Ai sensi dell’art. 369 co. 2 cpc “Insieme col ricorso debbono essere depositati, sempre a pena d’improcedibilità: (…) 2) copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta (…)”: ciò in quanto tale produzione, secondo la giurisprudenza di legittimità, è pacificamente finalizzata a consentire alla Corte di Cassazione la verifica della tempestività della impugnazione.
L’onere riguarda – ovviamente – anche il caso in cui la sentenza sia stata notificata in formato cartaceo: ma nel caso specifico in cui la sentenza impugnata (normalmente, quella d’appello) sia stata notificata – ai fini della decorrenza del termine breve – a mezzo PEC, la Corte Suprema ha stabilito, con le recenti decisioni 15177/2017, 17450/2017, 23668/2017, 24292/2017, 24347/2017 e 24422/2017, il principio di diritto secondo cui “per soddisfare l’onere di deposito della copia autentica della relazione di notificazione ex art. 369, comma 2, n. 2, cod. proc. civ., il difensore del ricorrente, destinatario della notificazione, deve estrarre copie cartacee del messaggio di posta elettronica certificata pervenutogli e della relazione di notificazione redatta dal mittente ex art. 3-bis, comma 5, della legge n. 53 del 1994, attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali delle copie analogiche formate e depositare queste ultime presso la cancelleria della Corte entro il termine stabilito dalla disposizione codicistica”.
Si legge nella decisione n. 24347, pubblicata il 16-10-2017:
“L’esigenza del destinatario di dimostrare la tempestività del proprio ricorso mediante il deposito (prescritto dall’art. 369 c.p.c.) della relata di notificazione non può avvenire, dunque, con la produzione di documenti (necessariamente cartacei nel giudizio di cassazione) emessi dai gestori di posta elettronica certificata: i documenti da depositare sono, infatti, il messaggio di posta elettronica certificata ricevuto e la «relazione di notificazione [redatta] su documento informatico separato, sottoscritto con firma digitale ed allegato al messaggio di posta elettronica certificata» dell’avvocato mittente, ai sensi del citato art. 3-bis, comma 5, della legge 21 gennaio 1994, n. 53.
“Nei gradi di merito – nei quali il processo civile telematico è stato da tempo avviato in virtù delle disposizioni dell’art. 16-bis, commi 4, 5, 6 e 9-ter, del dl. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, e successive modificazioni e integrazioni il deposito della documentazione delle parti può (anzi, deve) essere eseguito con modalità telematiche e, dunque, il destinatario può produrre nel suo formato digitale anche la relazione di notificazione pervenutagli.
“Nel giudizio di cassazione, invece, il deposito ex art. 369 c.p.c. non può che avere ad oggetto documenti in formato analogico (cartaceo), poiché l’applicabilità della disciplina del processo telematico nel grado di legittimità è limitata alle sole comunicazioni e notificazioni da parte delle cancellerie delle sezioni civili (d.m. Giustizia 19 gennaio 2016, emesso ai sensi dell’articolo 16, comma10, del dl. n. 179 del 2012).
“Si verte, dunque, nell’ipotesi disciplinata dall’art. 9, comma 1-ter, della legge 21 gennaio 1994, n. 53 («In tutti i casi in cui l’avvocato debba fornire prova della notificazione e non sia possibile fornirla con modalità telematiche, procede ai sensi del comma 1-bis»), norma che, nel rimandare al comma 1-bis, dispone che l’avvocato provveda ad estrarre copia su supporto analogico (id est, cartaceo) del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e, poi, ad attestarne la conformità ai documenti informatici da cui le copie sono tratte ai sensi dell’articolo 23, comma 1, del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (il quale recita: «Le copie su supporto analogico di documento informatico, anche sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui sono tratte se la loro conformità all’originale in tutte le sue componenti è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato»)”.
Ne consegue, :
– che il ricorrente, qualora affermi l’avvenuta notifica della sentenza (con valore di confessione giudiziale), ammettendo in tal modo implicitamente la soggezione dell’impugnazione al termine breve, si addossa – inconsapevolmente – l’onere di fornire la prova del rispetto di tale termine, e quindi – attraverso la produzione dei documenti prescritti – della decorrenza di tale termine;
– che in tal caso la produzione prescritta a pena di improcedibilità deve comprendere le copie cartacee del (l’intero) messaggio di posta, della sentenza e della relata di notifica, munita necessariamente della prescritta attestazione di conformità al relativo documento informatico;
– che l’attestazione deve essere autografata dal destinatario della notificazione, qualora questi sia – come accade normalmente – il difensore costituito, nell’esempio, in grado di appello (che non sempre coincide con il patrocinante avanti la Corte di Cassazione).
Il descritto filone giurisprudenziale, che in mancanza della produzione richiesta dalla norma, dichiara improcedibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, deve ritenersi assolutamente condivisibile, in quanto costituisce una semplice applicazione della normativa in materia, tenuto conto del fatto che – al momento – il processo civile telematico non opera avanti la Corte Suprema: e minaccia di proseguire in modo massivo, causando una sanguinosa strage di ricorsi.
L’argomento offre un interessante spunto di riflessione, nel caso in cui la parte soccombente sia stata contumace nel giudizio di appello;
infatti, se la sentenza d’appello viene notificata alla parte contumace personalmente, per come sappiamo (Cassazione civile sez. III 14 marzo 2013 n. 6571), tale notifica è idonea a far decorrere il termine breve per impugnare;
poiché la parte non ha il potere di attestare alcunchè, sarà allora il difensore del ricorrente a dover produrre (a pena d’improcedibilità) copia cartacea del relativo messaggio di PEC, attestandone la conformità al corrispondente documento informatico: l’esistenza del relativo potere di attestazione, da parte di un soggetto che non è il destinatario della notifica – sembrerebbe discendere dall’art. 23, comma 1, del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82 (il quale recita: «Le copie su supporto analogico di documento informatico, anche sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui sono tratte se la loro conformità all’originale in tutte le sue componenti è attestata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato»).
Per fare ciò il patrocinante in Cassazione dovrà, in tal caso, farsi consegnare dal cliente il file (.EML o .MSG) contenente il messaggio, con i correlativi obblighi di conservazione, e provvedere alla stampa di copie cartacee del suo intero contenuto, attestandone la conformità al documento informatico.
Quando il processo telematico si estenderà alla Cassazione il ricorrente dovrà – più semplicemente – produrre (in formato .EML ovvero in formato .MSG) il file contenente il messaggio di posta elettronica contenente la notifica, così come pervenuto all’Avvocato (od alla parte contumace) destinatario della notificazione.
Giova rimarcare come, secondo le citate sentenze ed in conformità a quanto statuito dalle Sezioni Unite con sentenza n. 10648/2017, “non sia possibile applicare la sanzione dell’improcedibilità allorquando il documento mancante sia nella disponibilità del giudice per opera della controparte o perché la documentazione sia stata acquisita mediante l’istanza di trasmissione del fascicolo d’ufficio.”;
e che, a norma dell’art. 372 cpc, “Non è ammesso il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo, tranne di quelli che riguardano la nullità della sentenza impugnata [360 1 n. 4] e l’ammissibilità del ricorso e del controricorso”.
Ne consegue che la produzione tardiva del documento mancante è sempre ammessa, poiché – per come statuito da Cassazione civile, sez. II, 29/02/2016, n. 3934, “L’art. 372 c.p.c., in tema di deposito di documenti nuovi in sede di legittimità, nonostante il testuale riferimento alla sola inammissibilità del ricorso, consente la produzione di ogni documento incidente sulla proponibilità, procedibilità e proseguibilità del ricorso medesimo, inclusi quelli diretti ad evidenziare l’acquiescenza del ricorrente alla sentenza impugnata per comportamenti anteriori all’impugnazione, ovvero la cessazione della materia del contendere per fatti sopravvenuti che elidano l’interesse alla pronuncia sul ricorso purché riconosciuti ed ammessi da tutti i contendenti.”.
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