Il rango delle norme della convenzione EDU al centro di numerosi contrasti, sopiti dalle c.d. “sentenze gemelle” della Corte Costituzionale n.348-349/2007
In dette pronunce i giudici hanno statuito come, atteso il valore di parametro interposto di costituzionalità che deve essere riconosciuto alle norme CEDU, le stesse rivestono un valore superiore rispetto alle leggi ordinarie, non generando, l’eventuale contrasto tra norme pattizie e norme interne, problemi di successione delle leggi nel tempo, ma questioni di legittimità costituzionale, che devono essere sindacate dalla Corte Costituzionale stessa.
E invero, le norme CEDU ricevono consacrazione nell’ordinamento nazionale in virtù dell’art. 117, comma 1 Cost., nella parte in cui prevede che la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Merita di essere rilevato come, in dottrina, taluni avessero ricondotto l’operatività nell’ordinamento interno delle norme CEDU all’art. 10 Cost., contrariamente a coloro i quali, invece, asserivano che le stesse ricevessero legittimazione dall’art. 11 Cost. In modo critico è stato osservato, relativamente ai primi, che l’art. 10 Cost., nel riferirsi “alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”, alludesse a quelle consuetudinarie e non alle norme pattizie, quali sono le disposizioni della Convenzione. Avuto riguardo ai secondi, invece, è stato evidenziato come, l’ordinamento nazionale in adesione alla CEDU, non abbia acconsentito nessuna limitazione di sovranità, contrariamente a quanto accaduto con l’ingresso dell’Italia nella Comunità europea prima, e nell’Unione europea dopo.
Le norme parametro
Il valore di paramento interposto di costituzionalità rivestito dalle norme CEDU comporta conseguenze di non poco conto in sede di contrasto tanto della norma interna con le disposizioni della convenzione, quanto nel caso di conflitto tra norma pattizia e norma costituzionale. Dovendo il giudice nazionale interpretare il diritto interno alla luce della CEDU, ed atteso il tentativo di interpretazione convenzionalmente orientata che lo stesso è preliminarmente tenuto a compiere in entrambe le ipotesi, nel caso in cui il contrasto permanga, egli dovrà – relativamente alla prima delle circostanze prospettate- sollevare questione di legittimità costituzionale della norma interna in riferimento all’art. 117 Cost; nella seconda ipotesi, invece, sarà tenuto a sollevare questione di legittimità della legge di adattamento nella parte in cui consente l’ingresso nell’ordinamento di una regola di dubbia coerenza con i principi costituzionali. Ne consegue un sindacato accentrato in capo alla Corte Costituzionale.
Diversamente da quel che accade rispetto ai rapporti intercorrenti tra norme nazionale e norme CEDU, l’Italia – in virtù dell’adesione all’Unione europea- ha acconsentito, ex art. 11 Cost., alle limitazioni di sovranità necessarie all’ordinamento al fine di assicurare la pace e la giustizia fra le nazioni. Uno dei risultati che l’ingresso nell’UE ha comportato è stato il riconoscimento della primazia del diritto dell’Unione rispetto a quello nazionale. Tale principio ha ricevuto definitiva consacrazione a livello giurisprudenziale con la sentenza “Granital” della Corte di Giustizia.
Ne è derivato che, l’eventuale conflitto tra norma unionale e norma nazionale andrà risolto in favore della prima. Il sindacato diffuso riconosciuto in capo al giudice comporterà l’obbligo per lo stesso di disapplicare la norma nazionale contrastante con quella dell’UE, di fatto, lasciando che sia quest’ultima a regolare il caso di specie.
Orientando la trattazione verso il tema della prescrizione, va evidenziato come tale istituto, regolato dall’art. 157 c.p., rinvenga la sua ratio nell’attenuato allarme sociale scaturito dalla commissione del reato, in seguito al decorso di un considerevole lasso di tempo. Ad informare ulteriormente detto istituto si pone l’esigenza di certezza della sfera giuridica del soggetto sottoposto a processo che ha portato il legislatore – anche in un’ottica di favor rei– a prevedere in modo puntuale la sua regolamentazione, inserendolo dell’ambito del diritto sostanziale.
Da tale collocazione deriva la sottoposizione dello stesso al principio di legalità, ex art. 25 comma 2 Cost., e ai suoi corollari.
Prescrizione e impunità
Il tema della prescrizione è legato a doppio filo, ma con diverse implicazioni, tanto all’ambito CEDU quanto al diritto dell’Unione europea. Trattando del primo di tali ambiti, aspetti problematici sono stati messi in evidenza nella sentenza “Cestaro” della Corte EDU, in cui i giudici di Strasburgo hanno rilevato come, in relazione ai gravi fatti di violenza commessi dalle forze dell’ordine durante il G8 di Genova, i reati di fatto contestati ed il conseguente regime di prescrizione previsto per gli stessi, abbiano comportato la sostanziale impunità per gli autori.
Ne sono scaturite sue considerazioni; in primis, la mancanza della previsione del reato di tortura all’epoca dei fatti (oggi introdotto nell’ordinamento interno dalla l. 110/17 all’art. 613-bis c.p.) ha comportato che i reati ascritti ai colpevoli fossero quelli, tra gli altri, di lesioni, minacce, abuso d’ufficio; in secondo luogo e conseguentemente, tali qualificazioni delle condotto criminose hanno fatto sì che le stesse si prescrivessero in “breve tempo”.
Tale quadro ha dato la stura alle critiche mosse dalla Corte EDU a riguardo del sistema di prescrizione nazionale. Se dalla pronuncia “Cestaro” non sono derivati obblighi di sorta per i giudici nazionali, ben diverse sono le implicazioni sortite dalla sentenza “Taricco” con cui la Corte di Giustizia, di riflesso, è intervenuta sul diritto interno.
E difatti, i giudici unionali hanno rilevato come il sistema di prescrizione regolato dal combinato disposto degli artt.160 –161 comma2 c.p., imponendo che in nessun caso l’interruzione della prescrizione possa comportare l’aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere, determini una sostanziale violazione del diritto dell’Unione, e nello specifico dell’art. 325 TFUE, in tutti quei considerevoli numeri di casi in cui i giudici dichiarino l’intervenuta prescrizione in tema di reati di frode grave.
La questione merita di essere attentamente esaminata partendo dall’esame dell’art. 325 TFUE. E invero, detta disposizione statuisce il principio per cui l’Unione e gli Stati membri combattono la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione stessa, mediante misure adottate a norma di detta disposizione, che siano dissuasive e tali da permettere una protezione efficace negli Stati membri e nelle istituzioni, organi ed organismi dell’Unione
La Corte di Giustizia, difatti, alla luce della considerazione per cui il sistema di prescrizione del diritto nazionale prevedendo il suddetto termine massimo di prescrizione in presenza di atti interruttivi, ha statuito come obbligo del giudice nazionale sia quello di disapplicare il combinato disposto di cui agli artt. 160-161 comma2 c.p., in tutti quei considerevoli numeri di casi in cui tale sistema impedisca concretamente di “rendere giustizia” agli interessi finanziari dell’Unione europea.
Gli effetti scaturiti da tale pronuncia sono stati dirompenti.
È assolutamente necessario rilevare come l’istituto della prescrizione dell’ordinamento nazionale sia collocato nell’ambito sostanziale del diritto penale, con conseguente sottoposizione dello stesso al principio di legalità ex art. 25 comma 2 Cost. Per vero, detta norma nello statuire come nessuno possa essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso, racchiude in se una serie di corollari: principio di riserva di legge, principio di tassatività e divieto di retroattività sfavorevole.
È da questi corollari, infatti, che è necessario muovere per evidenziare come la pronuncia della Corte di Giustizia si ponga in rotta di collisione con il principio di legalità in tutte le sue sfaccettature. In primis, con il principio di tassatività e di riserva di legge, atteso che in ossequio al “diktat” contenuto nella sentenza Taricco, sarebbe una pronuncia giurisprudenziale a comportare una modifica dei termini di prescrizione, e non la legge (cosi come imposto dal principio di riserva di legge); intervento, questo, assolutamente vietato nel nostro ordinamento il quale rimette al legislatore il monopolio delle scelte di politica criminale.
Relativamente al contrasto con il principio di tassatività questo risulta conseguire dall’assenza di una legge su cui operare, che tal principio vorrebbe come precisa, determinata nei suoi elementi che non devono essere vaghi, proprio al dine di limitare al massimo la discrezionalità del giudice nel momento applicativo.
Avuto riguardo all’ulteriore corollario che discende dall’art. 25 c. 2 Cost .– divieto di retroattività sfavorevole – è necessario mettere in luce come, se il giudice nazionale disapplicasse il combinato disposto di cui agli artt. 160-161 comma 2 c.p., produrrebbe delle modifiche in malam partem, posto che allungherebbe i termini di prescrizione previsti all’epoca della commissione del fatto.
La prescrizione, dunque, pur non attenendo agli elementi normativi della fattispecie rientra, a pieno titolo, tra quei fattori che il soggetto, prima di determinarsi alla commissione del reato considera, al fine di compiere un completo “calcolo delle conseguenze penale”. Ne discenderebbe un’applicazione sfavorevole dei “nuovi” termini di prescrizione, in riferimento a fatti che all’epoca di commissione erano assoggettati a termini diversi ben più favorevoli.
La criticità evidenziate hanno dato la stura a diversi orientamenti giurisprudenziali
Accanto ai quei Tribunali che hanno disapplicato il combinato disposto di cui agli artt. 160-161 comma 2 c.p. – in tuti quei considerevoli numeri di casi di frode grave che avrebbero portato ad una violazione degli obblighi di tutela del sistema finanziario dell’Unione ex art. 325 TFUE – altri hanno ritenuto di dover sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 della legge del 2 agosto 280, n. 130 con cui viene ordinata l’esecuzione nell’ordinamento italiano al TFUE come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona, nella parte in cui impone l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 325 paragrafi1-2TFUE.
Nel sollevare questione di legittimità costituzionale, i remittenti hanno invitato la Consulta ad azionale i c.d. “controlimiti” – teorizzati nella sentenza Granital – allorché la disciplina sovranazionale collida con i principi fondamentali dell’ordinamento nazionale.
Alle sollevate questioni di legittimità costituzionale, la Consulta ha risposto per il tramite di una sentenza interpretativa, con cui ha rimesso la questione alla Corte di Giustizia, investita del tema in via pregiudiziale.
Nel percorso logico-giuridico seguito dalla Corte, i giudici rilevano una ulteriore critica, oltre alle censure già mosse da coloro i quali avevano ritenuto di dover sollevare questione di legittimità costituzionale. Ad avviso della Consulta il principio di diritto cristallizzato nella sentenza “Taricco” contrasterebbe anche con quello che – alla luce della interpretazione del principio di legalità cosi come inteso e previsto all’art. 7 CEDU- assurge a quarto corollario del principio di legalità ex art. 25 comma 2 Cost: il principio di prevedibilità, alla luce del quale, al fin di escluderne la sua violazione, il soggetto all’epoca della commissione del reato avrebbe potuto e dovuto ragionevolmente prevedere che – allo scopo di dare attuazione all’art. 325 TFUE per la tutela degli interessi finanziari dell’Unione – il giudice avrebbe potuto disapplicare il combinato disposto di cui agli artt. 160-161 c.2 cp., di fatto, determinando un allungamento dei termini di prescrizione rispetto a quelli originariamente previsti.
Tale capacità di previsione appare davvero improbabile, atteso che non sembra ragionevole sostenere come al soggetto fosse consentito immaginare prima della sentenza Taricco, che l’art. 325 TFUE avrebbe comportato per il giudice nazionale l’obbligo di disapplicazione degli artt. 160-161 comma 2 c.p., ove fosse derivata l’impunità dei colpevoli di reati di frode grave in un numero considerevole di casi.
La Consulta, conseguentemente, ha formulato tre quesiti alla Corte di Giustizia, chiedendo che la stessa si pronunci statuendo se l’art. 325 TFUE par. 1-2 TFUE debba essere interpretato nel senso di imporre al giudice di non applicare la norma nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di reati gravi di frode, lesivi degli interessi finanziari dell’Unione europea, anche quando tale principio sia privo di una base legale sufficientemente determinata.
Nel secondo quesito i giudici hanno chiesto alla Corte se detto obbligo in capo al giudice debba essere rispettato anche nel caso in cui nell’ordinamento nazionale la prescrizione faccia parte del diritto sostanziale e come tale soggetto al principio di legalità.
Nel terzo ed ultimo quesito la Consulta chiede che i giudici della Corte di Giustizia stabiliscano se la statuizione contenuta nella sentenza Taricco vada rispettata anche quando l’omessa applicazione del combinato disposto degli artt. 160-161 comma 2 c.p. sia in contrasto con i diritti inalienabili della persona cosi come riconosciuti dalla Costituzione dello Stato membro, ed anche con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale dello stesso.
Ad oggi si è in attesa del pronunciamento della Corte di Giustizia.
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