La competenza a provvedere sulla domanda di permesso ordinario.
L’inciso dell’art.30,comma 1, L.26.7.1975, n.354, che disciplina la competenza ai fini della concessione dei permessi ordinari, ha posto articolati problemi circa l’esatta ripartizione della competenza stessa, a causa di un non impeccabile drafting legislativo.
La norma recita infatti: “Agli imputati il permesso è concesso, durante il procedimento di primo grado, dalle medesime autorità giudiziarie, competenti ai sensi del secondo comma dell’articolo 11 l. 26.7.1975, n.354, a disporre il trasferimento in luoghi esterni di cura degli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado. Durante il procedimento di appello provvede il presidente del collegio e, nel corso di quello di cassazione, il presidente dell’ufficio giudiziario presso il quale si è svolto il procedimento di appello”.
Sollecitata dai ricorsi e dai numerosi conflitti di competenza sollevati dai giudici di merito, la Corte ha, nel corso del tempo, elaborato alcune guidelines in tema di competenza per la concessione dei permessi ordinari, che viene di seguito proposta secondo l’ordinaria scansione procedurale del procedimento penale:
1)Nella fase del procedimento concernente le investigazioni, il giudice per le indagini preliminari non ha potere di intervento o di iniziativa se non nei casi esplicitamente previsti dal codice di rito, e va dunque considerato giudice ad acta, con la conseguenza che al Gip non e’ attribuita alcuna competenza in materia di rilascio – nei confronti del sottoposto alla misura cautelare applicata su richiesta del PM – dei permessi previsti dall’art. 30 della L. 26.7.1975 n. 354 sull’Ordinamento penitenziario, attesa anche la mancanza di ogni conoscenza, da parte del Giudice, circa lo stato delle indagini e le relative esigenze di sicurezza (Cass.. 14.6.2001 n.35284,PM in proc. Patrono, CED)[1]
Nel caso si tratti di soggetto ristretto nel regime cautelare degli arresti domiciliari,la Corte ha stabilito che
“la magistratura di sorveglianza è istituzionalmente preposta – anche nel vigore della legge 26 luglio 1975, n. 354 sull’ordinamento penitenziario – a “vigilare” sulla “esecuzione delle pene detentive” (art. 144 cod. proc. pen.nel testo abrogato dall’art. 89 legge 354 citata) e pertanto, ogni sua funzionale competenza non può venire in evidenza se non dopo l’instaurarsi del rapporto di esecuzione da parte degli organi a ciò preposti dall’art. 577 cod. proc. pen.; nel periodo temporale intercorrente tra il passaggio in giudicato della sentenza di condanna ed il concreto inizio della esecuzione da parte del competente pretore o p.m., il soggetto interessato – non più imputato, ma nello “status” particolare di condannato in attesa di espiazione – versa in una posizione processuale nel contesto della quale ogni determinazione compete, in via esclusiva, agli organi esecutivi a cui e’ attribuito il potere-dovere di porre in esecuzione la condanna. pertanto, la competenza al rilascio dei permessi ai soggetti che eccezionalmente si trovino nella predetta situazione va attribuita, nel silenzio della legge, all’organo dell’esecuzione instauranda(Cass., 14.5.1998 n.2737, confl.comp. in proc.Di Martino );
2) In materia di ricoveri per necessità diagnostiche o terapeutiche e di permessi in favore di imputati detenuti in custodia cautelare, nel caso di procedimento innanzi al pretore (ora giudice ), la competenza a provvedere, nell’intervallo di tempo intercorrente tra l’emissione del decreto per il giudizio da parte del P.M. e la trasmissione del fascicolo per il dibattimento, spetta al G.I.P. presso la pretura, in applicazione analogica del disposto dell’art. 559 c.p.p., relativo alla competenza all’assunzione urgente di prove ed a provvedere sulle misure cautelari. Non può infatti trovare applicazione in tale ipotesi il disposto dell’art. 240 disp. att. c.p.p. che prevede la competenza del “giudice che procede”, atteso che dopo l’emissione del decreto di citazione alle parti e’ dato di concordare la eventuale scelta per il rito abbreviato e per quello dell’applicazione della pena concordata, ovvero l’imputato può presentare domanda di oblazione, di tal che nel suddetto in-tervallo non e’ possibile individuare nè il “giudice che procede” nè quello che “procederà”(Cass. 29.4.1986 n.1920,Laudani,CED);
3) La competenza a decidere sull’istanza di permesso di cui all’art. 30 della legge 26.7.1975 n. 354 (cd. ordinamento penitenziario) avanzata da imputato detenuto in custodia cautelare per reato in ordine al quale sia intervenuta sentenza di condanna in primo grado,avverso la quale sia stato proposto appello senza che gli atti siano stati ancora trasmessi al giudice del gravame, e’ competente a provvedere,ai sensi del combinato disposto dell’art.30 dell’ordinamento pe-nitenziario,dell’art.590 c.p.p. e dell’art.91 disp.att. c.p.p.,il giudice che ha pronunciato la suddetta sentenza spetta, nella fase processuale successiva alla pronuncia della sentenza di primo grado e anteriore alla trasmissione degli atti al giudice dell’impugnazione, al Presidente del collegio che ha giudicato l’imputato (Cass.14.5.1998,n.2738,confl.comp.in proc.Verchini,CED;Cass. 21.9.1999 n.5072,Di Vitis,CED ;Cass. 9.11.1992,n.4598,confl. comp. Pret. Torino e G.I.P. Pret. Torino in proc. Rolle,CED;Cass. 8.9.1989,n.1091,Mazzotta,CED;Cass.,27.6.2001 n.29372,Sessa,CED).
4)nel corso degli atti preliminari al giudizio avanti alla corte di assise la vigente legge penitenziaria attribuisce la competenza ad emettere i provvedimenti amministrativi in materia di colloqui, corrispondenza, permessi ed interventi sanitari urgenti per gli imputati detenuti, rispettivamente al presidente della corte di appello fino alla convocazione della corte di assise e al presidente di quest’ultima successivamente alla convocazione. A far spostare la competenza è pertanto sufficiente la convocazione della corte di assise, senza necessità della previa formulazione dei ruoli.La competenza a concedere i permessi previsti dall’ art. 30 legge 26.7.1975, n. 354, quando la domanda sia stata presentata da un imputato condannato con sentenza avverso la quale penda ricorso per cassazione, appartiene al giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, non rientrando nelle attribuzioni della corte di cassazione adottare decisioni di merito (Cass.ord.08.07.1976,Curcio,CED;Cass.ord.10.11.1976,n.1876,Corsini,CED; Cass. 3.6.1988, n.1572,Cimmino,CED).
5)Nel caso si tratti di soggetti ristretti in forza di titoli esecutivi di diversa natura, cautelare e definitiva (c.d. “doppia posizione giuridica”), ad un orientamento – anche dottrinale[2] – che riteneva necessario il doppio pronunciamento conforme del magistrato di sorveglianza (in relazione al titolo definitivo) e del giudice individuato ai sensi dell’art.11, L.26.7.1975, n.354 (in rapporto al titolo cautelare), si è sostituito l’orientamento, ora dominante, secondo cui è sufficiente la decisione del giudice della cautela,
“e ciò per l’esigenza inderogabile che in tutto il corso del procedimento l’imputato sottoposto a custodia preventiva rimanga nella completa disponibilità fisica del giudice procedente. Tale esigenza va egualmente rispettata se alla condizione di imputato in stato di custodia preventiva si associa anche quella di detenuto in espiazione di pena o di internato”(Cass. 21.11.1998 n.2639,Magnano,CED).
Per la prima tesi, si riteneva invece che “quando un detenuto si trovi contemporaneamente in esecuzione di pena ed in stato di custodia preventiva, nel concorso dei due titoli di detenzione sussiste anzitutto la competenza del giudice che ha la disponibilità del processo di cognizione a provvedere sulle istanze di concessione di permessi ai sensi dell’art 30 legge 26 luglio 1975, n 354, dato che le esigenze e le cautele imposte dal processo e garantite dallo stato di custodia preventiva si pongono con carattere di preminenza e possono essere apprezzate solo dal predetto giudice. Tale competenza, peraltro, non esclude quella concorrente del magistrato di sorveglianza, in relazione alla contemporanea posizione del soggetto di detenuto in espiazione di pena. pertanto, nel caso in questione, anzitutto deve provvedere il giudice di cognizione, il cui provvedimento negativo esclude la possibilità che l’imputato – condannato si assenti dal carcere e successivamente,in caso di provvedimento favorevole,deve provvedere il magistrato di sorveglianza” (Cass.ord. 4.3.1977, n.542, Bianchi,CED;Cass. n.15727/1989).
Il secondo (ed ora prevalente orientamento), sostiene che” La competenza a provvedere su richiesta di permesso avanzata da soggetto che abbia la duplice veste di detenuto in espiazione di pena e di imputato sottoposto a custodia cautelare per reato in ordine al quale sia intervenuta sentenza di condanna in primo grado,relativamente alla quale non siano ancora scaduti i termini per proporre impugnazione,deve ritenersi concentrata,per ragioni di speditezza e di economia processuale,nel solo giudice che ha pronunciato la detta sentenza,con esclusione,quindi,della competenza del magistrato di sorveglianza”(Cass. 15.6.1998, n.2738,,confl.comp. in proc.Verchini,CED; conforme Cass. 8.10.1976, n.1578,Fontanarosa,CED);
6)La Corte ha, altresì, avuto occasione di pronunciarsi – con un’unica decisione – su triplice ordine di questioni attinenti alla competenza a decidere sull’ istanza di permesso ex art.30 L.26.7.1975, n.354:
Nell’ipotesi di domanda formulata da soggetto sottoposto alla custodia cautelare in carcere ai sensi di un’ordinanza del GIP, una volta intervenuta, in relazione al procedimento di cui al titolo cautelare, condanna in primo grado ma non essendo ancora stata depositata la sentenza, la Corte ha stabilito il principio che competente a pronunciarsi sull’istanza di permesso è il giudice di primo grado, ai sensi del combinato disposto degli artt. 279 c.p.p. e 91 disp.att.c.p.p., dovendosi in tale caso qualificare la richiesta di permesso quale istanza di modifica delle modalità di esecuzione della misura cautelare.La Cassazione così si esprime:”
La competenza in ordine alla concessione dei permessi di cui trattasi è compiutamente regolata dall’art.30 O.P. e in forza di tale norma, la disciplina di cui al precedente art.11, così come integrato dall’art. 240 disp.att. c.p.p., prevede una competenza del giudice che procede e, dopo la sentenza di primo grado, del magistrato di sorveglianza.Non avendo peraltro il legislatore della detta norma di attuazione specificato quale dovesse intendersi il momento iniziale del “dopo la sentenza di primo grado” con riferimento a sentenza di cui sia stata data lettura del dispositivo, ma che non sia stata ancora depositata o,se depositata, per la quale non sia ancora maturato il termine ex art. 590 c.p.p. (trasmissione degli atti al giudice della impugnazione), deve necessariamente farsi riferimento, per tutto ciò che attiene l’applicazione, la revoca e le modifiche delle modalità di esecuzione delle misure cautelari,al combinato disposto degli artt. 279 c.p.p. e 91 disp.att. c.p.p. di tal che è competente, in tale fase intermedia fra la pronuncia della sentenza e la trasmissione degli atti ex art. 590 c.p.p., il giudice che ha emesso la sentenza medesima”(Cass. 14.5.1998 ,n. 2737, confl.comp. in proc.Di Martino,CED);
“Per quel che concerne invece la questione attinente la individuazione del giudice competente a pronunciarsi sulla medesima domanda di permesso presentata…non quale imputato, bensì quale condannato, ritiene la Corte che ragioni di economia processuale e di speditezza ….favoriscano la tesi della unicità di competenza in testa al giudice del titolo cautelare, e ciò anche in considerazione del fatto che le ragioni di esistenza di tale titolo, di per sé eccezionale rispetto alla normale libertà dell’imputato fino a sentenza definitiva di condanna, garantisce la salvaguardia in un unico contesto di quegli interessi collettivi che legittimano la limitazione della libertà personale sia del detenuto imputato che del detenuto condannato.La competenza del magistrato di sorveglianza per quel che concerne le domande di permesso appare infatti residuale ex art.30 O.P., posto che detta norma evidenzia come, non essendovi più alcun giudice di cognizione competente a pronunciarsi sulla domanda medesima, e dovendosi di conseguenza considerare il detenuto unicamente quale condannato o internato, sarà necessariamente a detto magistrato che si dovrà ricorrere per provvedere sulla detta domanda che, giova ripeterlo, per gli stessi presupposti di urgenza su cui si fonda mai tollera una moltiplicazione dei giudicanti che non avesse una valida ragion d’essere in astratto, ma che conseguirebbe unicamente da una situazione di fatto dell’istante colpito da titoli detentivi di diversa natura” (Cass. 14.5.1998, n. 2737, confl.comp. in proc.Di Martino,CED);
“Differente sarebbe, ovviamente , la situazione nel caso in cui il detto istante risultasse sottoposto a misure cautelari disposte da giudici di cognizione diversi, e ciò in quanto in tal caso, la stessa eccezionalità della situazione detentiva legata ai diversi procedimenti in corso a carico della stessa persona, legittimerebbe l’esame della domanda e la valutazione delle relative opportunità circa l’an e circa il modus della autorizzazione, da parte dei differenti giudici cautelari”(Cass. 14.5.1998, n. 2737, confl.comp. in proc.Di Martino,CED).
Nell’ ipotesi, infine,di trasferimento di un condannato ad altro istituto penitenziario, dopo la presentazione da parte del condannato medesimo di una domanda di permesso ai sensi dell’art 30 della legge 26.7.1975,n.354, competente a decidere sull’istanza deve ritenersi – in mancanza di una espressa disposizione normativa – il giudice di sorveglianza sotto la cui giurisdizione trovasi il condannato trasferito e non quello al quale l’istanza era originariamente diretta(Cass. 24.10.1990, n.3559,Florio,CED).
La fondatezza di tale giurisprudenza è così motivata:” la competenza a decidere sull’istanza di permesso proposta, ai sensi dell’art. 30 legge 26 luglio 1975, n. 354, da un detenuto trasferito, dopo la presentazione di essa, in altro istituto di pena, appartiene al giudice di sorveglianza nella cui giurisdizione venga a trovarsi di fatto il condannato o l’internato trasferito e non al giudice al quale l’istanza era stata originariamente rivolta. tanto perché, essendo la concessione del permesso strettamente correlata all’osservazione della personalità del detenuto ed all’andamento del trattamento rieducativo, la relativa decisione spetta proprio al giudice in grado di valutare, in base alla più recente osservazione, l’opportunità o meno della concessione del beneficio, la durata e le eventuali prescrizioni o cautele per l’esecuzione di esso”(Cass. 28.2.1977, Di Biasi,CED; Cass. 6.7.1977,Gallo,CED;Cass., 27.4.1982, n.895,CED) .
Contra, tuttavia, l’orientamento ora dominante, secondo cui “in tema di esecuzione della pena, la competenza a provvedere in ordine alla richiesta di concessione di permesso-premio (ex art. 30 ter dell’ordinamento penitenziario), spetta al giudice di sorveglianza del luogo ove il condannato risulta assegnato dal competente ministero, non già a quello del luogo ove l’istante si trovi, momentaneamente, per ragioni contingenti.(conflitto di competenza (negativo), sollevato dal giudice di sorveglianza del luogo ove il detenuto trovavasi “in transito”, investito dal giudice avente giurisdizione sullo stabilimento di assegnazione (cui l’istanza era stata indirizzata), risolto dalla corte suprema in favore di quest’ultimo ) “(Cass. 28.4.1986, n.1904,Ruffino,CED).
Note:
[1] contra ritenendo invece fondata la competenza del GIP anteriormente all’esercizio dell’azione penale Canepa-Merlo,cit.,loc.cit. nota prec..
[2] V.FiORILLO,op.cit.,loc.cit. .
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