Reato di diffamazione in rapporto al diritto all’oblio

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Nella sentenza in commento, i Supremi giudici hanno affrontato la delicata questione afferente ai rapporti tra il reato di diffamazione ed il diritto all’oblio.

La vicenda per cui è causa trae origine dalla querela sporta da Vittorio Emanuele di Savoia nei confronti di un giornalista e del direttore di un quotidiano, per la pubblicazione di un articolo in cui veniva indicato come soggetto aduso con disinvoltura alle armi, sì da arrivare ad uccidere un uomo (fatto accaduto nel 1978). Il Tribunale di Milano aveva ravvisato un’offesa alla reputazione di Vittorio Emanuele di Savoia, visto che quest’ultimo era stato assolto dalle autorità francesi per il delitto in esame, condannando i due giornalisti ai sensi degli artt. 595 e 57 c.p. . Nondimeno, la Corte d’Appello del capoluogo lombardo aveva sovvertito il giudizio del giudice di prime cure, ritenendo che, dalle motivazioni dell’organo giudicante francese, emergeva come non potesse essere del tutto ritenuto esente da ogni responsabilità l’imputato. La Corte di Cassazione ha parimenti respinto il ricorso proposto da Vittorio Emanuele di Savoia, indicando anche il discrimine tra liceità ed illiceità nell’attività giornalistica ed in relazione al diritto all’oblio.

 

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Relativamente a quest’ultimo aspetto, nel caso in esame non v’era una criticità dettata dalla diffusione mediatica della notizia, quanto più la volontà del ricorrente a vedere cancellata ogni traccia di uno spiacevole episodio. Nondimeno, come sottolineato dal Garante per la protezione dei dati personali, i fatti storici devono rimanere nella memoria collettiva, e ciò ha tanto più valore quanto più intense sono le esigenze riconducibili alla tutela della libertà di informazione.

La partita si gioca tutta intorno al bilanciamento di interessi tra tutela della riservatezza e dei dati personali da un lato e, dall’altro, l’esercizio del diritto all’informazione. Ponendo mente ai dettami della giurisprudenza sovranazionale e della Corte di Cassazione, nonché di quella Costituzionale, è giocoforza ritenere che non vi sia un’univoca soluzione per tutte le possibili fattispecie che possono essere portate alla cognizione degli organi giudicanti. Viceversa, il bilanciamento di cui sopra va operato sempre in relazione alle peculiarità dei singoli casi che vengono sottoposti all’attenzione dei magistrati. Il rischio che dalla discrezionalità si scada nell’arbitrio è scongiurato da alcuni parametri oggettivi che, nell’uno e nell’altro ambito, devono sussistere al fine di verificare la legittimità nell’esercizio di un diritto. Così, se da un lato il diritto all’onore ed alla reputazione può essere leso solo in presenza di fattori che oggettivamente rischino di lederlo, quello all’informazione deve essere esercitato nel rispetto del diritto di verità, pertinenza e continenza delle notizie rese. In questo contesto, già complesso, si pone la tematica del diritto all’oblio, che involge i profili di entrambi i diritto suesposti. Invero, la risoluzione di una questione così tanto complessa non può essere affidata ad altro che ad una legislazione precipua e puntuale sull’argomento, che al momento, tuttavia, è manchevole. Difatti, le indicazioni di maggior rilievo sulla tematica de qua vengono offerte dalla giurisprudenza e dal celeberrimo caso “Google Vs Spain” in particolare, affrontato dalla CorteEDU del 2014. Al di là delle concrete motivazioni rassegnate in quella sede, i principi in tema di diritto all’oblio sono quanto non mai eterei, nebulosi, poiché ogniqualvolta si renda necessario un bilanciamento tra contrapposti interessi in contrasto, è fisiologico che la risoluzione di eventuali criticità vada rimessa all’interpretazione del giudice e non possa essere riconnessa a criteri standardizzati e predefiniti. Al più, l’indubbio pregio di una normativa in materia sarebbe quello di delineare un range di parametri obiettivi entro il quale gli operatori possano muoversi, senza rischiare di sconfinare in arbitrii o in interpretazioni funamboliche.

Tornando al caso che ci occupa, la Corte di Cassazione ha condiviso le argomentazioni del giudice d’appello, che aveva rilevato come l’autore dell’articolo incriminato non avesse attribuito al ricorrente alcuna volontà omicida. Da ciò, i Supremi giudici inferiscono l’assenza di una volontà denigratoria o lesiva della reputazione di Vittorio Emanuele di Savoia, ma la mera intenzione di riportare un fatto di cronaca. Così operando, l’estensore dell’articolo non avrebbe superato i limiti imposti dalla legge.

Sentenza collegata

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Dott. Messina Salvatore

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