Per la Cassazione il PCT è obbligatorio per gli avvocati

MICHELE Gorga 22/01/18
Il Processo civile telematico che nelle previsioni Ministeriali doveva essere il volano della velocizzazione del processo civile si è trasformato in ulteriore causa che si sommano a quelli tecnici  del portare dei Servizi telematici, ai comunicati di sospensione temporanei per  aggiornamento delle piattaforme del servizio giustizia ; ai ritardi  degli esiti dei deposito degli atti e delle comunicazione di eventi processuali, alle procedure dei  controlli automatici; dall’unità di crisi Ministeriale  che ne certifica essere ancora una modalità in fieri.

Gli avvocati, nel rispetto del comma 7 dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012, oggi attendono meno tempo per la quarta ricevuta per i depositi telematici. Il servizio PEC pare essersi stabilizzato, dopo le violazioni della rete informatica del Ministero della giustizia a giugno 2015, quando il tribunale di Udine subì un attacco con «ransomware» di tipo Cryptolcker e a luglio 2015 quando il gruppo Anonymous Italia trafugò ben 41 database del Ministero della giustizia con indirizzi email, password, codici fiscali e altre informazioni.

Gli strumenti informatici

Negli ultimi anni sono state rinnovate le dotazioni dei Personal a tutti i magistrati con versioni aggiornate di Windows e protetti da idonei antivirus, costantemente aggiornati.

Sono state installate nuove apparecchiature server e storage, aggiornate all’ultima versione di Oracle e adeguatamente protette da efficaci antivirus, che consentono di gestire dati e documenti del fascicolo informatico in ambiente Linux.

Speculare all’attività del Ministero della giustizia e l’attività della giurisdizione volta a consolidare la modalità telematica del processo civile. In tale prospettiva è da segnalare una recente sentenza della Cassazione con la quale è stato affermato il principio di diritto che gli avvocati hanno l’obbligo di adeguarsi all’evoluzione del processo telematico, dotandosi degli strumenti adeguati per decodificare i documenti e gestire la digitalizzazione.

La Suprema Corte con la sentenza n° 22320 del 2017 ha respinto, infatti, il ricorso presentato da un avvocato con il quale chiedeva  di essere sollevato dalla responsabilità  per non essere stato in grado di decodificare un documento sottoscritto in Cades con estensione “.p7m” poiché privo degli strumenti idonei per farlo.

Per la sentenza gli avvocati hanno l’obbligo di adeguarsi alle nuove dinamiche del processo telematico avendo avuto tutto il tempo necessario per acquistare software per la decodifica dei file   è per i quali “non ci sono più scuse”.

La posizione della Corte di Cassazione contrasta, però, con la legge che non prevede nessun obbligo giuridico del genere e, preme doverlo ricordare a quella che tra le Corti ha proprio il compito, costituzionalmente orientato, di verificare, accertare e dichiarare “la violazione e l’esatta applicazione delle leggi in sede processuale”.   Un obbligo, quindi, non legislativamente imposto e che qualora dovesse essere introdotto determinerebbe per gli avvocati l’insorgere di oneri inesigibili e particolari relativamente ad una normativa tecnica sempre in costante evoluzione e, quindi, lesiva del principio della libertà della forma in materia processuale.

Per la Cassazione, invece, un tale obbligo c’è e va assolutamente rispettato ed in base ad esso gli avvocati sono obbligati ad adeguarsi acquistando dei software avanzati e tenuti alla formazione approfondendo le dinamiche del processo telematico. In caso contrario saranno direttamente responsabile della mancata decodificazione del documento.

 

MICHELE Gorga

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