I quesiti, oggetto dei provvedimenti della Consulta, sono: a) se una Regione possa legiferare; b) i limiti dell’esercizio, da parte della Regione, della potestà legislativa.
Nella fattispecie, una Regione (il Friuli Venezia Giulia) aveva emanato una legge recante istituzione del registro regionale per le libere dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario e per favorire la raccolta delle volontà di donazione di organi e tessuti mentre un’altra Regione (il Piemonte) aveva emanato una legge recante misure urgenti per il contrasto dell’abusivismo e modifiche alla legge regionale sui servizi di trasporto pubblico (non di linea su strada).
I principali elementi sui quali focalizzare, almeno prima facie, l’osservazione sono: sul piano procedurale, le relazioni tra P.A. centrale e P.A. periferica in subiecta materia; sotto il profilo formale, la tipologia delle fonti normative statali e regionali; in termini sostanziali, le situazioni giuridiche istituzionali spettanti a ciascuna Regione.
In subiecta materia, dunque, vanno richiamati gli artt. 1, 3, 5, 32, 38, 41, 48, 55, 70, 97, 117, 118 e 134 Cost. nonché la l. cost. 18-10-2001 n. 3.
In primis, va ricordato che un ordinamento giuridico, inteso quale insieme di fonti normative poste in una determinata gerarchia, risente, direttamente, della forma di Stato e di governo vigente, ratione temporis, nel Paese nonché degli eventi storici che hanno condotto ad una diversa impostazione delle relative Istituzioni.
Segnatamente, l’ordinamento giuridico italiano, pur contenendo tuttora leggi e norme emanate in epoca monarchica (es. il codice penale ed il codice civile), si fonda, integralmente, sulla Carta Costituzionale quale lex suprema dello Stato, in vigore dal 01 gennaio 1948 e secondo le nuove caratteristiche delineate a partire dal referendum popolare del 02 giugno 1946.
In particolare, lo Stato italiano, inteso quale territorio nazionale unificato il 17 marzo 1861, possiede varie caratteristiche e, segnatamente, di essere costituito ed istituito sulla base di un ordinamento che può essere qualificato, in primis: costituzionale, repubblicano, liberale, democratico, parlamentare, sociale e regionale.
E’ costituzionale in quanto l’atto fondamentale ovvero il pilastro dello Stato è la Carta Costituzionale e non più lo Statuto Albertino, emanato infatti in età monarchica (4 marzo 1848). Sul punto, è’ da notare che l’uso di un termine differente non è casuale ma emblematico: la parola “statuto”, infatti, è adoperata, generalmente o almeno principalmente, in riferimento alle società e/o alle associazioni, dunque a persone giuridiche ovvero ad enti che perseguono interessi particolari, ristretti e comunque non generali. Tale termine ben si adatta, dunque, ad uno Stato con un unico sovrano, quindi ad una monarchia in cui, per la stessa etimologia di quest’ultima parola, lo Stato può intendersi come appartenente ad un solo Soggetto.
E’ repubblicano poiché lo Stato è una “cosa pubblica” ovvero di tutti (del popolo inteso con più come “suddito”) ed, al tempo stesso, di nessuno esclusivamente. E’ da sottolineare che il termine Repubblica è citato e replicato varie volte all’interno della Costituzione (artt. 1 co. 1, 2, 3 co. 2, 4 co. 1, 5, 6, 9 co. 1, 12, 29 co. 1, 31 co. 1, 32 co. 1, 33 co. 2, 34 co. 4, 35 co. 1, 37 co. 3, 45 co.1, 47 co. 1, 51 co. 1, 52 co. 3, 54 co. 1, 55 co. 1, 56 co. 4, 57 co. 1, 59, 60 co. 1, 73 co. 1, 74 co. 1, 83 co. 1 e 3, 84 co. 1 e 2, 85 co. 1 e 2, 86, 87, 88 co. 1, 90 co. 1, 91, 92, 93, 96, 114 co. 1 e 3, 126 co. 1, 134, 135 co. 1 e 7 e 139 Cost.) proprio per ricordare e per rimarcare che l’Italia ha acquisito questa nuova forma di Stato, peraltro non soggetta a revisione costituzionale e dunque nemmeno al procedimento speciale (aggravato) di cui all’art. 138 Cost.
E’ liberale, poiché la Carta Costituzionale, composta da 139 articoli e 18 disposizioni transitorie e finali e divisa in due parti, prevede, nella prima parte (artt. 1-54), i diritti (ed i doveri) dei cittadini e, precisamente, dodici principi fondamentali.
E’ democratico in quanto la sovranità, elemento costitutivo dello Stato unitamente al territorio ed al popolo, spetta, proprio, al popolo il quale elegge, mediante il voto e quali propri rappresentanti, i componenti del Parlamento. Segnatamente, quindi, trattasi, principalmente, di democrazia “indiretta”.
E’ parlamentare, e non presidenziale, perché il potere legislativo spetta, in via ordinaria, al Parlamento e perché il popolo elegge direttamente soltanto il Parlamento.
E’ di matrice sociale, e non socialista, non soltanto poiché con tale ultimo termine ci si riferisce ad una determinata forma di Stato/governo (es. l’U.R.S.S.) ma anche perché, tra i diritti ed i doveri inderogabili ricadenti anche sullo stesso Stato, vi è quello di assistenza e previdenza nei confronti di quei cittadini che versano in determinate condizioni: è il caso del lavoratore in stato di malattia, infortunio, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria (es. gravidanza) cui, quindi, spetta il diritto alla conservazione del posto di lavoro, c.d. periodo di comporto.
Infine, lo Stato italiano, pur non essendo una Repubblica “federale”, si fonda sul principio di autonomia e decentramento e delle competenze legislative: così, la violazione del riparto delle potestà legislative “attiva” il vaglio da parte della Corte Costituzionale che, può, dunque, dichiarare l’illegittimità della legge, della norma, del comma o del periodo, con conseguente annullamento.
De iure condito, l’Italia è uno Stato “regionale”, basato cioè sulla “devoluzione”, anche normativa e non soltanto amministrativa, dei poteri: le regioni, cioè, sono (divenute) titolari, sia pur per effetto di apposita “delega” istituzionale-costituzionale, di potestà legislative “concorrenti” e “residuali” e, quindi, in determinate materie. Il principio di autonomia e decentramento non può, dunque, essere inteso in senso differente.
Nella fattispecie, peraltro, non è invocabile, in re ipsa, la violazione (sostanziale) del “diritto” ad leges né, altresì, la violazione (formale) del principio della separazione dei poteri.
E’, dunque, irrilevante la configurazione della Regione, cioè se a statuto ordinario o speciale: è, altresì, indifferente la ratio legis nonché, ai fini della declaratoria di incostituzionalità, la successiva emanazione, da parte dello Stato (c.d. “leggi-cornice”), di una legge nella stessa materia.
In conclusione, in tema di rapporti tra P.A. e cittadini, la legge regionale sulle d.a.t. viola la potestà esclusiva dello Stato (es. ordinamento civile) nonché la potestà concorrente (tutela della salute) in quanto, ratione temporis, non era ancora stata emanata la legge nazionale (22-12-2017 n. 219) sul consenso informato e sulle d.a.t. e quindi per la violazione di un’ulteriore principio, quale quello di eguaglianza.
Allo stesso modo, illegittima anche l’altra legge regionale che, sia pur con il dichiarato obiettivo di contrastare l’abusivismo, introduca misure urgenti per servizi di trasporto collettivo od individuale di persone (su richiesta dei trasportati in modo non continuativo o periodico, su itinerari e con orari stabiliti di volta in volta) con funzione complementare ed integrativa ai trasporti pubblici di linea: ciò in quanto ricadente in ambito di concorrenza, materia riservata allo Stato (Corte Cost. 17-02-2016 n. 30).
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