Frode carosello: la ripartizione dell’onere probatorio e la responsabilita’ dell’ amministratore

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di Maurizio Villani e Lucia Morciano

Nel presente articolo, ripercorrendo il percorso argomentativo dei recenti arresti della Suprema Corte (Cass.n. 5173/2017;Cass.nn.3473-3474/2018), si cercherà di comprendere quali possano essere le strategie investigative dell’Amministrazione Finanziaria o della Polizia Giudiziaria volte a provare, nel giudizio penale, il reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzo di fatture o altri documenti per operazioni “soggettivamente” inesistenti.

Si esaminerà, inoltre, la sentenza n. 5924/2017 con cui la Corte di Cassazione si è espressa sulla portata dell’art. 7 del D.L. n.269/2003, in tema di sanzioni amministrative – fiscali delle persone giuridiche.

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Il reverse-charge 150 risposte a quesiti

A seguito degli interventi legislativi, il meccanismo diapplicazione dell’inversione contabile (o reverse charge) è stato esteso a numerose altre fattispecie nel settore delle costruzioni e si applica nei casi di appalto, subappalto e di cessione di fabbricati o loro porzioni, abitativi o strumentali. Tale regime comporta che il cessionario/committente sia tenuto all’assolvimento dell’imposta, diventando non solo debitore dell’IVA relativa alla prestazione ricevuta dal cedente/prestatore, ma anche il soggetto obbligato al versamento all’erario del tributo, determinando così una variazione delle ordinarie modalità di fatturazione, relative all’operazione.Alla luce delle ultime novità dettate dalla Manovra correttiva 2017 e della più recente documentazione di prassi dell’Agenzia delle Entrate, questo nuovissimo volume analizza la disciplina relativa a questo istituto, illustra 150 casi concreti di applicazione o meno del reverse charge e fornisce al Professionista risposte ai numerosi interrogativi che nascono attuando questo procedimento.MASSIMO PIPINO Libero professionista in Torino, già responsabile del servizio fiscale presso la locale Associazione Imprenditoriale Edile, consulente fiscale dell’Ordine degli Ingegneri di Latina, pubblicista, autore di numerose pubblicazioni, collabora strettamente da diversi anni con il Commercialistatelematico. Si occupa prevalentemente di fiscalità immobiliare, contrattualistica pubblica e diritto del lavoro.VOLUMI COLLEGATIGuida all’IVA in edilizia e nel settore immobiliare 2017, Righetti & Associati – I Edizione 2017Split payment 2017, Nicola Forte – I Edizione 2017

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Normativa di riferimento e struttura del reato

Art. 2 del D.lgs. 74/2000, Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.1. «E’ punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi. 2.  Il fatto si considera commesso quando si ricorre a fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie, o sono detenuti a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria». Al fine di meglio comprendere la predetta fattispecie di reato, è opportuno analizzarne la struttura, così di seguito esposta:

  • Bene giuridico protetto: la trasparenza fiscale e la corretta percezione del tributo.
  • Soggetto attivo: è il titolare dell’obbligo di presentazione della dichiarazione dei redditi o ai fini dell’Iva. E’ ormai orientamento pacifico che vi rientra, altresì, la persona fisica, la quale non è tenuta ad obblighi contabili. Giurisprudenza e dottrina sono concordi nel ritenerlo un reato “proprio” e, di conseguenza, affinchè si configuri, è necessario che il suo autore abbia una particolare posizione soggettiva, giuridica o di fatto. Inoltre, non si esclude, alla stregua dei principi generali che regolano il concorso dell’extraneus nei reati propri, che anche quest’ultimo possa essere chiamato a rispondere del reato in esame, essendo tuttavia necessario, a tal proposito, che egli abbia posto in essere un comportamento che abbia contribuito, anche solo agevolandola, alla realizzazione della condotta posta in essere dall’autore principale. A titolo esemplificativo, si pensi al caso di un soggetto che inizialmente è Presidente del Consiglio di Amministrazione di una S.r.l. (come tale, soggetto titolare del dovere di presentare la dichiarazione fiscale) e, successivamente, ne divenga un semplice componente; in tal caso, egli risponderà comunque a titolo di concorso, se e solo se, ha effettivamente e concretamente dato il necessario contributo affinché si realizzi il delitto.
  •  Elemento soggettivo: il dolo specifico, consistente nel fine di evadere le imposte. Si tratta di un reato di pericolo concreto. Se la condotta è volta ad altri fini, pur mettendo in pericolo il bene tutelato, diviene irrilevante per l’ordinamento penal-tributario.
  • Elemento oggettivo: la condotta ha una struttura articolata in due fasi: (1) in primo luogo, vi è la condotta di tenuta delle fatture o degli altri documenti per operazioni inesistenti, mediante la loro registrazione e/o detenzione a fini probatori nei confronti dell’Erario; (2) successivamente, vi è il concreto utilizzo di tali documenti mediante indicazione, in una delle previste dichiarazioni annuali ai fini delle imposte dei redditi o Iva, di elementi passivi fittizi o elementi attivi inferiori a quelli reali. Il delitto ha natura istantanea e si consuma con la presentazione della dichiarazione annuale. In particolare, se la dichiarazione fraudolenta è presentata da una società, per il reato risponde chi l’ha sottoscritta. Quanto all’oggetto della condotta, si tratta delle  fatture e degli altri documenti “materialmente” o “ideologicamente” falsi. Tutto il delitto è incentrato sull’inesistenza della operazione economica, sia essa oggettiva o soggettiva, totale o parziale. Ciò che distingue il falso di cui all’art. 482 c.p. dal falso rilevante per l’integrazione del delitto de quo è l’efficacia probatoria, in base alle norme tributarie, del documento utilizzato per la dichiarazione fraudolenta. In questo senso, la norma di cui all’art. 2 del D.lgs. 74/2000 è speciale rispetto alla norma del codice penale predetta e, per tale motivo, va applicata solo la prima.

Il delitto si consuma nel momento della presentazione della dichiarazione fiscale nella quale sono effettivamente inseriti o esposti elementi contabili fittizi, essendo penalmente irrilevanti tutti i comportamenti preparatori tenuti dall’agente, comprese le condotte di acquisizione e registrazione nelle scritture contabili di fatture o documenti contabili falsi o artificiosi.

E’ escluso esplicitamente dall’art. 6 del D.Lgs. 74/2000; infatti, il soggetto che semplicemente detenga le fatture relative ad operazioni fittizie emesse da altri, oppure le annoti in contabilità senza trasfonderne le risultanze in dichiarazione, non può risponderne in sede penale.

La procedibilità è d’ufficio. È competente il giudice del luogo di domicilio fiscale del contribuente. La pena prevista è da un anno e sei mesi a sei anni di reclusione.

In seguito alla legge 148/2011, i nuovi termini di prescrizione per i reati tributari previsti dall’art. 2 all’art. 10 sono aumentati di 1/3 e quindi, nel nostro caso, si passa da 6 anni a 8 anni.

 

La ripartizione dell’onere probatorio tra Amministrazione e contribuente, in ambito di operazioni inesistenti(Cass.n. 5173/2017).

La fattispecie esaminata dalla Suprema Corte nella sentenza n. 5173/2017 riguarda un’ipotesi di frode carosello, effettuata tra società attive nell’import-export di veicoli usati, avvenuta attraverso diversi e ingiustificati passaggi di beni, che venivano ceduti da una società residente in Belgio a una s.r.l. con sede nella provincia di Foggia, per il tramite di una società interposta , considerata cartiera, residente in Provincia di Mantova.

L’Ufficio Territoriale dell’Agenzia delle Entrate emetteva, nei confronti della predetta società interposta, avviso di accertamento per indebita detrazione IVA, relativamente agli anni d’imposta 2005 e 2006.

Il suddetto atto veniva impugnato presso la competente Commissione Tributaria Provinciale di Mantova che, rigettando il ricorso, confermava la correttezza dei rilievi.

Alla stessa conclusione giungeva la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia (Sez. distaccata di Brescia) a seguito dell’impugnazione, sostenendo che è configurabile la fattispecie di frode carosello ed è assente, dall’altra parte, la prova della buona fede del contribuente, il quale non poteva non essere a conoscenza dell’altrui frode.

In riferimento a predetta questione, la Suprema Corte ha confermato quanto sostenuto dai giudici di merito, condannando alle spese il contribuente e ritenendo legittima la ripresa a tassazione degli Uffici Finanziari.

Ebbene, LA Suprema Corte, con la sentenza n. 5173/2017 ha delineato la ripartizione dell’onere probatorio tra l’Amministrazione e il contribuente, in ambito di operazioni inesistenti.

Il Supremo Consesso  ha ribadito un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo il quale una regolare fattura, conforme ai requisiti di forma e contenuto di cui agli artt. 21 e seguenti del D.P.R. n.633/1972, fa presumere la verità di quanto in essa attestato, poiché costituisce valido titolo per il contribuente ai fini del diritto alla detrazione, spettando  al contrario all’Ufficio provare il difetto delle condizioni per la detrazione.

Tale diritto, però, non può essere usato fraudolentemente  dal contribuente; infatti, è consolidato nel diritto comunitario  il principio secondo il quale “ la lotta contro le evasioni, elusioni e eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla Direttiva  2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 e i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell’Unione Europea, di talchè è compito delle Autorità e dei giudizi nazionali negare il beneficio del diritto alla detrazione dell’imposta ove sia dimostrato, alla luce degli elementi oggettivi, che tale diritto sia invocato fraudolentemente o abusivamente dal soggetto passivo, come avviene nel caso di evasione fiscale, commessa dal medesimo […] e ciò sia dimostrato da elementi oggettivi (Corte di Giustizia UE, Sez. III, causa C-285/11 del 6 dicembre 2012).

La giurisprudenza di legittimità ha effettuato una differente disamina dell’onere probatorio, a seconda che ci si trovi dinanzi a operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti.

E’opportuno, prima di affrontare ciò, dare la definizione di operazioni inesistenti e comprendere il discrimen tra operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti.

Per operazioni inesistenti, ai sensi dell’art. 1 del D.lgs. 74/2000, si intendono:

1) le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di “operazioni non realmente” effettuate in tutto o in parte;

2) le fatture o gli altri documenti che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in “misura superiore a quella reale”;

3) le fatture o gli altri documenti che riferiscono l’operazione a “soggetti diversi” da quelli effettivi.

Ciò posto, la Suprema Corte procede all’esame del diverso onere probatorio, a seconda che ci si trovi dinanzi a operazioni oggettivamente inesistenti o soggettivamente inesistenti.

Nel primo caso, difatti,  è stato precisato che, come per le imposte dirette, anche ai fini dell’IVA, l’inesistenza della fattura può essere oggettiva, poiché documenta operazioni in realtà mai venute in essere; in tal caso, la relativa prova ricade sull’Amministrazione Finanziaria, mentre il contribuente è tenuto a fornire, in tale situazione, la prova contraria. Pertanto, nell’ipotesi in esame, attesa l’assenza di operazioni non è, al contrario, configurabile alcuna buona fede.

Nella diversa ipotesi delle operazioni soggettivamente inesistenti, tema affrontato nel caso di specie della sentenza predetta, l’operazione è effettiva ed esistente ma la fattura è stata emessa da un soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione in essa rappresentata e della quale il cessionario o il committente è stato realmente destinatario.

In tale ipotesi, afferma il Supremo Consesso, l’IVA non è, in linea di principio, detraibile perché versata da un soggetto che non è legittimato nella rivalsa; precisamente, non rientrano nel conteggio del dare e dell’avere ai fini dell’IVA le fatture emesse da chi non è stato controparte del rapporto relativo alle operazioni fatturate, in quanto tali fatture concernono “operazioni per quanto lo riguarda inesistenti, senza che rilevi che le stesse fatture costituiscano la copertura di prestazioni acquisite da altri soggetti” (Cass. n. 5173/2017)

Per tale motivo, incomberà sull’Amministrazione Finanziaria dimostrare, anche sulla sola base di presunzioni, che il contribuente, al momento del perfezionamento dell’operazione, sapeva, o avrebbe dovuto sapere, con l’utilizzo della normale diligenza, che il soggetto formalmente cedente aveva, mediante emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o partecipato a una frode.

La sentenza in esame si pone in linea di continuità con altre precedenti pronunce che, negando dunque la detrazione dell’IVA, affermano che l’Ufficio accertatore è tenuto a fornire la prova della partecipazione del soggetto al meccanismo fraudolento.

In particolare, la giurisprudenza di legittimità ha  asserito che  l’indetraibilità dell’Iva esposta in fattura è subordinata alla prova che l’Amministrazione Finanziaria deve fornire in ordine alla circostanza che il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere – in ragione dell’esistenza di indizi idonei ad avvalorarne il sospetto – che tale operazione si iscriveva in un’evasione commessa dal fornitore o da un altro operatore a monte (cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 973 del 20.01.2016 e n. 9608 dell’11.05.2016).

Dall’altra parte, il contribuente, per superare le presunzioni dell’A.F., dovrà provare “anche in via alternativa, di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente e il fatturante in ordine al bene ceduto, oppure nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta, di non essere stato in grado di superare l’ignoranza del carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti coinvolti”.

E’ di tutta evidenza che per negare il diritto alla detrazione, dunque, non è richiesta al contribuente  la consapevolezza della collocazione dell’operazione all’interno di un meccanismo fraudolento, ma è sufficiente che, sulla base della normale diligenza esigibile dall’operatore economico, tenute presenti altresì le relative circostanze di fatto, il contribuente debba o comunque possa conoscere il contesto illecito dell’operazione.

In conclusione, la responsabilità dell’acquirente si rileva solo qualora venga contestata la consapevolezza o, in alternativa, la colpa cosciente.

Da ciò si evince che non si può pretendere in via generale che il soggetto cessionario, al fine di assicurarsi che non sussistano irregolarità a monte della sua transazione, debba effettuare un controllo nei confronti della controparte equiparabile a una vera e propria indagine amministrativa.

Questo principio trova conferma nella giurisprudenza comunitaria (CGE, 21 giugno 2012, cause C-80/11 e C-142/11, CGE 31 gennaio 2013, causa C-142/11), la quale ha affermato che costituiscono elementi gravi, precisi e concordanti della partecipazione, conoscenza, conoscibilità della frode fiscale:

– le anomalie nelle fatture e nei documenti di consegna emessi dal fornitore;

– l’identità degli amministratori o e dei sindaci o consulenti, o dipendenti o loro coniugi parenti o affini che operino nelle imprese venditrici come in quelle acquirenti;

– i rapporti personali o commerciali esistenti tra acquirente e fornitore del fornitore;

– i movimenti bancari di retrocessione di somme di denaro;

– le compravendite effettuate a prezzi significativamente inferiori a quelli di mercato.

Onere della prova della frode carosello in presenza d’indizi (Cass. 3473/18 e 3474/2018)

La Suprema Corte si è nuovamente pronunciata con due recenti ordinanze, le nn. 3473 e 3474 del 2018, in tema di onere della prova e consapevolezza di partecipare a una frode fiscale.

La questione affrontata dalla giurisprudenza di legittimità è sorta in seguito al recupero a tassazione dell’Iva indebitamente detratta derivante dall’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti.

Nel corso della verifica era stato constatato:

  • che le fatture erano state emesse da società cartiere, prive di organizzazione e di dipendenti;
  • che le società cedenti non avevano alcuna autonomia finanziaria e, in alcuni casi, avevano anche praticato prezzi inferiori a quelli di mercato;
  • l’omesso versamento dell’IVA da parte del cedente.

A tal proposito, la Suprema Corte, in predette ordinanze, ha affermato che “ l’Amministrazione finanziaria può ragionevolmente assolvere al suo onere probatorio anche mediante presunzioni ed altri elementi indiziari e, quindi, “non necessariamente con prova certa ed incontrovertibile, bensì con presunzioni semplici, purché dotate del requisito di gravità, precisione e concordanza, consistenti nella esposizione di elementi obiettivi tali da porre sull’avviso qualsiasi imprenditore onesto e mediamente esperto sull’inesistenza sostanziale del contraente”.

Per tale motivo, tali “elementi indiziari”:

  • avrebbero dovuto spingere un normale operatore economico “eiusdem generis ac professionis”, utilizzando l’ordinaria diligenza, a dubitare della regolarità della operazione, dovendo, in tal caso, considerarsi il soggetto passivo che “sapeva o avrebbe dovuto sapere” come “partecipante a tale frode, indipendentemente dalla circostanza che egli tragga o meno beneficio dalla rivendita dei beni”;
  • riversano sul contribuente l’onere di provare di essersi trovato nella situazione di oggettiva inconoscibilità delle pregresse operazioni fraudolente intercorse tra il cedente ed i precedenti fornitori; ossia, il contribuente nonostante l’impiego della dovuta diligenza richiesta dalle specifiche modalità in cui si è svolta l’operazione contestata, deve dimostrare di non essere stato in grado di abbandonare lo stato di ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti collegati all’operazione.

In conclusione, il Supremo Consesso, nelle ordinanze summenzionate, ha confermato in toto l’approccio ermeneutico consolidatosi nel tempo, evocando la responsabilità del cessionario solo nei casi in cui egli abbia partecipato fattivamente alla frode fiscale.

Dall’altra parte, il contribuente, utilizzando l’ordinaria diligenza potrà dimostrare di aver operato in piena buona fede, essendo del tutto estraneo alla fattispecie evasiva posta in essere.

Responsabilità dell’amministratore: si applica la sanzione amministrativa qualora l’ente o la società siano artificiosamente costituiti nell’interesse esclusivo della persona fisica che ha commesso la violazione (Cass. n. 5924/2017).

La Suprema Corte, con sentenza n. 5924/2017, si è espressa in riferimento alla portata dell’art. 7 del D.L. n. 269/2003, in tema di sanzioni amministrativo-fiscali alle persone giuridiche.

Tale disposizione normativa enuncia che le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di enti muniti di personalità giuridica siano da considerarsi a carico unicamente del predetto ente, senza estenderlo agli amministratori, a condizione che le violazioni risultino commesse nell’esclusivo interesse dell’ente medesimo.

Tale pronuncia si discosta da altri precedenti orientamenti (Cass. 10 giugno 2015, n. 12007; Cass. 10 dicembre 2014, n. 25933) che, al contrario, avevano escluso l’applicabilità delle sanzioni alla personalità dell’amministratore.

L’iter argomentativo seguito dalla giurisprudenza di legittimità si basa sul tema  che il limite a predetta “guarentigia” nei confronti della persona fisica si riscontra qualora l’ente o la società risultino, di fatto, una mera fictio artificiosamente costruita nell’esclusivo interesse della persona fisica che, seppur formalmente estranea alla società, ne sia l’amministratore di fatto, poiché opera come dominus nel realizzare l’attività fraudolenta, destinata unicamente all’uso personale del beneficio.

In predetta ipotesi, pertanto, la persona fisica che ha agito per conto della società risulta, contemporaneamente, trasgressore e contribuente, per cui tali sanzioni possono trovare applicazione nei confronti della stessa.

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