L’adozione di minori in casi particolari: la ratio della disciplina
L’adozione in casi particolari è stata introdotta dalla legge n.184 del 1983 per tutelare il diritto del minore alla famiglia in situazioni che non avrebbero consentito di giungere all’adozione piena ma nelle quali, tuttavia, l’adozione rappresentava una soluzione opportuna ed auspicabile.[1]
Nella legge del 1983 la tutela del minore si articola su due binari: gli strumenti di sostegno alla famiglia e gli strumenti sostitutivi. Prima di tutto viene affermato il diritto del bambino ad essere allevato dalla sua famiglia che deve ricevere dalle istituzioni pubbliche il sostegno necessario per fronteggiare situazioni di difficoltà temporanea. Lo strumento che la legge mette in campo è l’affidamento familiare. In secondo luogo viene disciplinata l’adozione per garantire il diritto ad una famiglia “sostitutiva” nel caso in cui quella di origine sia in modo definitivo non in grado di provvedere a lui (art. 30, c. 2 Cost).
L’adozione di cui all’art. 44, l. n. 184/1983 (“Diritto del minore ad una famiglia”) non presuppone necessariamente l’abbandono, non interrompe i rapporti con la famiglia di origine ed è ammissibile anche a favore di persone singole.
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La tutela giuridica del minoreIl volume si propone di offrire una panoramica della normativa nel particolare settore che riguarda il diritto minorile, con approfondimenti in ordine alle problematiche delle scelte dei genitori che si ripercuotono sulla vita dei figli. Nel manuale vengono affrontate le tematiche afferenti a quei diritti che affondano le radici nei principi della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Tali diritti vengono messi in serio pericolo quando padri e madri affrontano la fine del loro rapporto e dovrebbero mantenere un costruttivo rapporto genitoriale; purtroppo, invece, la realtà ci mostra quanto sia difficile preservare le relazioni familiari. Tale difficoltà è stata recepita anche dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza che nella neonata “Carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori” prevede in apertura il diritto dei figli di continuare ad amare ed essere amati da entrambi i genitori e di mantenere i loro affetti. Secondo tale documento, bambini e adolescenti hanno il diritto di essere informati e aiutati a comprendere la separazione (o fine del rapporto) dei genitori, il diritto di essere ascoltati e quello di ricevere spiegazioni sulle decisioni che li riguardano, per giungere poi all’individuazione dei diritti come quello all’ascolto e alla partecipazione, del diritto a preservare le relazioni familiari, a non essere separati dai genitori contro la propria volontà, a meno che la separazione non sia necessaria nell’interesse preminente del minorenne. Ciò premesso, è doveroso evidenziare che i principi che regolano il diritto minorile sono materia d’interpretazione da parte dei magistrati, ma la loro conoscenza è necessaria anche nella formazione degli avvocati e in coloro che operano in questo settore.Cristina Cerrai, Avvocato in Livorno, patrocinante in Cassazione, ha una formazione specifica nell’ambito del diritto di famiglia e dei mi- nori. Ha ricoperto il ruolo di Coordinatore Nazionale dell’Osservatorio di Diritto di Famiglia e dei Minori della Giunta A.I.G.A. Attualmente, in qualità di Consigliera di Parità della Provincia di Livorno, è responsabile del centro di ascolto antiviolenza “Sportello VIS”.Stefania Ciocchetti, Avvocata formata nel diritto di famiglia, si occupa di mediazione familiare dal 1995; componente Comitato degli Esperti della Scuola di Aggiornamento c/o Fondazione Scuola Forense Barese; componente Commissione Famiglia c/o COA Bari, nomina a componente Consiglio Distrettuale di Disciplina (distretto di Corte Appello Bari) per il prossimo quadriennio.Patrizia La Vecchia, è avvocato in Siracusa con una formazione specifica nell’ambito del diritto civile ed in particolare del diritto di famiglia e dei minori; già relatrice in numerosi convegni e corsi di formazione in materia di tutela dei minori e violenza alle donne; già componente dell’osservatorio del Diritto di famiglia dell’AIGA, autrice e curatrice di diverse pubblicazioni in materia di diritto di famiglia e minorile. Oggi Vicepresidente della Sezione di Siracusa.Ivana Enrica Pipponzi, Avvocata cassazionista, ha una formazione specifica nell’ambito del diritto di famiglia e dei minori. A seguito della sua provata esperienza specifica, ha ricoperto le cariche di componente dell’Osservatorio Nazionale di Diritto di Famiglia e dei Minori di AIGA, di responsabile nazionale del Dipartimento “Diritto di Famiglia e Persone” e di coordinatrice del Dipartimento “Persona e Tutela dei Diritti Umani” della Fondazione AIGA “Tommaso Bucciarelli. Già Commissaria Regionale per le Pari Opportunità della Regione Basilicata, è l’attuale Consigliera Regionale di Parità per la Basilicata. Coautrice di numerosi volumi editi dalla Maggioli Editore in materia di Diritto di famiglia, dei minori e Successioni.Emanuela Vargiu, Avvocato cassazionista, formata nel diritto civile ed amministrativo; da dieci anni patrocinatore di cause innanzi alle Magistrature Superiori, esercita la professione a Cagliari. È autrice di diverse pubblicazioni giuridiche in materia di Diritto di famiglia e successioni.Contenuti on line L’acquisto del volume include la possibilità di accedere al sito https://www.maggiolieditore.it/approfondimenti, dove sono presenti significative risorse integrative, ovvero il formulario, in formato editabile e stampabile, la giurisprudenza e la normativa di riferimento. Le indicazioni per effettuare l’accesso sono all’interno del volume. Cristina Cerrai, Stefania Ciocchetti, Patrizia La Vecchia, Ivana Enrica Pipponzi, Emanuela Vargiu | 2019 Maggioli Editore 34.00 € 27.20 € |
L’adozione in casi particolari è stata introdotta dalla l. 184/1983 proprio per realizzare il diritto del minore ad una famiglia in casi in cui, pur se non ricorrono le condizioni per l’adozione piena, è comunque necessario od opportuno procedere all’adozione.
Si tratta di ipotesi di adozione particolari, ma non eccezionali, in quanto anche questo tipo di adozione, al pari dell’adozione piena, mira a tutelare il preminente interesse del minore, inserendolo in una famiglia che ne garantisca la crescita equilibrata. La funzione è pur sempre quella di offrire al bambino un ambiente familiare idoneo al suo sviluppo.[2]
Secondo l’art. 44 possono essere adottati anche quando non ricorrono le condizioni previste dall’art. 7, c.1 nei quattro casi ivi indicati. Si tratta dell’adozione dell’orfano da parte dei parenti o da parte di chi avesse già con lui un rapporto stabile e duraturo, maturato anche nel corso di un affidamento familiare; dell’adozione del figlio del coniuge; dell’adozione del minore per i quali risulta la “constata impossibilità di affidamento preadottivo”. A queste ipotesi è stata aggiunta, con la riforma del 2001. L’ulteriore ipotesi del minore affetto da handicap ai sensi della legge del 1992, che sia orfano di padre e di madre. [3]
L’adozione in casi particolari costituisce uno strumento di chiusura che intende realizzare il preminente interesse del minore ad essere accolto in una famiglia in ipotesi specifiche utilizzando a tale scopo uno strumento giuridico dotato di effetti più limitati.
La scelta legislativa è stata quella di assoggettare l’adozione in casi particolari ad una disciplina diversa rispetto all’adozione piena, sia per quanto riguarda il presupposto oggettivo dove non è necessario che il bambino sia in stato di abbandono – sia per quanto riguarda i requisiti degli adottanti in quanto l’adozione è permessa oltre che ai coniugi anche a chi non è coniugato, solo se l’adottante è persona coniugata e non separata, l’adozione può essere tuttavia disposta solo a seguito di richiesta da parte di entrambi i coniugi; diversamente da quanto previsto per l’adozione piena, per l’adozione in casi particolari di minore, dunque, il riferimento al matrimonio tra gli adottanti è soltanto eventuale – sia per quanto riguarda gli effetti ed il procedimento in buona sostanza mutuati dal modello tradizionale di adozione. L’adottato infatti diviene figlio adottivo dell’adottante, non interrompe i rapporti con la sua famiglia di origine e si limita ad aggiungere il cognome dell’adottante al proprio. L’adottante assume le responsabilità proprie del genitore: ha l’obbligo di provvedere al mantenimento, all’istruzione, all’educazione dell’adottato, secondo quando disposto dall’art. 147 c.c. Nel senso che l’adozione del figlio del coniuge comporta per l’adottante l’assunzione di un obbligo primario di mantenimento, rimanendo residuale quello dell’altro genitore.
Quanto al procedimento di adozione è più snello rispetto a quello disciplinato dagli artt. 8 ss. della legge sull’adozione. Competente è il Tribunale per i minorenni del distretto in cui il minore si trova, che deve verificare l’esistenza dei requisiti prescritti, e valutare se l’adozione risponde al preminente interesse del minore. A tal fine può disporre le indagini opportune, tramite i servizi sociali e gli organi di pubblica sicurezza. Tali indagini debbono riguardare in modo particolare: a) l’idoneità affettiva e la capacità di educare, istruire il minore, la situazione patrimoniale ed economica, la salute e l’ambiente familiare degli adottanti; b) i motivi per i quali l’adottante desidera adottare il minore; c) la personalità del minore, d) la possibilità di idonea convivenza, tenendo conto della personalità dell’adottante e del minore (art. 57).
Sino al 2007, tale adozione era ammessa solo per le coppie sposate: successivamente il Tribunale per i minorenni di Milano prima e quello di Firenze poi, hanno esteso questa facoltà anche ai conviventi eterosessuali, ritenendo in questo caso che fosse interesse del minore che al rapporto affettivo fattuale corrispondesse anche un rapporto giuridico, consistente in diritti ma, soprattutto, doveri.
Alcuni Tribunali per i minorenni e anche la Corte europea dei diritti dell’uomo hanno guardato con favore questo tipo di adozione che non esclude, ma aggiunge ad una figura di genitore in difficoltà, ma presente, un’altra figura il genitore adottivo che primariamente assume su di sé la responsabilità verso il bambino. Come ha affermato a proposito anche la Corte Costituzionale l’adozione ex art 44 “non recide i legami del minore con la famiglia che lo ha accolto, formalizzando il rapporto affettivo instauratosi con determinati soggetti che si stanno effettivamente occupando di lui”.
La Corte Costituzionale imposta dunque in modo chiaro i rapporti tra adozione piena o legittimante e adozione particolare: solo la prima ha come presupposto indefettibile lo stato di abbandono, la seconda, invece, intende realizzare il diritto del minore ad una famiglia in casi in cui, pur se non ricorrono le condizioni per l’adozione piena del minore, è comunque necessario od opportuno procedere all’adozione dando veste giuridica a relazioni familiari già esistenti di fatto. Si delinea così una distinzione tra adozione piena dei minori in stato di abbandono ai quali occorre dare una famiglia sostitutiva di quella di origine, e adozione particolare dei minori non in stato di abbandono per i quali è opportuno dare veste giuridica a rapporti familiari di fatto.
La legge n.76/2016
La legge 20 maggio 2016 n.76 regolamenta le unioni civili tra persone dello stesso sesso e le convivenze di fatto.
La legge n.76/2016 garantisce alle coppie dello stesso sesso il diritto di ottenere il riconoscimento solenne e formale dell’unione e uno status analogo a quello coniugale. Le unioni civili, pur costituendo un istituto distinto dal matrimonio, condividono con il matrimonio i tratti essenziali, sia per quel che riguarda il momento costitutivo (il profilo dell’“atto”) sia per quanto riguarda la relazione interpersonale (il profilo del “rapporto”) e la rilevanza nei confronti dei terzi e della collettività.
Dal punto di vista della disciplina, la principale differenza rispetto al matrimonio riguarda i rapporti con i figli, in particolare per il fatto che il testo definitivamente approvato non prevede più la possibilità che il partner possa adottare il figlio dell’altro secondo quando dispone, per il coniuge l’art. 44, lett. b), della legge sull’adozione (n.184/1983) (c.d. stepchild adoption).
Eliminato, dunque, il riferimento esplicito all’ammissibilità della c.d. “stepchild adoption”, la disciplina definitivamente approvata è tutta racchiusa nel comma 20 dell’art.1 n. 76/2016 il quale, in termini generali, sancisce l’applicabilità alle unioni civili di tutte le disposizioni “che si riferiscono al matrimonio” o che contengono le parole “coniuge” o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi o nei contratti collettivi”.
Con specifico riferimento all’adozione, lo stesso comma 20 dispone inoltre che “resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti”.
È dunque escluso che l’adozione legittimante (riservata ai coniugi dall’art. 6, l. n. 184) possa essere disposta a favore di coppie unite civilmente. Per quanto riguarda l’adozione in casi particolari, dato che la lett. b) dell’art. 44 l. 184/1983, prevede l’adozione da parte del coniuge del figlio dell’altro, è chiaro che, secondo il tenore letterale del comma 20, questa disposizione non si applica alle unioni civili.
La Consulta ha chiarito che l’unione omosessuale, “intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso” è una formazione sociale rilevante ai sensi dell’2 Cost, cui, dunque, “spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri.
Peraltro, questo non comporta l’esistenza di un diritto fondamentale delle coppie omosessuali al matrimonio, perché l’aspirazione al riconoscimento di vivere la propria condizione di coppia non deve necessariamente essere realizzata attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio.
Alla fine degli anni Novanta la Corte di Giustizia dell’Unione Europea di Lussemburgo riteneva che “allo stato attuale del diritto nella Comunità, le relazioni stabili tra due persone dello stesso sesso non fossero equiparate alle relazioni tra persone coniugate o alle relazioni stabili fuori del matrimonio tra persone di sesso opposto.
La consolidata giurisprudenza della Corte di Strasburgo rifiutava, dal canto suo, di riconoscere l’esistenza di una “vita familiare” tra omosessuali, ritenendo invece sempre auspicabile il profilo del diritto della “vita privata”.
Tuttavia, con l’evoluzione dei tempi, non è più revocabile in dubbio che per la Corte Europea dei diritti dell’uomo le unioni omosessuali rientrano orami a pieno titolo nel novero dei modelli familiari. In particolare, a partire dalla sentenza del 24 giugno 2010, [4]la Corte Europea ha affermato che la relazione di una coppia omosessuale rientra nella nozione di “vita privata”, nonché di quella di “vita familiare”.
Ad avviso della consolidata giurisprudenza della Corte Europea, in materia di coppie eterosessuali, la nozione di “famiglia” non è limitata alle relazioni basate sul matrimonio e può comprendere altri legami “familiari” di fatto, se le parti convivono fuori dal vincolo del matrimonio. In quest’ottica, il figlio nato da tale relazione è ipso iure parte di quel nucleo “familiare” dal momento e per il fatto stesso della nascita.
Conseguentemente anche una coppia omosessuale convivente con una stabile relazione di fatto rientrerebbe nella nozione di “vita familiare”, proprio come vi rientrerebbe la relazione di una coppia eterosessuale nella stessa situazione. Ma non può non considerarsi la inequivoca previsione contenuta nel comma 1 dell’art 29 della Costituzione, che non si basa solo sulla famiglia, ma anche, e soprattutto, sul matrimonio.[5]
La Corte Costituzionale ha infatti, in più occasioni affermato che l’art. 29 Cost. nello stabilire che “la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società fondata sul matrimonio”, presuppone la nozione di matrimonio definita dal codice, come unione tra persone di sesso diverso.
L’art. 44 nella giurisprudenza sulla stepchild adoption
Con la sentenza n. 12962 del 2016 c’è stato un primo via della Suprema Corte all’adozione del figlio del partner nelle coppie omosessuali in quanto si è pronunciata sull’adozione in casi particolari prevista dall’art. 44 della legge 184 del 1983.
La prima Sezione Civile della Corte di Cassazione ha respinto il ricorso del procuratore generale e ha confermato la sentenza della Corte di Appello di Roma, con la quale è stata accolta la domanda di adozione di una minore (nata in Spagna con una procedura di procreazione medicalmente assistita eterologa) proposta dalla partner della madre, con lei convivente in modo stabile.
I giudici della Suprema Corte, nel confermare l’adozione della coppia di donne omosessuali, hanno affermato che questa “non determina in astratto un conflitto di interessi tra genitore biologico e il minore adottato, ma richiede che l’eventuale conflitto sia accertato in concreto dal giudice”. Secondo la Cassazione, inoltre, questa adozione “prescinde da un preesistente stato di abbandono del minore e può essere ammessa sempreché, alla luce di una rigorosa indagine di fatto svolta dal giudice, realizzi effettivamente il preminente interesse del minore”.
La Corte non ha quindi creato un nuovo diritto ma ha offerto copertura giuridica a una situazione preesistente, dove un primo via libero era stato dato dal Tribunale per i minorenni di Roma nel 2014, poi confermato l’anno dopo dalla Corte di Appello, accogliendo la richiesta di adozione di una bambina da parte della compagna della madre biologica, rendendo così “giuridica” una relazione di genitorialità sociale di fatto già istauratasi da diversi anni.
La recente sentenza a Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 2019
Con sentenza del 6 novembre 2018, le Sezioni Unite della Cassazione affermano la contrarietà al nostro ordine pubblico internazionale della trascrizione di un atto di nascita redatto legittimamente all’estero in seguito a gestazione per altri.
La decisione delle Sezioni Unite affronta tutti i quesiti posti dalla prima sezione, richiama ampiamente i propri precedenti in materia di ordine pubblico internazionale, affermando in buona sostanza che la Convenzione europea dei diritti umani proteggerebbe solo la relazione col genitore genetico, ma non con quello intenzionale, senza tuttavia tenere conto del recente parere emesso il 10 aprile 2019, ove la Corte di Strasburgo ha affermato, invece, che l’art. 8 della Cedu impone il riconoscimento anche della relazione col genitore intenzionale privo di rapporto genetico col minore.
Una nuova ordinanza ribalta le sorti
L’ordinanza n. 17100 depositata il 26 giugno 2019 segna un’inedita svolta in materia di adozioni di minori da oggi consentite anche a persone singole e a coppie di fatto, anche qualora l’adottante sia di età piuttosto avanzata o il minore sia affetto da grave handicap.
La Suprema Corte di Cassazione precisa quindi che l’adozione non presuppone necessariamente una situazione di abbandono dell’adottando, ben potendosi, in casi particolari, valorizzare la consolidata relazione affettiva creatasi tra adottante ed adottato, nel preminente interesse del minore a preservare tale rapporto.
Ciò che rileva è dunque la qualità del legame instauratosi tra il bambino e chi se ne è preso cura, a discapito di alcuni (finora stringenti) requisiti soggettivi richiesti all’adottante dagli artt. 6 e 7 della Legge n. 184 del 1983.
Conclusioni
Il legislatore italiano, pur avendo istituito, con la L. 20 maggio 2016, n.76, le unioni civili tra persone dello stesso sesso, quale “specifica formazione sociale ai sensi degli art. 2 e 3 della Costituzione”, non ha poi introdotto, come era previsto nel testo iniziale della proposta di legge, la possibilità per uno dei componenti della coppia di adottare il figlio del partner.
Il fatto che la legge non disciplini espressamente l’adozione del figlio da parte del partner finisce dunque per demandare ai giudici il compito di garantire il diritto dei figli alla certezza e stabilità del rapporto con coloro che effettivamente esercitano la funzione genitoriale. Come dimostra la recente sentenza della Cassazione del 2016 che ammette il riconoscimento e la trascrizione degli atti di nascita formati all’estero che indicano come genitori due donne che hanno contribuito alla generazione: l’una con l’apporto del proprio ovocita e l’altra con la gravidanza ed il parto.[6]
L’interesse dei bambini è una delle principali motivazioni addotte da chi è favorevole alla stepchild adoption: permettere l’adozione al genitore non biologico che svolge già il ruolo di genitore è il modo migliore per tutelare i figli delle coppie omosessuali.
La stepchild adoption, dunque, pur non essendo formalmente entrata nel nostro ordinamento, dalla porta principale con la legge delle unioni civili, è entrata comunque dalla finestra attraverso le sentenze dei giudici.
BIBLIOGRAFIA
- FERRANDO G. L’adozione in casi particolari nell’evoluzione normativa e giurisprudenziale;
- PENTA A. Stepchild adoption: alla ricerca del giusto punto di equilibrio tra valori costituzionalmente confliggenti in “Studium Iuris”, 2016;
- MORACE PINELLI A. Per una riforma dell’adozione in “Famiglia e diritto”, 2016;
- MORAZZO DELLA ROCCA P. Le adozioni in casi partivcolari ed il caso della stepchild adoption in “il Corriere giuridico”, 2016;
- VERONESI S. La Corte di Cassazione si pronuncia sulla stepchild adoption in “Famiglia e diritto”, 2016.
Note
[1] L. LENTI, Introduzione. Vicende storiche e modelli di legislazione in materia adottiva, in Trattato di diritto di famiglia diretto da P. Zatti, III Filiazione a cura di G. Collura, L. Lenti, M. Mantovani, Milano, 2002.
[2] G. COLLURA, L’adozione in casi particolari p. 951 ss.
[3] P. MOROZZO DELLA ROCCA, L’adozione dei minoro e l’affidamento familiare, p. 646 ss.
[4] Caso Schalk e kopf c. Austria, ricorso n.30141/04.
[5] ESI e RENDA, Il matrimonio civile. Una teoria neo – istituzionale, Giuffré, Milano, 2013, p. 200 ss-
[6] Cass. 30 settembre 2016, n. 19599: il caso si riferisce a due donne sposate in Spagna che ivi hanno fatto ricorso alla fecondazione con seme di donatore mediante fecondazione dell’ovulo messo a disposizione dalla prima ed impiantato nella seconda che ha portato avanti la gestazione ed ha partorito la figlia.
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