Il Reddito di inclusione e la Costituzione

Con il presente lavoro cercheremo di individuare possibili correttivi al sistema del Reddito di Inclusione, misura di contrasto alla povertà recentemente introdotta nel nostro ordinamento, dopo averne delineato le caratteristiche essenziali, i possibili profili di illegittimità costituzionale, nonché il contesto socio-economico in cui tale misura andrebbe ad esser applicata a partire dal 2018.

Con la legge delega n.33 del 15 marzo 2017[1] ed il successivo decreto legislativo, approvato il 28 agosto 2017 dal Consiglio dei Ministri[2], è stato introdotto in Italia il c.d. reddito di inclusione o ReI.

 

Il ReI è stato presentato come misura nazionale finalizzata “all’affrancamento dalla condizione di povertà”, mediante (i) l’erogazione di un beneficio economico ai nuclei meno abbienti e (ii) progetti personalizzati preordinati “all’inserimento o reinserimento lavorativo e all’inclusione sociale”.

All’uopo, la legge n.33/2017 ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi, “Al fine di contribuire a  rimuovere  gli  ostacoli  […] che limitano la libertà e l’eguaglianza dei cittadini  e il pieno  sviluppo  della  persona,  di  contrastare la povertà e l’esclusione sociale e di ampliare le protezioni fornite dal sistema delle politiche sociali […], in attuazione dell’articolo 3 della Costituzione e nel rispetto dei principi della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”, mediante “a) l’introduzione di una misura nazionale di contrasto della povertà, intesa come impossibilità  di  disporre  dell’insieme  dei beni e dei servizi necessari a condurre un livello di vita dignitoso, e dell’esclusione sociale […] denominata reddito di inclusione […] individuata come livello essenziale delle  prestazioni da garantire uniformemente in tutto il territorio nazionale; b)  il  riordino delle prestazioni  di  natura assistenziale finalizzate al contrasto della  povertà” (con alcune eccezioni ivi specificate); “c) il rafforzamento del coordinamento degli interventi in materia di servizi sociali”.

Il Parlamento, ai sensi dell’art.76 Cost., ha, quindi, fissato i principi e criteri per l’esercizio della potestà legislativa delegata al Governo, imponendogli (tra l’altro): “che la misura […] abbia carattere universale”; che tenga “conto dell’effettivo reddito disponibile” dei nuclei beneficiari; il “graduale  incremento del beneficio e […] una graduale estensione dei beneficiari da individuare prioritariamente tra i nuclei familiari con figli minori o con disabilità grave o con donne in stato di gravidanza accertata o con persone di età superiore a 55 anni in stato di disoccupazione”; la “definizione della durata del beneficio”; il “riordino delle prestazioni di cui al comma 1, lettera  b), prevedendo il loro assorbimento nella misura” in questione (cioè nel ReI).

 

Volume consigliato:

 

La legge delega ha avuto il pregio di iniziare[3] ad affrontare la questione del c.d. minimo vitale con esplicito riferimento ai nuclei, e non soltanto ai singoli individui, e di voler tenere conto, a tal fine, “dell’effettivo reddito disponibile” dei nuclei stessi, considerando “prioritariamente” anche i figli ancora nel grembo della madre[4] (ritenute le rilevanti spese da affrontare, sia durante la gravidanza, che in occasione del parto).

Inoltre, la legge n.33/2017 sembra volere dare attuazione al combinato disposto degli artt.1 e 36 della Costituzione, con una misura (definita) “universale”. Del resto, se “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro” (art.1 Cost.), il diritto inviolabile di poter “assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (art.36 Cost.) va riconosciuto a tutti e non può essere negato a chi non riesce a trovare lavoro o a chi, purtroppo, lo perde.

 

Tale misura è stata varata in un contesto socio-economico assai problematico, come si evince dai dati diffusi dall’Istat sulla povertà[5] e sulla crisi demografica[6].

I nuovi nati del 2016 sono soltanto 474.000, cioè il numero più basso dal 1861, dall’Unità d’Italia.

I dati dell’Istat segnalano il protrarsi del preoccupante trend negativo del livello delle nascite e del tasso di fecondità totale, con una popolazione residente che (dall’inizio dell’anno scorso al 1° gennaio 2017) risulta ulteriormente diminuita di quasi 76.000 unità.

La povertà assoluta è in aumento, soprattutto per i nuclei con tre o più figli minori e, più in generale, in proporzione al numero dei figli dal secondo in poi.

Incidono sui livelli di povertà, in modo rilevante, anche per i costi connessi alle nascite e l’attuale pressione fiscale sulla famiglia[7].

Del resto, nonostante l’esplicito favor costituzionale nei confronti delle famiglie numerose[8], il Legislatore ordinario omette di rimuovere le attuali discriminazioni tributarie e tariffarie che impoveriscono le famiglie con figli (soprattutto quelle numerose). In proposito,  non va dimenticata la perdurante sperequazione fiscale delle famiglie numerose, accertata ed invano affermata (da oltre quarant’anni) dalla Corte costituzionale, con specifico riferimento all’Irpef (cfr. sentenze n.179/1976, n.76/1983 e n.358/1995), e che tuttora, paradossalmente, discrimina, impoverendoli, i nuclei che andrebbero (invece) agevolati (art.31 Cost.) “con particolare riguardo”.

 

In un contesto demografico così grave e povero (che può pericolosamente compromettere la sostenibilità del futuro welfare state, nonché l’armonia intergenerazionale), il 28 agosto 2017, il Governo ha approvato lo schema[9] del D.Lgs. sul ReI, in cui, quanto al beneficio economico, sembra[10] abbia:

  • individuato un minimo vitale mensile, che è insufficiente per un’esistenza “libera e dignitosa”;
  • omesso di tenere “conto dell’effettivo reddito disponibile”[11] dei nuclei beneficiari numerosi;
  • previsto una soglia di accesso reddituale riparametrata sulla base della numerosità del nucleo mediante la scala di equivalenza Isee, con coefficienti decrescenti (decisamente peggiorativi rispetto a quelli di cui al “Fattore Famiglia” ed al Quoziente Familiare);
  • previsto un tetto massimo[12] insuperabile del beneficio economico fino al quinto componente il nucleo, con verosimile violazione degli artt.3 e 31 della Carta fondamentale in danno dei nuclei con sei, sette, otto o più componenti, conseguentemente discriminati;
  • previsto che l’importo del beneficio economico minimo venga moltiplicato per i coefficienti della scala di equivalenza Isee, inadeguata e con coefficienti decrescenti (ut supra);
  • limitato la “durata del beneficio”, intermittente[13] ed a termine, a prescindere dal risultato dell’effettiva inclusione sociale e lavorativa a cui la misura (invece) tende espressamente;
  • avviato il “riordino” senza però effettivamente “ampliare le protezioni fornite dal sistema delle politiche sociali”;

 

Invero, per individuare l’entità del minimo vitale necessario ad un’esistenza “libera e dignitosa”, occorre considerare i costi di mantenimento e di accrescimento imprescindibili di ciascun individuo, a cui vanno sommati i costi di mantenimento e di accrescimento imprescindibili di ciascun componente appartenente al suo eventuale nucleo familiare, secondo una scala di equivalenza modulata su numerosità (e possibilmente su problematiche connesse all’eventuale disabilità, monogenitorialità, vedovanza).

Ovviamente, le spese essenziali per “mantenere, educare ed istruire i figli”, costituendo un “dovere” ineludibile di rango costituzionale ex art.30 Cost., concorrono alla determinazione del minimo vitale intangibile, “con particolare riguardo alle famiglie numerose” ex art.31 Cost..

La Corte costituzionale rimette al Legislatore l’individuazione di tale minimo vitale intangibile.

Così, ad esempio, mentre l’attuale indice Istat di povertà relativa supera di poco l’importo annuo di € 7.000,00,  il Legislatore del 2015 ha stabilito che non possa essere pignorata la pensione, per la parte corrispondente all’importo dell’assegno sociale, aumentato della metà, importo che, perciò, l’art.545 c.p.c. ritiene costituisca il minimo vitale intangibile per ciascun pensionato.

 

Per quanto concerne l’esclusione da qualsiasi beneficio economico per i componenti successivi al quinto, la disparità di trattamento in loro danno (ed in danno dei nuclei numerosi a cui appartengono) è fin troppo evidente, ma l’iniquità appare ancora più eclatante ove si consideri il “particolare riguardo” nelle agevolazioni che l’art.31 Cost. riserva alle famiglie numerose. Per le medesime ragioni, appare inadeguata l’applicazione della scala di equivalenza Isee, con coefficienti decrescenti al crescere dalla numerosità del nucleo beneficiario (numerosità che andrebbe semmai premiata in un momento storico, come quello attuale, caratterizzato dall’inverno demografico, ciò a prescindere dal dettato costituzionale sopra ricordato).

Dunque, è auspicabile che alcune delle disposizioni sul beneficio economico introdotto col ReI vengano modificate al più presto, possibilmente prima del 2018, anche per prevenire eventuali censure di illegittimità costituzionale.

 

In proposito, si potrebbero ipotizzare i correttivi di cui appresso.

  1. includere “prioritariamente” le famiglie numerose (cioè quelle con “almeno tre figli”) tra i beneficiari di cui all’art.1 comma 2, lett. d) della Legge n.33/2017, in ossequio all’art.31 Cost.;
  2. elevare la soglia Isee di accesso del nucleo familiare al beneficio, di un adeguato importo annuo per ogni ulteriore figlio a carico oltre il secondo (incluso/i quello/i ancora nel grembo della madre, già previsto/i dalla legge per l’accesso prioritario al beneficio stesso).
  3. calcolare il beneficio economico massimo, applicando una scala di equivalenza non decrescente in ossequio all’art.31 Cost.;
  4. rimuovere la disparità di trattamento che discrimina i componenti successivi al quinto ed i nuclei numerosi a cui appartengono, in ossequio agli artt.3 e 31 Cost.;

La scala di equivalenza applicabile potrebbe essere quella denominata “Fattore Famiglia”, che attenuerebbe le discriminazioni di cui ai superiori punti 3 e 4, come da tabella di raffronto che segue:

 

N. componenti Parametro

Isee

Coefficiente di maggiorazione Isee =MaxBeneficio mensile: € Parametro FattoreFamiglia Coefficiente di maggiorazione FF = Max beneficio

mensile: €

1 1.00 (1) 187,50 1.00 (1) 187,50
2 1.57 +0,57 (+€ 106,88) 294,38 1.60 +0,60 (+ € 112,50) 300,00
3 2.04 +0,47 (+€   88,12) 382,50 2.20 +0,60 (+ € 112,50) 412,50
4 2.46 +0,42 (+€   78,75) 461,25 2.80 +0,80 (+ € 150,00) 525,00
5 2,85 +0,39 (+€   24,16) 485,411 3,60 +0,80 (+ € 150,00) 675,00
6 Non applicabile Non applicabile Invariato 4,40 +0,80 (+ € 150,00) 825,00
7 Non applicabile Non applicabile Invariato 5,20 +0,80 (+ € 150,00) 975,00
8 Non applicabile Non applicabile Invariato 6,00 +0,80 (+ € 150,00) 1.125,00
X ognuno in+

Non applicabile

Non applicabile Invariato     +0,80 +0,80 (+ € 150,00) +€ 150,00 x ognuno in+

 

Concludendo, riteniamo che sussistano margini per migliorare, entro l’anno, la normativa sul Reddito di Inclusione e che la disciplina relativa possa costituire un tassello di una più ampia ed organica strategia politica diretta a rimuovere finalmente, con misure strutturali, anche le discriminazioni fiscali che depauperano (tuttora) le famiglie che decidono di mettere al mondo un figlio in più.

 

 

[1] http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/03/24/17G00047/sg

[2] http://www.governo.it/articolo/comunicato-stampa-del-consiglio-dei-ministri-n-33/7569

[3] seppure con uno stanziamento di risorse finanziarie insufficienti

[4] art.1, comma 2, lett. d) della Legge n.33/2017

[5] https://www.istat.it/it/archivio/202338

[6] http://www.istat.it/it/files/2017/03/Statistica-report-Indicatori-demografici_2016.pdf

[7] quanto all’aumento della pressione fiscale sulle famiglie, cfr.: http://www.fondazionenazionalecommercialisti.it/node/1017

[8] che sono quelle con “almeno tre figli” secondo il piano nazionale per la famiglia approvato nel 2012 dal Consiglio dei Ministri

[9] http://documenti.camera.it/apps/nuovosito/attigoverno/Schedalavori/getTesto.ashx?file=0430.pdf&leg=XVII#pagemode=none

[10] il testo non ci risulta ancora pubblicato sulla G.U.

[11] reddito disponibile che – ovviamente – decresce al crescere della numerosità del nucleo, per spese ineludibili di mantenimento ed accrescimento

[12] pari all’assegno sociale: cfr. art.4, comma 1 del D.Lgs. del 28 agosto 2017

[13] art.4, comma 5 del D.lgs. del 28 agosto 2017

Avv. Bianchini Francesco

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento