L’azione penale a carico delle imprese

Il Decreto Legislativo n. 121/2014 (convertito in Legge n. 68/2015[1]), revisionando il settore del diritto penale ambientale italiano tanto con modifiche al Testo Unico in materia[2] quanto introducendo – a livello codicistico – il titolo VI bis (artt. 425 bis e ss. codice penale), ha di fatto comportato un adeguamento al panorama normativo europeo, segnando il passaggio da fattispecie di pericolo astratto a reati causali di danno o di pericolo concreto – per come di converso previsto dalla direttiva 2008/99/CE[3].

Per ciò che qui ci occupa, il delitto di cui all’art. 452 bis c.p. rubricato “inquinamento ambientale” testualmente dispone, al comma 1:

“E’ punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 100.000 chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili:

  • Delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo;
  • Di un ecosistema[4], della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna”,

proseguendo, al comma 2, con la previsione della seguente circostanza aggravante:

“Quando l’inquinamento è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata”.

Ne consegue la qualificazione di detto reato in termini di delitto[5] la cui peculiare offensività al bene giuridico protetto segue non già da una condotta considerata “astrattamente” pericolosa superati i limiti-soglia legislativamente tipizzati bensì dall’effettivo danno-evento prodotto.

Con precipuo riferimento a quest’ultimo e volendo evidenziare quelli che sono gli elementi costitutivi della fattispecie de qua:

  • quanto all’elemento oggettivo si rende necessario il deterioramento e/o la compromissione del bene giuridico protetto nella veste tanto di peggioramento quanto di danneggiamento di entità inferiore rispetto all’evento richiesto ai fini della configurabilità del più grave reato di cui all’art. 452 quater cp, rubricato “disastro ambientale”, richiedendosi tuttavia in ogni caso un degradamento apprezzabile delle condizioni ambientali e/o una significativa inabilità strutturale del bene tale da renderlo inidoneo alla sua utilità[6];
  • quanto all’elemento soggettivo, ai fini della configurazione della fattispecie è richiesto il dolo generico ma ben potrà imputarsi all’agente la condotta lesiva a titolo di dolo eventuale qualora la stessa sia conseguenza altamente prevedibile e, dunque, prevista ed accettata dal reo.

Orbene, stante il principio della personalità dell’azione penale, nel caso in cui il soggetto agente sia persona fisica nulla quaestio, difatti sarà sufficiente – secondo la teoria tripartita del reato – comprovare il nesso eziologico, avvinto dall’elemento teleologico, tra condotta ed evento. Di converso, nell’ipotesi in cui l’evento-danno sia diretta conseguenza dell’esercizio di attività posta in essere da persona giuridica occorrerà fare riferimento alla normativa all’uopo prevista dal d.lgs. n. 231/2001[7], adeguata all’art.6 della Direttiva 2008/99/CE.

Il diritto all’ambiente salubre

Il diritto all’ambiente, o meglio ad un ambiente salubre, si configura quale diritto fondamentale la cui tutela è volta a soddisfare, indirettamente, l’individuo e le sue esigenze primarie, sia come singolo e sia come cittadino inserito in un più ampio contesto – la collettività – ove si svolge la sua personalità. Giocoforza, allora, risulti imprescindibile una sempre più accurata attenzione alla prevenzione in tema di inquinamento ambientale, e da qui un’evoluzione normativa non solo a livello nazionale ma altresì internazionale ed europeo.

Richiamata ut sopra la normativa interna, con precipuo riferimento al diritto sovranazionale si evidenzia quanto segue.

Il diritto all’ambiente come meritevole di tutela giuridica è strettamente connesso alla necessità di prevenire la violazione di taluni dei diritti fondamentali previsti dalla Convenzione Europea su Diritti dell’Uomo (CEDU); fra tutti, diritto alla vita (art.2) ed al rispetto della vita familiare e privata (art. 8).

Interessi, questi, che purtuttavia devono essere mediati con altro diritto individuale, di carattere economico, quale la libertà di impresa, ossequiando pur sempre i principi di prevenzione[8] e precauzione[9] di cui ai vari interventi europei del settore, dal protocollo di Kyoto del 1997 a seguire, e che al contempo mirano alla effettività del disposto di cui all’art. 191 TUFE[10], gravando dunque sul soggetto che fa correre un rischio di inquinamento l’onere di sostenere i costi di prevenzione o riparazione[11].

In caso, dunque di svolgimento di attività economica, commerciale o imprenditoriale e di comportamento doloso/colposo dell’operatore cui segue, eziologicamente, un danno alla salute umana per alterazione dell’ambiente circostante, in vista di una armonizzazione della disciplina tra Stati troverà applicazione la direttiva 2004/35/CE in un’ottica di prevenzione necessaria[12].

Spetterà, di poi, ad ogni Stato adottare le misure più opportune per eliminare o attenuare i rischi ambientali in vista del necessario rispetto dei principi di cui sopra, riducendo di tal guisa al minimo l’inquinamento ambientale[13] dovuto all’attività di imprese che operano in Europa.

Volgendo da ultimo uno sguardo alla recente direttiva 2016/2284/CE, si conferma l’obiettivo a lungo termine dell’unione europea per la politica dell’aria; emergendo, in termini lapalissiani, l’intento di ottenere livelli di qualità dell’aria tali da non comportare significativi impatti negativi per l’ambiente e per la salute umana per il tramite della adozione di misure di controllo “proporzionate” e di impegni nazionali di riduzione di emissione (art 4), predisponendo sanzioni (art. 18) effettive, proporzionate e dissuasive in caso di violazione[14].

[1] Cfr. Telesca, “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”, in Diritto Penale Contemporaneo.

[2] Con aggiunta della Parte Sesta bis del Decreto Legislativo n. 152/2006 in punto di disciplina sanzionatoria degli illeciti amministrativi e penali in materia di tutela ambientale.

[3] Contenente la fissazione di standard minimi di tutela limitati alle violazioni più gravi ed in conformità al principio di sussidiarietà della legislazione comunitaria – “I reati ambientali alla luce del diritto dell’unione europea” a cura di Bartolomeo Romano.

[4] D.p.c.m. del 27 dicembre 1988.

[5] Ante-riforma la tutela penale era esclusivamente affidata alla “repressione” contravvenzionale di immissione – oltre la soglia limite consentita – di sostante pericolose nell’ambiente, non fungendo di tal guisa la sanzione all’uopo prevista da effettivo deterrente alla condotta de qua, stante altresì i ridotti termini prescrizionali.

[6] “Ai fini della configurabilità del reato di “inquinamento ambientale” non è richiesta la tendenziale irreversibilità del danno, ciò significa che fin quando tale irreversibilità del danno si verifica anche le condotte poste in essere successivamente all’iniziale deterioramento o compromissione non costituiscono post-factum penalmente irrilevante, né singole ed autonome azioni costituenti altrettanti reati di danneggiamento, bensì singoli atti di un’unica azione lesiva che spostano in avanti la cessazione della consumazione” – Corte di Cassazione, sezione 3^ Penale, n. 10515/2017.

[7] Il citato decreto introduce una forma di responsabilità amministrativa (seppur di fatto configurabile sostanzialmente come penale – stante la portata delle sanzioni all’uopo previste valutate alla stregua dei cd. criteri Engel –  ovvero, secondo un minoritario orientamento giurisprudenziale, avallato tuttavia dalle Sezioni Unite – qualificabile quale “tertium genus” di natura mista che “coniuga i tratti essenziali del sistema penale e di quello amministrativo prevedendo una autonoma responsabilità dell’ente in caso di commissione, nel suo interesse o a suo vantaggio, di uno dei cd. reati presupposto, da parte di un soggetto che riveste una posizione apicale, sul presupposto che il fatto-reato è < fatto della società, di cui essa deve rispondere>”– S.U. n. 38343/2014); di guisa che, a carico di persone giuridiche anche prive di personalità giuridica, a seguito della commissione di reati tassativamente previsti (art 25-undecies, d.lgs. ut sopra ed in combinato disposto con la normativa di cui al d.lgs. 81/2008 ai fini della corretta individuazione degli organi fattivamente responsabili) sarà perseguibile penalmente non solo la persona fisica-agente ma altresì l’ente solo ed esclusivamente nella denegata ipotesi in cui quest’ultimo abbia, dall’attività “illecita”, tratto un qualche interesse e/o vantaggio;

[8] Obbligo, questo, che va ad aggiungersi all’onere successivo di riparazione;

[9] In ossequio al principio n.15 della Dichiarazione di Rio del 1992 “..al fine di proteggere l’ambiente, gli Stati applicheranno in modo ampio l’approccio precauzionale secondo le rispettive capacità. Qualora vi siano minacce di danni gravi o irreversibili, .. , ed a prescindere da una certezza scientifica che possa giustificare il ritardo di una determinata azione”, in virtù del quale il costo delle misure preventive deve essere inferiore a quello che potenzialmente si sarebbe sostenuto in epoca successiva all’effettivo verificarsi dell’evento danno;

[10] Testualmente, e fermo restando la clausola di salvaguardia che autorizza gli Stati membri a prendere, per motivi ambientali di natura non economica, misure provvisorie soggette ad una procedura di controllo dell’Unione, “..la politica dell’Unione è .., .. fondata sui principi della precauzione e dell’azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio del < chi inquina paga >”; per tale ultimo principio vedasi, altresì, l’art 16 della Dichiarazione di Rio del 1992;

[11] Tale principio opera nella misura in cui e per come richiamato dalla direttiva 2004/35, la quale sopperisce alle lacune della normativa nazionale in caso di mancata individuazione del responsabile della contaminazione; di tal guisa, si armonizzano, fra Stati, i regimi di responsabilità civile e penale per il danno derivante da mutamento negativo misurabile di una risorsa naturale con conseguente negativo riverbero sulla salute umana – Corte di Giustizia Europea – sentenza del 4 marzo 2015 C-534/13;

[12]La disciplina della prevenzione e riparazione del danno ambientale” di Cristina Rossi su tuttoambiente.it

[13] Sul punto, si veda sia il protocollo di Kyoto sull’emissioni di gas sia la direttiva 2016/2285/CE di riordino della disciplina in tema di riduzione delle emissioni nazionali di determinati inquinamenti atmosferici che modifica la direttiva 2003/35 e abroga la direttiva 2001/81/CE;

[14] Pene e sanzioni amministrative per come stabilite dal TU in materia di Ambiente e dagli articoli del Titolo VI bis del codice penale, tenuto conto delle cornici edittali all’uopo previste; il carattere significativo di un danno è da valutarsi in riferimento a tre elementi (stato di conservazione al momento del danno, servizi offerti dai valori ricreativi connessi e capacità di rigenerazione naturale), direttiva 2004/35/CE

Caglioti Francesca Rosalba

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