È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione I Civile, con la sentenza del 29 dicembre 2017, n. 31193, mediante la quale ha rigettato il ricorso e confermato quanto già deciso, nel caso de quo, dalla Corte d’appello di Roma.
La vicenda
La pronuncia in esame ha avuto origine dal fatto che MEVIA e LIDIA, quali eredi di GAIA, ricorrono per cassazione nei confronti di CAIO e ALTRI, tutti quali eredi di TIZIO, come pure nei confronti della Banca S.p.a. con ricorso affidato a tre motivi, avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma, n. XXX/2013, che ha riformato la pronuncia emessa nel primo grado del giudizio dal Tribunale di Roma, n. XXX/2006.
La pronuncia, resa in esito al giudizio di primo grado, ha accolto la domanda di restituzione proposta dalle eredi di GAIA nei confronti della Banca per avere questa consentito a CAIO, procuratore generale di GAIA e suo convivente – di prelevare dal conto corrente intestato a quest’ultima delle somme di danaro pur dopo la morte della sua titolare.
La medesima pronuncia ha altresì accolto la domanda di garanzia e manleva che la Banca era venuta a svolgere nei confronti degli eredi di TIZIO, a seguito di apposita chiamata in causa.
Di diverso avviso è stata la Corte di Appello, che ha stimato fondato tanto l’appello principale proposto dagli eredi di TIZIO, quanto quello incidentale presentato dalla Banca.
La Corte territoriale non ha, in specie, ravvisato profili di negligenza nel comportamento tenuto dalla Banca nella fattispecie concreta in discorso e ha quindi escluso ogni sua responsabilità restitutoria e/o risarcitoria nei confronti delle eredi GAIA.
I motivi di ricorso
Per quanto è qui di interesse, le ricorrenti MEVIA e LIDIA con il secondo motivo lamentano che, in una con la loro citazione in appello, gli eredi di TIZIO depositarono una «procura generale che sarebbe stata conferita al loro dante causa da MEVIA e LIDIA in data 20/9/99».
Per poi rilevare che, sin dalla «propria comparsa di costituzione e risposta in appello», le eredi GAIA spiegarono eccezione di inammissibilità ex art. 345 cod. proc. civ. nei confronti del relativo documento. Nonostante questo, «in nessuna parte della sentenza gravata» – insistono le dette ricorrenti – la «Corte di Appello di Roma ha motivato circa la ammissibilità della citata produzione documentale di parte appellante».
Con il terzo motivo di ricorso le ricorrenti lamentano che la Corte di Appello, «nel ritenere esclusa qualsiasi forma di responsabilità della Banca in relazione alle operazioni di prelievo» poste in essere da CAIO sul conto intestato alla defunta GAIA, «è incorsa dell’insieme delle norme in una interpretazione censurabile sostanziali che sovraintendono la rappresentanza».
La decisione
La Corte di Cassazione, mediante la citata sentenza n. 31193/2017 ha ritenuto i motivi non fondati ed ha rigettato il ricorso.
Il secondo motivo è inammissibile in quanto la decisione della Corte territoriale di ritenere esente da responsabilità il comportamento tenuto in concreto dalla Banca si basa, in realtà, su una ampia serie di rationes decidendi autonome, che nulla hanno a che vedere con la detta procura.
Quale, tra le altre, la constatazione che «le eredi di GAIA non avvisarono la Banca della morte della depositante»; quale pure la constatazione ulteriore che «TIZIO, convivente di GAIA, operava sul deposito bancario dal marzo del 1998 in forza di valida procura notarile e dalla movimentazione delle operazioni in questione non emerge alcuna anomalia, per importi o frequenza delle stesse, che potesse imporre alla Banca, quantomeno in via prudenziale, un diverso comportamento».
Anche il terzo motivo è inammissibile perché chiede un riesame del fatto precluso all’esame della Corte.
D’altro canto, conclude la Suprema Corte, non sembra inopportuno segnalare in proposito che, secondo quanto dispone la norma dell’art. 1396 comma 2 c.c., la causa di estinzione della procura, che è data dalla morte del rappresentato, non è opponibile al terzo che la ha senza colpa ignorata.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Leggi il testo della sentenza: Corte di Cassazione, Sezione I Civile, con la sentenza del 29 dicembre 2017, n. 31193
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