Norme ed islam, quale integrazione?

 

Diritto internazionale e Islam

Storicamente, l’Islam è nato nel VII secolo, mentre il Diritto internazionale, per come lo si conosce oggi, nasce a seguito del Trattato di Vestfalia (1648) e la cristallizzazione del diritto internazionale umanitario moderno avviene solo nella seconda metà del secolo scorso. Ci sono, quindi, tredici secoli tra la nascita di questi due concetti. Ciò significa che l’Islam è basato su regole e principi che ha introdotto ed attuato da più di 13 secoli. Anche i soggetti ed il campo applicativo di questi due sistemi sono diversi.

Il diritto internazionale riguarda le relazioni tra Stati ed altre entità in tempo di pace o di guerra. Al contrario, l’Islam è una religione che prevede delle leggi (Shari’a), così come un’etica, dei doveri e delle credenze. In altre parole, la religione islamica e la Shari’a non sono limitati ad uno o più aspetti della legge, ma interessa tutti gli aspetti della vita umana, le credenze, adorazioni, così come il diritto privato, penale ed internazionale. “Synar” è il nome che parte della giurisprudenza islamica da sul diritto internazionale e sulle relazioni tra Stati. Esso riguarda la condotta ed il comportamento degli Stato musulmani e islamici verso gli altri Stati.

D’altro canto, i soggetti principali della legge islamica sono le singole persone, mentre i soggetti di diritto internazionale sono gli Stati, le organizzazioni internazionali ed altri soggetti passivi. La differenza tra i singoli e gli Stati non ha importanza nella legge islamica. Ciò significa che sia gli individui che gli Stati sono responsabili della loro condotta allo stesso modo. Come riferito dalle fonti, sappiamo che i principali fondamenti della legge islamica sono il Corano e le tradizioni del profeta Maometto, mentre nel diritto internazionale, la prassi e i trattati sono le fonti principali.

Ciò significa che i principali atti del diritto internazionale sono considerati come fonti ausiliarie della legge islamica. Dal punto di vista della giurisprudenza musulmana, il Corano è radicato nelle parole di Dio e questo viene considerato come una scrittura rivelatrice, che l’uomo non ha il diritto di cambiare, mentre gli atti di diritto internazionale sono creati dall’uomo. Pertanto, quali sono i principi e le linee guida stabilite o accettate nella legge islamica, al fine di aiutare la guerra e ridurre le sofferenze umane nei conflitti armati? Per rispondere a questa domanda, è sufficiente fare riferimento a due versi del Corano. E’ un dato di fatto, si può dire, questi due versi del Corano possono essere considerati come la sintesi del Diu islamico. Il primo può essere definito come il verso della “non aggressione”, mentre l’altro si può chiamare il verso “del diritto alla vita per gli esseri umani” (o dottrina del risveglio). Primo verso dal Capitolo Bagareh n. 190: “ E combatti nella maniera di Allah coloro che combattono contro di te, e non trasgredire (non eccedere i limiti), di sicuro Allah non ama i trasgressori (quelli che superano i limiti) 2 (Al Baqarah) – 190”. Alla luce di questo versetto, giuristi ed interpreti hanno estratto tre importanti principi e linee guida in termini di conflitti armati. Secondo questo versetto, se c’è guerra, deve essere condotta “Fi sabi I Allah” (In nome di Allah), il che significa che i principi e doveri divini devono essere rispettati: la guerra dovrebbe essere limitata e i principi umanitari applicati e rispettati. I principi umanitari islamici si trovano nel Corano e la Sunna: questi principi sono la proporzionalità (Q 16:126-128), l’umanità (Q 5,32), la compassione, la dignità, l’uguaglianza e la fraternità (Q 4:1) e la giustizia (Q 16:90).

Pertanto, la guerra per ottenere una maggiore influenza o il dominio, così come la proprietà (petrolio e altri tipi di conflitti umani) non è consentita e giustificata. Il secondo recita: “ Combatti contro chi combatte contro di te”. Questa frase riguarda lo jus ad bellum e lo jus in bello, allo stesso tempo. La maggior parte dei giuristi musulmani ha sostenuto che la guerra islamica è consentita per autodifesa e deve essere mirata ai combattenti e a coloro che partecipano alla guerra, non ai civili o a coloro che non hanno partecipato alle ostilità. Il Terzo dispone il non trasgredire (non superare il limite).

La tadou è anche interpretato come lo jus in bello islamico (regolazione della condotta della giustizia) Ogni conflitto deve rispettare questi principi fondamentali. Il divieto di provocare sofferenze non necessarie, uccidendo non combattenti come le donne, i bambini che non sono combattenti, gli schiavi, i servi, le persone cieche e disabili, gli anziani, così come la protezione dei prigionieri di guerra. I feriti e i malati devono essere aiutati. Massacri, ritorsioni e rappresaglie, sono vietati. Lo stupro è proibito, così come la mutilazione degli uomini e degli animali, che non possono essere uccisi. Luoghi di culto e simboli come le chiese e le moschee devono essere rispettati. Dal punto di vista di alcuni giuristi altri gruppi come gli agricoltori, i commercianti, gli ambasciatori ed i corrieri militari sono meritevoli di protezione. Anche il bestiame e le foreste non devono essere distrutti. Non è consentito l’uso di armi di distruzione di massa e il campo di battaglia deve essere limitato nel tempo e nello spazio. Anche i crimini di guerra sono vietati: il genocidio è un mancato rispetto del principio umanitario di uguaglianza.

La tortura e altri trattamenti degradanti sono vietati in quanto contrari al principio di dignità

Questi sono i comandamenti divini e non possono essere trascurati. Queste tre linee guida derivate da questo verso sono: “Combattere seguendo la strada di Allah”, “Con quelli che combattono con te” e “Senza superare i limiti”. Oggi, nella terminologia del diritto internazionale umanitario contemporaneo, vi si trovano invece tre principi: “il principato di distinzione”, “il principio di proporzionalità”, “il principio di necessità”, “il principio di limitazione dei mezzi e metodi di combattimento” e la “Clausola Martens”. Secondo verso: Capitolo Maedeh – Table 32 Il secondo verso ci ricorda la protezione della vita dell’essere umano, all’inizio dice: “Abbiamo stabilito questa legge tra i figli di Israele, uccidere una persona senza motivo è come uccidere tutti gli esseri umani e salvare la vita di una persona è come salvare la vita di tutti i suoi simili”.

Questa è una regola d’oro per coloro che lavorano per l’assistenza ed il primo soccorso umanitario. “Per questa ragione l’abbiamo insegnata ai nostri figli d’Israele che chiunque uccide un’anima, a meno che non sia per omicidio colposo o per danni sulla propria terra, è come se avesse ucciso tutti gli uomini; e chi la mantiene in vita, è come se avesse tenuto in vita tutti gli uomini” 5 (al- Maeda) – 32. Questo verso è descritto come “dottrina della vita”.

Infatti, salvare una vita significa rinascere, liberarsi e condurre. Qual è il messaggio del diritto umanitario in questo versetto? Questo verso interpreta il diritto umanitario in due modi. In primo luogo, il diritto alla vita è protetto e ben stabilito anche in altre religioni. Nonostante i destinatari del verso siano il profeta dell’Islam e i musulmani, da questa dicitura “abbiamo governato e determinato” il Corano, ricorda come il diritto della vita costituisca una legge precedente all’Islam, essendo un principio fondamentale di tutte le religioni. In secondo luogo, tenendo conto che la guerra è da considerare come un mezzo eccezionale, per l’Islam nel dire che la condotta della guerra e le sue disposizioni dovrebbero essere limitate con l’obiettivo di salvare vite umane.

In confronto, “uccidere una persona significa uccidere tutti gli esseri umani” è un concetto giuridico ed etico di base per la protezione degli esseri umani in generale. Alla luce di questa interpretazione, le categorie d’individui impegnati al momento della guerra per salvare vite umane, come il personale sanitario, i medici, le istituzioni ospedaliere, le attrezzature e gli impianti, e gli assistenti umanitari, dovranno essere protetti alla luce di questo codice etico e normativo. Anche alla luce di questo principio coloro che non sono in grado di combattere come i piloti in fase di atterraggio con paracadute saranno protetti. Altro esempio d’interazione tra la legge islamica e le norme internazionali riguarda le armi di distruzione di massa, che rappresentano ad oggi un importante argomento di dibattito in Iran. Vi è una discussione importante in Iran tra i giuristi e gli accademici, se considerare tale tipologia di arma come concessa dall’Islam o Harom (proibita).

La convinzione principale è che tutti i tipi di armi di distruzione di massa siano da considerare come non – islamici, perché queste armi uccidono i civili e si estendono sul campo di battaglia in maniera illimitata. Purtroppo, alcuni piccoli gruppi che combattono in nome dell’Islam, in particolare i terroristi, non agiscono in maniera conforme alle leggi umanitarie da questo stabilite. Ciò costituisce un problema: se qualcuno combatte per l’Islam è vincolato ad osservare le leggi islamiche di guerra.

Entrambe le versioni contemporanee e islamiche del diritto internazionale umanitario sembrano aver bisogno di una riconsiderazione e reinterpretazione verso un sistema piu’ incentrato sull’essere umano. La necessità come motivo di esclusione della responsabilità sembra essere riconosciuta come un fattore decisivo in numerose tradizioni giuridiche, tra le quali il diritto internazionale contemporaneo e il diritto islamico. Il prevalere delle necessità rispetto ad altre norme non è stata riconosciuta da tutti. Il diritto internazionale contemporaneo sembra soffrire una grave crisi nei rapporti con le responsabilità di coloro che violano il diritto internazionale umanitario, ricorrendo al criterio della necessità militare.

I riferimenti normativi

L’art. 31 dello Statuto della Corte Penale Internazionale, firmato a Roma nel 1998, non vede una persona penalmente responsabile se, al momento del suo comportamento “ha agito in modo ragionevole per difendere se’ stessa, per difendere un’ altra persona o, in caso di crimini di guerra, per difendere beni essenziali alla propria sopravvivenza o a quella di terzi, o essenziali per l’adempimento di una missione militare contro un ricorso imminente ed illecito alla forza, proporzionalmente all’ampiezza del pericolo da essa incorsa o dall’altra persona o dai beni protetti”.

Bisogna sottolineare come l’art. 8 dello stesso Statuto, relativo ai crimini di guerra, tra le altre fattispecie comprenda: le gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra del 12.08.1949, vale a dire uno dei seguenti atti contro persone o beni protetti dalle norme della relativa Convenzione: 1) l’omicidio volontario; 2) la tortura o trattamenti inumani, compresi gli esperimenti biologici; 3) l’inflizione intenzionale di gravi sofferenze o gravi lesioni all’integrità fisica o alla salute; 4) la vasta distruzione o appropriazione indebita di beni, non giustificate da necessità militari ed effettuate illegalmente ed arbitrariamente; 5) costringere un prigioniero di guerra o altra persona protetta a prestare servizio nelle forze armate di una potenza nemica; 6) privare volontariamente un prigioniero di guerra o altra persona protetta dei diritti ad avere un processo equo e regolare; 7) la deportazione, il trasferimento o la detenzione illegale; 8) la cattura di ostaggi.

Altre gravi violazioni delle leggi e degli usi applicabili nei conflitti armati internazionali, nel quadro consolidato del diritto internazionale, vale a dire uno dei seguenti atti: 1) dirigere intenzionalmente attacchi contro la popolazione civile in quanto tale o contro individui non civili prendendo parte direttamente alle ostilità; 2) dirigere intenzionalmente attacchi contro obiettivi civili, cioè obiettivi non considerabili come militari. Nel suo parere consultivo la Corte Internazionale di Giustizia ha deciso all’ unanimità che, “né il diritto internazionale consuetudinario, né quello convenzionale prevedono alcuna specifica autorizzazione alla minaccia o all’uso di armi nucleari; e a undici voto contro tre non è previsto, né dal diritto internazionale consuetudinario, né da quello convenzionale, alcun divieto completo e universale della minaccia o uso di armi nucleari in quanto tale.

Tuttavia, ai sensi dell’ art. 4.1 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, “in caso di pericolo pubblico che minacci la vita della nazione e la cui esistenza è ufficialmente proclamata, gli Stati parte del presente Patto possono prendere misure in deroga agli obblighi previsti dal presente Patto nella misura strettamente richiesta dall’esigenza della situazione, a condizione che tali misure non siano incompatibili con i loro obblighi di diritto internazionale e non comportino discriminazioni unicamente a causa della razza, del colore, sesso, lingua, religione o origine sociale. Nessun deroga agli articoli 6,7,8 (paragrafi 1 e 2), 11,15,16 e 18 può essere effettuata in questa disposizione. 3 Ogni Stato parte del presente patto, avvalendosi del diritto di deroga, informa immediatamente agli altri Stati parti del presente Patto, per il tramite del Segretario Generale delle Nazioni Unite, delle disposizioni che ha fatto oggetto di deroga e dei motivi per cui questa è stata presentata. Inoltre, nessuna delle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 riconosce la necessità militare, o le situazioni di emergenza, come causa di legittimazione per gravi violazioni del diritto internazionale umanitario.

Neanche il Progetto di articoli sulle responsabilità degli Stati considera la necessità come una giustificazione legittima escludere la responsabilità internazionale degli Stati. All’art. 26, infatti, si richiama fermamente lo Stato membro a conformarsi con le norme imperative. Non viene, quindi, riconosciuta la necessità come una scusa per escludere “l’illeceità dell’ atto di uno Stato che non è in conformità con l’obbligo derivante da una norma imperativa del diritto internazionale generale.” E’ troppo pessimistico etichettare tale apparente incongruenza come un segno evidente della crisi del diritto internazionale moderno, ed ancora di più crisi della modernità in generale. Si può, piuttosto, leggere ciò come una chiara indicazione dell’ esistenza di paradigmi in competizione all’interno della comunità internazionale: il paradigma Stato – centrico scaturito dall’ ordine di Vestfalia e legato alla filosofia di Hobbes, contro un ordine umano fortemente influenzato dall’idea kantiana del regno dei fini. La giurisprudenza islamica incarnata nella normativa Shari’ ah, appare come la lettura più influente, se non l’interpretazione dominante, nella storia dell’ Islam.

 

Resta però il fatto che non vi è stata un’unica lettura della giurisprudenza islamica, come dimostrato dall’evidente dibattito dottrinale tra giuristi musulmani, il che dimostra l’esistenza di una sorta di pluralismo giuridico nelle comunità islamiche. Come sistema normativo onnicomprensivo, la Shari’ah islamica è stata storicamente regola praticamente tutti gli aspetti della vita musulmana, tra cui le norme relative alla guerra. Due categorie di norme sembrano essere distinte nella giurisprudenza islamica: le regole e i principi. Mentre le prime sono applicabili ai casi molto concreti, i secondi vivono di applicazioni molto più ampie. La necessità è un principio giurisprudenziale generale nel diritto islamico che copre una vasta gamma di aspetti, comprese le questioni legate ai conflitti armati. Il fiqh islamico non è diverso dal diritto internazionale contemporaneo nel concedere alla necessità uno status normativo rilevante. A prima vista, questo principio sembra essere chiaro e netto: la necessità autorizza condotte illecite.

Il principio di proporzionalità, naturalmente, è un principio giuridico che altera l’applicazione della necessità. Sia il diritto internazionale moderno che il fiqh islamico sembrano concepire la proporzionalità come un principio giuridico distinto in grado di modificare la portata del principio di necessità. Sembra, tuttavia, che la proporzionalità sia “riducibile” alla necessità. Il diritto internazionale contemporaneo, così come la legge islamica, escludono in ogni caso la possibilità di invocare la necessità come motivo di esclusione dell’ illiceità se lo Stato che la invoca ha contribuito a generare la situazione di necessità”. Secondo un principio giurisprudenziale, la costrizione intenzionale del soggetto non nega la sua libera volontà e, quindi, una tale necessità non lo esime dalla responsabilità.

Osservazioni conclusive

Verso un ordine internazionale umano e le virtù della Shariah a) Diritto internazionale atropo – centrico contro uno Stato – Centrico. Principio di umanità: “la regola d’oro” come un terreno comune nell’ insegnamento Cristiano ed Islamico, così come dell’etica post- illuministica e laica; b) la necessità di un cambiamento di paradigma: – Ordine internazionale: da ordine internazionale hobbesiano ad un ordine internazionale kantiano. Giurisprudenza Islamica: dall’ interpretazione positivistica dei testi ad un criterio di contestualizzazione morale. C) Equità come giustizia: Equità anche al nemico come una virtù coranica guida nel DIU: “O voi che credete! Distinguetevi con fermezza per Allah e siate solo testimoni e non lasciate che l’inimicizia e l’odio degli altri vi facciano evitare la giustizia. Siate più vicini alla pietà ed abbiate timore di Allah, poiché esso sa bene quello che fate” (Corano: Sura 5, versetto 8).

 

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Dott.ssa Filosa Maria Anna

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