È legittima la revoca della sentenza di condanna, pronunciata nei confronti dello straniero in ordine alla violazione dell’art. 6, c. 3, del T.U. Immigrazione, commessa in epoca antecedente all’entrata in vigore della l. 94/2009, che ha novellato la formulazione dello stesso art. 6
2.Cass. pen. marzo 2014 (ud. gennaio 2014)
La abolitio criminis della condotta precedentemente incriminata, ex art. 6, c. 3, del T.U. Immigrazione, per la parte riguardante gli stranieri irregolarmente presenti nel territorio dello Stato, discende direttamente dalla riformulazione dell’originaria norma incriminatrice operata, dopo la commissione del reato, dalla novella legislativa sopravvenuta nel 2009, che ha escluso, secondo la corretta interpretazione del testo normativo compiuta nella sua funzione nomofilattica dalla giurisprudenza di legittimità, la rilevanza penale del segmento di condotta concernente l’inottemperanza all’ordine di esibizione dei documenti da parte dello straniero irregolare: si tratta dunque di un tipico caso di abrogatio legis conseguente alla successione di leggi penali nel tempo, disciplinato dall’art. 2 c.p.p., c. 2, e non di un mero mutamento di indirizzo giurisprudenziale (da parte delle Sezioni Unite della Suprema Corte) in ordine all’interpretazione di una norma rimasta invariata nella sua formulazione legislativa rispetto al tempo del commesso reato, di cui sia stata configurata in via ermeneutica la portata incriminatrice in termini diversi e più limitati da quelli seguiti dalla precedente interpretazione della medesima norma.
3.Cass. pen. aprile 2014 (ud. gennaio 2014)
Le SS.UU. del S.C., con la sentenza n. 16453/2011, non hanno proceduto ad una nuova interpretazione della norma di cui all’art. 6, c. 3, del T.U. Immigrazione, ma hanno doverosamente dato atto dell’abrogazione dell’ipotesi criminosa prevista da detta norma, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 1, c. 22, lett. h), della l. 94/2009
4.Cass. pen. aprile 2014 (ud. gennaio 2014)
Il precedente orientamento giurisprudenziale, secondo il quale il reato di cui all’art. 6, c. 3, del T.U. Immigrazione, consistente nella mancata esibizione senza giustificato motivo, a richiesta degli ufficiali ed agenti di p.s., del passaporto o di altro documento di identificazione, poteva essere commesso da qualsiasi cittadino straniero che si trovasse in Italia, a prescindere il medesimo fosse o meno presente sul territorio nazionale in modo regolare od irregolare, è stato recentemente innovato da questa Corte, la quale, esaminata ex novo la questione a seguito dell’entrata in vigore della l. 94/2009, ha ritenuto che la modificazione del citato art. 6, c. 3, del T.U. Immigrazione, introdotta dall’art. 1, c. 22, lett. h), della citata l. 94/2009, abbia circoscritto i soggetti attivi del reato di inottemperanza all’ordine di esibizione del passaporto o di altro documento di identificazione e del permesso di soggiorno o di altro documento attestante la regolare presenza nel territorio dello Stato esclusivamente agli stranieri “legittimamente” soggiornanti nel territorio dello Stato, con conseguente “abolitio criminis” per gli stranieri extracomunitari irregolari.
5.Cass. pen. giugno 2014 (ud. maggio 2014)
L’art. 6, c. 3, del T.U. Immigrazione, come modificato dalla l. 94/2009, rende punibile della violazione prevista in detta norma solo lo straniero regolare nel territorio dello Stato, poiché solo allo straniero che ha ottenuto il permesso o la carta di soggiorno può essere imposto di ottemperare all’ordine di esibizione, oltre che di un documento d’identità, anche del documento attestante la sua regolare presenza nel territorio dello Stato.
6.Cass. pen. settembre 2014 (ud. giugno 2014)
Il reato di inottemperanza all’ordine di esibizione del documento di identificazione è configurabile soltanto nei confronti degli stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio dello Stato e non di quelli in posizione irregolare, desumendosi ciò dalla modifica dell’art. 6, c. 3, T.U. Immigrazione, apportata dall’art. 1, comma ventiduesimo, lett. h), l. 94/2009, che ha comportato una “abolitio criminis” della preesistente fattispecie per la parte relativa agli stranieri in posizione irregolare
B)FAVOREGGIAMENTO IMMIGRAZIONE CLANDESTINA (ART. 12 T.U. IMMIGRAZIONE)
1.Cass. pen. gennaio 2014 (ud. ottobre 2013)
Integra il reato di favoreggiamento della permanenza illegale dello straniero nel territorio dello Stato la condotta di chi tragga profitto dalla condizione di illegalità di cittadini stranieri minorenni fuggiti da una struttura di accoglienza, dopo essere entrati clandestinamente in Italia per ricongiungersi a parenti, quivi residenti, chiedendo a questi ultimi somme esorbitanti rispetto alle spese sostenute per l’ospitalità data ai minori e per le successive spese di viaggio necessarie al ricongiungimento, a nulla rilevando la circostanza che, data la loro età, i minori non possano essere espulsi.
2.Cass. pen. gennaio 2014 (ud. ottobre 2013)
In tema di reato di favoreggiamento dell’illegale permanenza dello straniero nel territorio dello stato, di cui all’art. 12, c. 5, T.U. Immigrazione, la condotta di presentazione di false dichiarazioni di emersione di lavoro irregolare, sorretta dal fine di trarre un ingiusto profitto dalla condizione di illegalità del cittadino extracomunitario, siccome è di per sé sufficiente ad integrare la fattispecie delittuosa, in quanto impedisce l’attivazione della procedura di espulsione, preclude la configurabilità della desistenza volontaria, la quale richiede che la volontaria cessazione dell’azione o225438d omissione determini l’impossibilità di verificazione dell’evento
3.Cass. pen. febbraio 2014 (ud. ottobre 2013)
Configura il reato di favoreggiamento della immigrazione clandestina la condotta di chi compie atti diretti a procurare l’ingresso illegale in altro Stato di persona che in relazione a questo non ha titolo di residenza né di cittadinanza anche se si tratta di soggetto già irregolarmente presente sul territorio italiano.
4.Cass. pen. maggio 2014 (ud. febbraio 2014)
Sussiste la giurisdizione italiana, in relazione ai delitti di cui agli artt. 416 c.p. e 12 T.U. Immigrazione, nel caso in cui la c.d. nave madre salpi dalle coste dell’Africa con a bordo gli immigrati ed esaurisca la propria condotta nelle acque extraterritoriali, mentre le condotte terminali dell’azione criminosa conducente alla realizzazione del risultato – ossia lo sbarco dei clandestini sul territorio italiano – siano di fatto riportabili all’attività lecita di navi intervenute doverosamente a soccorso dei naufraghi.
5.Cass. pen. maggio 2014 (ud. marzo 2014)
In tema di immigrazione clandestina, la giurisdizione nazionale è configurabile anche nel caso in cui il trasporto dei migranti, avvenuto in violazione dell’art. 12 del T.U. Immigrazione a bordo di una imbarcazione (nella specie, un gommone con oltre cento persone a bordo) priva di bandiera e, quindi, non appartenente ad alcuno Stato, secondo la previsione dell’art. 110 della Convenzione di Montego Bay delle Nazioni Unite sul diritto del mare, sia stato accertato in acque extraterritoriali ma, successivamente, nelle acque interne e sul territorio nazionale si siano verificati quale evento del reato l’ingresso e lo sbarco dei cittadini extracomunitari per l’intervento dei soccorritori, quale esito previsto e voluto a causa delle condizioni del natante, dell’eccessivo carico e delle condizioni del mare
6.Cass. pen. luglio 2014 (ud. maggio 2014)
In tema di disciplina dell’immigrazione, il delitto di cui all’art. 12 del T.U. Immigrazione, per la sua natura di reato di pericolo, si perfeziona per il solo fatto che l’agente pone in essere, con la sua condotta, una condizione, anche non necessaria, teleologicamente connessa al potenziale ingresso illegale dello straniero nel territorio dello Stato, ed indipendentemente dal verificarsi dell’evento. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la decisione impugnata che aveva affermato la sussistenza del reato con riferimento alla condotta consistita nella stipulazione di un contratto di locazione simulato con i prossimi congiunti dello straniero, quale atto idoneo ad inserirsi nel procedimento amministrativo culminante con il rilascio del titolo di soggiorno, anche se, poi, alcun ingresso illegale era avvenuto).
7.Cass. pen. agosto 2014 (ud. agosto 2014)
Il S.C. ricorda alcune massime, da cui ritiene di non doversi discostare: 1) “E’ configurabile il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, con riferimento all’ingresso dello straniero nel territorio dello Stato in modo formalmente regolare, ma finalizzato ad una permanenza illegale”, 2)”E’ configurabile il delitto di favoreggiamento illegale dell’immigrazione anche con riferimento ad ingressi dello straniero nel territorio dello Stato per finalità diverse da quelle in relazione alle quali quest’ultimo abbia presentato richiesta di visto, mediante false attestazioni o producendo documentazione falsa relativa agli effettivi motivi del soggiorno in Italia”; 3) “Il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina è integrato quando l’ingresso dello straniero sia formalmente regolare, ma in realtà finalizzato ad una permanenza illegale”; 4) “Il reato di favoreggiamento dell’ingresso clandestino di cittadini extracomunitari sussiste anche nel caso in cui l’ingresso nel territorio nazionale è avvenuto regolarmente, attraverso il prescritto valico di frontiera, con un valido passaporto e per motivi turistici, ma risulti che in realtà è finalizzato ad un permanenza illegale”
8.Cass. pen. settembre 2014 (ud. febbraio 2014)
Ai fini della configurazione del reato previsto dall’art. 12, c. 5, del T.U. Immigrazione, non è sufficiente che l’agente abbia favorito la permanenza nel territorio dello Stato di immigrati clandestini, ma è necessario che ricorra il dolo specifico: esso è costituito dal fine di trarre un ingiusto profitto dallo stato di illegalità dei cittadini stranieri, che si realizza quando l’agente, approfittando di tale stato, imponga condizioni particolarmente onerose ed esorbitanti dal rapporto sinallagmatico [aggiunge il S.C. che: a) l’elemento di distinzione tra detto reato e quello di cui all’art. 22, c. 12, dello stesso T.U., “ferma restando – in relazione alla diversità della ratio che li caratterizza e alla evidente diversità dell’interesse protetto – la possibilità del concorso, è costituito dal fatto che, mentre il secondo intende combattere il fenomeno della immigrazione clandestina, punendo l’assunzione al lavoro di extracomunitari privi di permesso di soggiorno, potendo connotarsi come strumento atto a eludere il divieto di ingresso e di permanenza nel territorio dello Stato al di fuori delle condizioni fissate dalla legge, con il primo si punisce invece l’attività di colui che, approfittando della condizione di illegalità degli stranieri, ne favorisca la permanenza nel territorio dello Stato al fine di trarre un ingiusto profitto da tale condizione, fuoriescendosi dal rapporto sinallagmatico di prestazione d’opera o perchè gli stranieri vengono utilizzati in attività illecite o perchè si impongono loro condizioni gravose e discriminatorie di lavoro, di orario e/o di retribuzione; b) “anche la condotta di fornire un alloggio al cittadino extracomunitario può configurare il reato di favoreggiamento qualora dalla stipulazione del contratto colui che fornisce l’alloggio intenda trarre un indebito vantaggio dalla condizione di illegalità in cui si trova lo straniero, sempre in relazione a quel particolare rapporto sinallagmatico”; e si è così sostenuto “che sussiste il reato di favoreggiamento qualora, nel mettere a disposizione un alloggio, il fine di trarre un ingiusto profitto sia realizzato mediante un comodato senza termine di durata, indipendentemente dal fatto che il prezzo sia equo … consistendo, in tal caso, l’ingiusto profitto nell’avere indotto il cittadino extracomunitario a stipulare un contratto, per il proprietario, più vantaggioso rispetto a quello di locazione, o qualora la condotta di dare alloggio a uno straniero privo di titolo di soggiorno e la cessione a questi in locazione dell’immobile si realizzi a condizioni contrattuali fortemente disequilibrate in favore del titolare dell’immobile … o comunque gravose rispetto ai valori di mercato …”]
9.Cass. pen. ottobre 2014 (ud. marzo 2014)
In tema di disciplina dell’immigrazione, le condotte descritte ai commi 3 e 3 bis dell’art. 12 del T.U. Immigrazione, implicano l’effettivo ingresso dello straniero nel territorio dello Stato, in violazione della disciplina di settore, presupposto invece non richiesto ai fini dell’integrazione dell’ipotesi di reato di cui al comma primo, del citato art. 12, che si configura come delitto a consumazione anticipata
10.Cass. pen. ottobre 2014 (ud. maggio 2014)
L’elemento finalistico dell’ingiusto profitto, che qualifica il profilo soggettivo del reato di favoreggiamento della permanenza illegale di uno straniero nel territorio dello Stato e costituisce il dato distintivo dal reato di occupazione alle proprie dipendenze di lavoratori stranieri senza permesso di soggiorno, non può essere individuato nel mero impiego dello straniero come mano d’opera in nero, occorrendo quale elemento ulteriore l’imposizione di condizioni gravose e discriminatorie.
11.Cass. pen. dicembre 2014 (ud. maggio 2014)
E’ configurabile il concorso nel delitto di favoreggiamento illegale dell’immigrazione anche con riferimento a trasporti limitati a segmenti interni al territorio nazionale ma inseriti in un più ampio percorso che, dall’estero, conduca i clandestini prima in Italia e poi in altri paesi Europei
C)ESPULSIONE AMMINISTRATIVA (ART. 13 T.U. IMMIGRAZIONE)
1.Cass. pen. dicembre 2014 (ud. novembre 2014)
Ai fini dell’applicazione della misura di sicurezza dell’espulsione dello straniero ex art. 86 d.P.R. 309/1990, per la avvenuta commissione di reati in materia di stupefacenti, è necessario non solo il previo accertamento della sussistenza in concreto della pericolosità sociale del condannato, in conformità all’art. 8 CEDU, in relazione all’art. 117 Cost., ma anche l’esame comparativo della condizione familiare dell’imputato, ove ritualmente prospettata, con gli altri criteri di valutazione indicati dall’art. 133 cod. pen., in una prospettiva di bilanciamento tra interesse generale alla sicurezza sociale ed interesse del singolo alla vita familiare
D)DIVIETO DI REINGRESSO (ART. 13 T.U. IMMIGRAZIONE)
1.Cass. pen. febbraio 2014 (ud. ottobre 2013)
Integra il reato di cui all’art. 13, c. 13, T.U. Immigrazione, la condotta del cittadino di un paese terzo che rientra,senza autorizzazione, nel territorio dello Stato prima del decorso di cinque anni dal suo allontanamento forzato, anche ove nel provvedimento di espulsione era indicato un termine superiore ai cinque anni in violazione di quanto indicato all’art. 11 par. 2 della direttiva 2008/115/CE del Parlamento Europeo
E)ORDINE DI ALLONTANAMENTO (ARTT. 13,14 T.U. IMMIGRAZIONE)
1.Cass. pen. settembre 2014 (ud. settembre 2014)
Ai fini della configurabilità del di reato di ingiustificata inosservanza dell’ordine di allontanamento del Questore, la mera traduzione del decreto di espulsione e dell’ordine di allontanamento in lingua “veicolare”, senza che sia attestata la motivata impossibilità di avvalersi di un testo già predisposto nella lingua madre dello straniero, secondo quanto prevede l’art. 13, c.5, n. 1, del T.U. Immigrazione, non integra di per sé illegittimità dei provvedimenti amministrativi posti a presupposto della condanna, quando non è dedotta in concreto l’inidoneità dei documenti redatti in lingua “veicolare” a dare compiuta cognizione all’interessato del contenuto precettivo dei provvedimenti
F)ASSUNZIONE LAVORATORI STRANIERI PRIVI DEL PERMESSO DI SOGGIORNO (ART. 22 T.U. IMMIGRAZIONE)
1.Cass. pen. aprile 2014 (ud. febbraio 2014)
L’art. 22, c. 12, del T.U. Immigrazione punisce, prescindendo pertanto dalla fase specifica e precipua dell’assunzione, “chi occupa alle proprie dipendenze”, condotta questa la quale, come reso palese dal significato letterale delle parole utilizzate, fa riferimento all’occupazione lavorativa, condotta che può realizzarsi con l’assunzione, ma non soltanto con essa. Ai sensi di legge risponde, infatti, del reato, in esame, non soltanto chi assume il lavoratore straniero che si trovi nelle condizioni indicate dalla fattispecie incriminatrice, bensì anche chi, pur non avendo provveduto direttamente ad essa (assunzione), se ne avvalga tenendo alle sue dipendenze, e pertanto occupando più o meno stabilmente, l’assunto
2.Cass. pen. aprile 2014 (ud. aprile 2014)
Con l’intervento operato dall’art. 5, c. 1 ter, del d.l. 92/2008, il reato contemplato dall’art. 22, c. 12, del T.U. Immigrazione, è stato qualificato come delitto – e non più come contravvenzione – e punito più severamente con la pena congiunta della reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa di Euro 5.000 per ciascun lavoratore impiegato; pertanto, per poter configurare tale illecito è necessaria la prova del dolo, ossia della coscienza e volontà in capo al soggetto agente dell’irregolarità della permanenza in Italia del dipendente straniero, non essendo più sufficiente la mera colpa, per cui le condotte poste in essere in epoca antecedente alla modifica del citato art. 22, c. 12, costituiscono tuttora reato, ma soltanto se dolose e vanno punite con le sanzioni più favorevoli vigenti al momento della commissione del fatto
3.Cass. pen. luglio 2014 (ud. gennaio 2014)
Integra il reato di illegale assunzione di lavoratori stranieri, di cui all’art. 22, c. 12, del T.U. Immigrazione, l’occupazione di lavoratori privi del permesso di soggiorno, anche se con il “patto di prova” previsto dall’art. 2096 cod. civ., in quanto la norma incriminatrice non distingue tra rapporti di lavoro stabili o soggetti a condizione
G)ESPULSIONE A TITOLO DI SANZIONE SOSTITUTIVA O ALTERNATIVA ALLA DETENZIONE (ART. 16 T.U. IMMIGRAZIONE)
1.Cass. pen. agosto 2014 (ud. maggio 2014)
La figura speciale di espulsione dello straniero condannato e detenuto in esecuzione di pena, riservata alla competenza del giudice di sorveglianza e avente natura amministrativa costituisce un’atipica misura alternativa alla detenzione, finalizzata ad evitare il sovraffollamento penitenziario. In presenza delle condizioni fissate dall’art. 16, c. 5, del T.U. Immigrazione, così come modificato dalla l. 189/2002, la sua adozione è obbligatoria, secondo quanto si ricava dall’interpretazione letterale della norma, che introduce, quale clausola derogatoria, la condanna per uno o più’ dei delitti disciplinati dall’art. 407, c. 2, lett. a), c.p.p., ovvero per i delitti previsti dal testo unico in materia di immigrazione
2.Cass. pen. dicembre 2014 (ud. novembre 2014)
L’espulsione dello straniero come misura alternativa alla detenzione, prevista dall’art.16, c. 5, T.U. Immigrazione, nel testo modificato dall’art. 6, c. 1, lett. a), d.l. 146/2013, convertito dalla l. 10/2014, può essere disposta anche per reati commessi ed accertati prima della entrata in vigore della novella, e per i quali la misura non era precedentemente contemplata, atteso che le previsioni concernenti l’esecuzione delle pene detentive e le misure alternative alla detenzione non hanno natura di norme penali sostanziali e sono soggette, in caso di successione di leggi, al principio del “tempus regit actum”. (Fattispecie in cui le nuove disposizioni sono state applicate direttamente dalla Corte di cassazione).
H)INGRESSO E SOGGIORNO ILLEGALE (ART. 10 BIS T.U. IMMIGRAZIONE)
1.Cass. Pen. gennaio 2014 (ud. dicembre 2013)
Il reato contemplato dall’art. 10 bis del T.U. Immigrazione – la cui legittimità costituzionale e la cui conformità all’ordinamento dell’Unione Europea sono stati confermati dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Giustizia dell’Unione – è integrato quando lo straniero “fa ingresso” ovvero “si trattiene” nel territorio dello Stato in violazione del testo unico.
2.Cass. Pen. febbraio 2014 (ud. novembre 2013)
In tema di immigrazione, ai fini della sussistenza del reato contravvenzionale di illegale permanenza nel territorio dello Stato, ex art. 10 bis del T.U. Immigrazione, prevedendo lo stesso T.U. il rilascio di apposita documentazione autorizzativa per il soggiorno in Italia, è sufficiente da parte dell’accusa dimostrare che il cittadino straniero, presente nel territorio dello Stato, ne risulti sprovvisto ovvero che non sia in grado di allegare tale documentazione, essendo illogico pretendere che il PM, sostituendosi all’imputato, fornisca la prova di un fatto storico (la richiesta di un permesso di soggiorno), in tesi, mai avvenuto.
3.Cass. Pen. febbraio 2014 (ud. novembre 2013)
La norma che incrimina le condotte di ingresso e permanenza illegale nel territorio dello Stato – ex art. 10 bis del T.U. Immigrazione – ha di recente superato il vaglio di compatibilità costituzionale: il Giudice delle leggi, con sentenza n. 250 del 2010, ha precisato che la norma non punisce una “condizione personale e sociale” – quella, cioè, di straniero “clandestino” (o, più propriamente, “irregolare”) – e non criminalizza un “modo di essere” della persona. Essa, invece, punisce uno specifico comportamento, costituito dal “fare ingresso” e dal “trattenersi” nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni di legge. Si è quindi di fronte, rispettivamente, ad una condotta attiva istantanea (il varcare illegalmente i confini nazionali) e una a carattere permanente di natura omissiva, consistente nel non lasciare il territorio nazionale. La condizione di “clandestinità” è, in questi termini, la conseguenza della condotta penalmente illecita e non già un dato preesistente ed estraneo al fatto, e la rilevanza penale si correla alla lesione del bene giuridico individuabile nell’interesse dello Stato al controllo e alla gestione dei flussi migratori, secondo un determinato assetto normativo: si tratta di un bene “strumentale”, per mezzo della cui tutela si accorda protezione a beni pubblici “finali” di sicuro rilievo costituzionale. Per queste ragioni non è stata una scelta arbitraria la predisposizione di una tutela penale di siffatto interesse, che si atteggia a bene giuridico di “categoria”, capace di accomunare buona parte delle norme incriminatrici presenti nel testo unico del 1998.
4.Cass. pen. aprile 2014 (ud. febbraio 2014)
La mera previsione di una sanzione pecuniaria di natura penale per l’ingresso o il soggiorno illegale dello straniero nel territorio nazionale, non accompagnata da misure di rimpatrio forzato incompatibili con la normativa europea, come previsto dall’art. 10 bis del T.U. Immigrazione, è rispettosa dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, ai sensi dell’art. 117, c. 1, Cost.
5.Cass. pen. maggio 2014 (ud. aprile 2014)
E’ applicabile l’istituto della particolare tenuità del fatto, strumento processuale da utilizzare in relazione a quelle condotte in cui vengano in considerazione, con la modesta gravità del danno o del pericolo, condizioni di esigua colpevolezza, allo straniero colpevole del soggiorno illegale in Italia, ex art. 10 bis del T.U. Immigrazione, successivamente coniugatosi con cittadina italiana.
6.Cass. pen. maggio 2014 (ud. febbraio 2014)
L’art. 10 bis del T.U. Immigrazione non contempla la clausola del “giustificato motivo”, previsto dalle fattispecie incriminatrici del successivo art. 14 [ricorda il S.C. che la Corte costituzionale, con sentenza 250/2010, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale del citato art. 10 bis, nella parte in cui non prevede, tra gli elementi costitutivi del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, l’assenza di un giustificato motivo, ritenendo che la mancata previsione del “giustificato motivo” nel reato contravvenzionale di cui al citato articolo “non comporta violazione del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost., in quanto, per la contravvenzione anzidetta, è da ritenere operante un diverso strumento di moderazione dell’intervento sanzionatorio e cioè l’istituto dell’improcedibilità per particolare tenuità del fatto, di cui al D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 34, reso applicabile dall’attribuzione della competenza per il reato in esame al giudice di pace, istituto la cui disciplina è, com’è noto, riferita a varie ipotesi, quali l’esiguità dell’offesa all’interesse tutelato.
7.Cass. pen. luglio 2014 (ud. aprile 2014)
La mera previsione di una sanzione pecuniaria di natura penale per l’ingresso o il soggiorno illegale dello straniero nel territorio nazionale, prevista dall’art. 10 del T.U. Immigrazione, non accompagnata da misure di rimpatrio forzato incompatibili con la normativa europea in materia, è rispettosa dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, ai sensi dell’art. 117, comma 1, Cost.
8.Cass. pen. luglio 2014 (ud. maggio 2014)
Nel caso di cittadino straniero in possesso di valido passaporto, ove manchi certezza sulla data del suo ingresso in Italia, non può presumersi il già scaduto termine di otto giorni lavorativi dalla data di ingresso senza aver richiesto il permesso di soggiorno, al fine di ritenere integrata la contravvenzione prevista e punita dall’art. 10 bis del T.U. Immigrazione.
9.Cass. pen. settembre 2014 (ud. giugno 2014)
In tema di reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio nazionale, il presupposto per la emissione della sentenza di non luogo a procedere di cui all’art. 10, c. 5, del T.U. Immigrazione, consistente nell’acquisizione, da parte del giudice, della notizia della avvenuta esecuzione, coattiva o su base volontaria, dell’espulsione dello straniero clandestino, non può essere surrogata dalla semplice notificazione allo stesso dell’ordine del Questore di lasciare il territorio nazionale, poiché a questo fatto può non seguire l’effettivo abbandono del suolo italiano.
10.Cass. pen. ottobre 2014 (ud. ottobre 2014)
La fattispecie contravvenzionale prevista dall’art. 10 bis del T.U. Immigrazione, che punisce l’ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, non viola la direttiva europea sui rimpatri (direttiva Commissione CEE 16 dicembre 2008, n. 115), non comportando alcun intralcio alla finalità primaria perseguita dalla direttiva predetta di agevolare ed assecondare l’uscita dal territorio nazionale degli stranieri extracomunitari privi di valido titolo di permanenza e non è in contrasto con l’art. 7, par. 1 della medesima, che, nel porre un termine compreso tra i 7 e 30 giorni per la partenza volontaria del cittadino di paese terzo, non per questo trasforma da irregolare a regolare la permanenza dello straniero nel territorio dello Stato.
11.Cass. pen. ottobre 2014 (ud. settembre 2014)
La contravvenzione prevista dall’art. 10 bis del T.U. Immigrazione, che punisce l’ingresso ed il soggiorno illegale nel territorio dello Stato, non può ritenersi abrogata per effetto diretto della l. 67/2014, posto che tale atto normativo ha conferito al Governo una delega, implicante la necessità del suo esercizio, per la depenalizzazione di tale fattispecie e che, pertanto, quest’ultima, fino alla emanazione dei decreti delegati, non potrà essere considerata violazione amministrativa.
12.Cass. pen. novembre 2014 (ud. novembre 2014)
Lo straniero extracomunitario che sia trovato nel territorio dello stato senza qualsivoglia documento identificativo e del permesso di soggiorno per non incorrere nella affermazione di responsabilità per il reato di cui all’at. 10 bis del T.U. Immigrazione, ha l’onere di dimostrare l’esistenza di un titolo di ingresso e soggiorno legittimante la sua condizione nello Stato, onere che all’evidenza risulta non essere stato assolto dall’imputato che, invitato a presentarsi presso la Questura di Sondrio per fornire le sue spiegazioni, non vi ottemperò. Pertanto è corretto il rilievo del ricorrente, secondo cui il giudice a quo avrebbe operato una non giustificata inversione dell’onere della prova, non essendo presunta per legge l’esistenza di titolo autorizzativo e quindi non incombendo sull’accusa l’onere di provarla; il discorso giustificativo della sentenza si è basata sulla mera ipotesi che l’imputato fosse stato autorizzato a trattenersi in Italia, senza ancoraggio a dati certi riconducibili al numero chiuso di autorizzazioni rilasciate.
13.Cass. pen. dicembre 2014 (ud. ottobre 2014)
Il bene giuridico protetto dall’art. 10 bis del T.U. Immigrazione è agevolmente identificabile nell’interesse dello Stato al controllo e alla gestione dei flussi migratori, secondo un determinato assetto normativo: interesse la cui assunzione ad oggetto di tutela penale non può considerarsi irrazionale ed arbitraria – trattandosi, del resto, del bene giuridico “di categoria”, che accomuna buona parte delle norme incriminatrici presenti nel testo unico del 1998 – e che risulta, altresì, offendibile dalle condotte di ingresso e trattenimento illegale dello straniero. Anche il reato previsto dall’ art. 10 bis del T.U. Immigrazione rientrava tra quelli per i quali era prevista la sospensione obbligatoria dei procedimenti penali, ai sensi del d.l. 78/1009, convertito dalla l. 102/2009.
14.Cass. pen. dicembre 2014 (ud. ottobre 2014)
La contravvenzione previsto dall’ art. 10 bis del T.U. Immigrazione, non punisce la mera condizione di straniero irregolare, ma incrimina due specifici comportamenti, lesivi dell’interesse statale al controllo e alla gestione dei flussi migratori secondo un determinato assetto normativo e cioè, il “fare ingresso nel territorio dello Stato” (condotta attiva istantanea) ed il “trattenersi” nel territorio medesimo (condotta omissiva permanente) in violazione del predetto.
15.Cass. pen. dicembre 2014 (ud. novembre 2014)
La condotta di entrare e soggiornare nel nostro Paese senza essere in possesso di documenti di tanto autorizzatoli ed in assenza di procedure amministrative a ciò propedeutiche, integrino condotte del tutto episodiche, contingenti e, quindi, occasionale; da ciò consegue, sotto il profilo dell’occasionalità,l’applicabilità al reato contemplato dall’art. 10 bis del T.U. Immigrazione dell’istituto della particolare tenuità del fatto, ex art. 34 d. lgs. 274/2000.
I)MISCELLANEA
1.Cass. Pen. gennaio 2014 (ud. novembre 2013)
La disciplina riguardante la validità delle patenti rilasciate da paesi stranieri è contenuta negli artt. 135 e 136 C.d.S., secondo cui lo straniero può guidare in Italia con la patente rilasciata da paese straniero se valida e per il periodo di un anno dall’inizio della residenza in Italia; lo straniero, residente in Italia da meno di un anno e che guidi con patente straniera scaduta di validità, commette l’illecito amministrativo ex art. 126, c. 7, C.d.S. (guida con patente con validità scaduta); lo straniero, residente in Italia da oltre un anno e che guidi con patente rilasciata da uno stato estero non più in corso di validità, commette il reato contravvenzionale di guida senza patente; lo straniero, residente in Italia da oltre un anno e che guidi con patente straniera in corso di validità, commette l’illecito amministrativo assimilabile alla guida di patente italiana scaduta di validità.
2.Cass. pen. giugno 2014 (ud. febbraio 2014)
La mancata di traduzione della sentenza nella lingua nota all’imputato alloglotta, anche dopo l’entrata in vigore della direttiva 2010/64/UE, non integra ipotesi di nullità ma, se vi è stata specifica richiesta, i termini d’impugnazione decorrono dal momento in cui la motivazione della decisione sia stata messa a disposizione dell’imputato nella lingua a lui comprensibile. (La Suprema Corte ha affermato il principio in epoca precedente al recepimento della direttiva 2010/64/UE con D.L. 4 marzo 2014 n. 32).
3.Cass. pen. ottobre 2014 (ud. luglio 2014)
Quando il cittadino dell’Unione europea sia stato allontanato da territorio italiano per motivi di sicurezza dello Stato (o per uno degli altri motivi previsti dall’art. 20, c. 1, del d. lgs. 30/2007), il giudice pronuncia sentenza di non doversi procedere se risulta che lo stesso ha già lasciato il suolo nazionale e che, non è ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio; peraltro, tale speciale causa di improcedibilità non opera nell’ipotesi in cui il cittadino dell’Unione, dopo essere stato allontanato a norma dell’art. 20, comma primo, cit., abbia poi fatto illegalmente rientro nel territorio dello Stato, e sia stato quindi respinto alla frontiera in conseguenza dell’illecito reingresso.
4.Cass. pen. novembre 2014 (ud. aprile 2014)
In tema di immigrazione clandestina, la presentazione di una falsa dichiarazione di legalizzazione del lavoro irregolare con un cittadino extracomunitario integra il reato di cui all’art. 1 del d.l. 195/2002, che non resta assorbito ma concorre con il delitto di falso ideologico in atto pubblico commesso per indurre la p.a. a rilasciare falsi permessi di soggiorno fondati sulla ricorrenza di presupposti non conformi al vero (nella specie, preesistenza di rapporti di lavoro e possesso di idonea sistemazione abitativa).
- Cass. pen. dicembre 2014 (ud. maggio 2014)
Il “diritto di asilo” è oggi interamente regolato, attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo status di “rifugiato”, dalla “protezione sussidiaria” e dal diritto al rilascio di un “permesso umanitario”, ad opera della normativa posta dal d.lgg. 251/2007, adottato in attuazione della Direttiva 2004/83/CE del Consiglio del 29.4.2004 (recante “norme minime sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonchè norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta”) e dall’art. 5, c. 6, del T.U. Immigrazione; correttamente il Tribunale ha precisato che da tale completa regolamentazione consegue il venir meno di un margine residuale di diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3, a tutela di chi abbia diritto all’esame della sua domanda di asilo alla stregua delle vigenti norme sulla protezione
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