilisce quando più soggetti si trovano a cooperare in determinati ambiti per esigenze organizzative, collegate alla gestione del rischio. Si tratta di quelle situazioni in cui una data attività può produrre una lesione dannosa o pericolosa, alla collettività, a causa dell’elevata caratura dei beni in gioco. Un criterio, quello dell’interazione prudente, che mira ad evitare di incorrere in condotte vuote e penalmente irrilevanti, qualora non vengano predisposte ex legge.
Da ciò si evince che il nesso tra le condotte dei soggetti è dato dal legame psicologico – assente nel concorso di cause indipendenti – dalla coscienza e volontà di cooperare, dalla intenzione di porre in essere quella condotta, che si dimostrerà violativa della regola di diligenza e che porterà ad un evento evitabile, ma non voluto, secondo le normali previsioni dell’agente modello.
La Cassazione ha, difatti, stabilito che l’elemento soggettivo della partecipazione colposa implica la sola consapevolezza della convergenza della propria condotta con quella degli altri, senza richiedere la conoscenza del contenuto delle condotte altrui o l’identità dei partecipi: ciò che conta è che un soggetto sia cosciente della partecipazione di altri, come avviene ad esempio nel settore sanitario o in altri settori professionali della Pa.
Le condotte sono atipiche, incomplete se considerate singolarmente, ma divengono tipiche nel momento in cui vengono legate alle altre da un legame di interazione.
L’ambito funzionale della cooperazione colposa sarà quindi contraddistinto dall’applicazione degli artt. 114 cp., in tema di circostanze attenuanti, 117 cp nel caso di mutamento del titolo per taluni dei concorrenti, con particolare riguardo per la condotta dell’extraneus e 123 cp., con estensione di diritto della querela a tutti coloro che hanno commesso il reato.
Occorre valutare un ulteriore dato sostanziale: bisogna appurare se la norma svolga una funzione solo di disciplina o anche incriminatrice, ossia se miri alla attribuzione della rilevanza penale a comportamenti colposi atipici rispetto alle fattispecie monosoggettive di parte speciale, non punibili in assenza di una norma penale ad hoc che estenda tale punibilità oppure se sia diretta solo a disciplinare, assoggettando ad un determinato trattamento penale fatti già sanzionabili in base alla fattispecie di parte speciale.
La diversità di tale funzione deve essere indagata con riferimento, da una parte, ai reati a forma vincolata o di mera condotta e dall’altra, ai reati causalmente orientati.
Mentre per i primi è pacifico il riconoscimento della funzione cooperativa quale elemento incriminatorio anche delle condotte atipiche, sicchè in assenza di tale funzione, si rischierebbe di non punire condotte che in realtà sarebbero penalmente rilevanti, dubbi promanano dai reati causalmente orientati.
Intesi quali reati per i quali è sufficiente che la condotta sia idonea a cagionare l’evento previsto dalla norma (ad esempio l’omicidio), parte della dottrina riconosce all’art. 113 cp analoga funzione incriminatrice, posto che in caso contrario alcune condotte – anche solo agevolatrici – non sarebbero altrimenti legate alle altre; sarebbero prive di nesso psicologico.
Altra parte della dottrina contesta tale riconoscimento specialmente in quei reati causalmente orientati contraddistinti dalla sovrapposizione del parametro di materialità con quello di colpevolezza. In particolare riconoscere tale funzione incriminatrice all’art. 113 cp. nei reati causalmente orientati, vorrebbe dire ammettere – nella cooperazione – anche soggetti che sono solo meramente consapevoli di concorrere con altri, in assenza di una violazione oggettiva del dovere di diligenza. Si tratterebbe di ammettere la connotazione di mera consapevolezza, che la Cassazione tradizionale tendeva ad escludere dal novero dei comportamenti, oggetto di cooperazione, ex art. 113 cp.
In realtà è la Cassazione più recente che riconosce un’interpretazione estensiva dell’art. 113 cp., in virtù dei beni tutelati dalle norme che prevedono i reati de quibus. In particolare tale orientamento ha riconosciuto la funzione incriminatrice, ex art. 113 cp, anche a quelle condotte atipiche, agevolatrici, incomplete, che per assumere significato hanno bisogno di coniugarsi con le altre condotte. Invero il dictum dell’art. 114 cp. opera un positivo riscontro della tesi giurisprudenziale analizzata: riconosce una diminuzione sanzionatoria per chi ha, concorrendo nel reato, ricoperto una funzione minima nella preparazione o nella esecuzione del reato, con ciò denotando la presa in considerazione di condotte che solo agevolano la commissione del fatto criminoso nel concorso anche colposo.
Per completezza di trattazione, è utile affermare che la cooperazione ammette l’applicazione dell’ ipotesi di determinazione al reato nei confronti di persona non imputabile o non punibile ex art. 111 cp. e dei numeri 3 e 4 ex art. 112 cp, in tema di circostanze aggravanti comuni.
Nulla quaestio sull’applicazione della cooperazione anche in tema di contravvenzioni, così come si desume anche dal corpus legislativo ex art. 110 cp., che non pone alcun divieto al riguardo.
Chiarito l’ambito applicativo della cooperazione colposa, che prescrive un concorso colposo nel delitto colposo, occorre osservare come tracce dell’elemento soggettivo della colpa nei reati plurisoggettivi siano rinvenvibili anche nelle particolari ipotesi di concorsi a partecipazione soggettiva diversificata. Si tratta dei casi in cui più soggetti concorrano colposamente in un reato doloso o concorrano dolosamente in un reato colposo.
A fronte di tali argomentazioni, appare utile affermare che queste due ipotesi sarebbero ammissibili solo qualora si propendesse per la tesi pluralistica del concorso di persone nel reato, la quale, contrariamente a quella dell’unitarietà, prevede la possibilità di un concorso con diversi atteggiamenti psicologici.
Secondo la tesi pluralistica, vi sarebbe unitarietà nell’offesa tipica, ma pluralità nella punibilità, nel titolo di reato e nella psiche dei singoli soggetti. Tali fattori pluralistici sarebbero riscontrabili nei dettami degli artt. 110 cp., che parla esplicitamente di soggiacere ognuno alla propria pena; 113 cp. che prevede la possibilità di una cooperazione colposa; 111 e 112 cp , che prevedono concorso doloso per fatti incolpevoli.
Si tratta di due situazioni – quella del concorso doloso nel reato colposo e del concorso colposo nel reato doloso – ammissibili, ma entro certi limiti, ossia previa valutazione del caso concreto.
Difatti mentre il concorso doloso nel reato colposo è maggiormente applicabile, seppur in ipotesi esiguamente sancite ex lege, maggiori problemi derivano dalla possibilità di profilare un concorso colposo nel reato doloso.
Per quanto attiene tale ultima fattispecie, si tratterebbe di ammetterne la possibilità solo nel caso in cui il soggetto, che sia a conoscenza della cooperazione colposa, non sia poi cosciente del dolo dell’altro partecipe. In ogni caso resta una fattispecie dall’indubbia – quasi inverosimile applicazione – posto che si differenzia totalmente dall’ipotesi tassativamente prevista dall’art. 113 cp.
Peraltro lo stesso art. 42 co 2 cp. esplicita a chiare lettere i contorni dei concorsi colposi e un concorso del genere non è rinvenibile nel corpus normativo (ubi lex voluit, dixit).
Invero una situazione di tal guisa potrebbe essere simile a quella di agevolazione colposa, casi che sono anch’essi tassativamente previsti e che si diversificano dal concorso de quo.
Il fattore preminente è però costituito dal fatto che l’ammissione di non conoscenza del dolo dell’altro partecipe interromperebbe il nesso di collegamento psicologico tra gli stessi soggetti, elemento che dovrebbe imprescindibilmente sussistere per l’esistenza del concorso colposo.
La Cassazione più recente ha d’altronde affermato che la valutazione di tali ipotesi debba essere suscettibile di valutazione concreta, posto che un’indifferenza aprioristica del diverso grado di colpevolezza dei vari partecipi tenderebbe a giungere all’erronea conclusione di lasciare impunite condotte penalmente rilevanti. Ciò non toglie che si tratti di fattispecie di esigua e difficile applicazione e che presentino delle problematiche evidenti, anche in virtù di un’assente previsione legislativa che le predisponga.
Alla stregua di quanto precede si può concludere affermando che, la colpa gioca un ruolo fondamentale – in termini di valutazione circa la colpevolezza del reo e nei casi espressamente previsti ex lege – al fine di riconoscere la responsabilità penale ad un agente che non ha voluto il verificarsi dell’evento, ma che a causa di violazione di norme cautelari e dell’obbligo di diligenza, è incorso in una condotta illecita e suscettibile di rimproverabilità.
Tale valutazione colposa, seppur in deroga agli ordinari criteri soggettivi del dolo, rileva non solo a livello del reato monosoggetivo, quanto – come è stato precedentemente analizzato – nel caso in cui siano più soggetti a comporre il fatto penalmente rilevante.
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