In questi primi mesi il dettato normativo è stato approfonditamente esaminato in termini di esegesi giuridica e riverberi prevensionistici e operativi, solamente accennando però alle potenzialità dell’istituto in oggetto quale strumento, alternativo e innovativo, di relazioni industriali per la gestione di alcuni contesti di crisi aziendale, nonostante l’esistenza di un precedente (ndr. Accordo Bassilichi SpA del 01.04.2016) che esplicita in nuce interessanti scenari di studio ed esecutivi.
Nello specifico, la società Bassilichi SpA, uno dei principali operatori nel mercato dei payments e dei business services, in conseguenza del piano industriale 2015-2018 aveva dichiarato la necessità di avviare “processi di efficientamento strutturale e di cost saving (…) in particolare con riguardo alla logistica delle sedi”, che avrebbero comportato la chiusura della sede di lavoro di Pisa e il contestuale trasferimento dei relativi lavoratori presso la struttura aziendale di Firenze.
All’esito del confronto sindacale e istituzionale la Società, considerato che gran parte dei lavoratori interessati essendo residenti/domiciliati in provincia di Pisa, Lucca e Livorno, avrebbero patito non pochi disagi a causa del trasferimento presso la sede fiorentina, si è resa disponibile ad approfondire l’ipotesi di consentire a parte dei dipendenti lo svolgimento delle mansioni assegnate “in modalità telelavoro presso il proprio domicilio privato oppure in un centro di telelavoro (anche) alla luce delle recenti evoluzioni di forme di flessibilità organizzativa sperimentali (…)”.
In virtù di quanto sopra, a fronte dell’avvenuto trasferimento di tutti i lavoratori interessati presso la sede aziendale di Firenze, è stata data la possibilità ai lavoratori le cui mansioni sono state ritenute esercitabili anche all’esterno dei locali aziendali in modalità telelavoro o similari (es. smartworking) di prestare l’attività lavorativa presso spazi di “coworking” specificatamente individuati, attrezzati e convenzionati, con spese a carico dell’Azienda.
L’accordo, concluso in una data antecedente a quella di promulgazione della L. 81/2017, ha carattere sperimentale e transitorio. Le parti contraenti, pertanto, hanno definito di ricontrarsi al termine del periodo di sperimentazione al fine di esaminarne le risultanze e pianificare eventuali correttivi e proroghe al sistema in essere.
Sorvolando in questa sede sugli ulteriori particolarismi operativi adottati nel caso specifico (es. recesso, indennità, etc.), non si può negare come l’esperienza riportata in sintesi sia molto interessante, in un’ottica di relazioni industriali, soprattutto in considerazione del nuovo reticolato normativo di cui alla L. 81/2017.
Il lavoro agile, a una prima lettura interpretativa, in quanto strumento flessibile che si presta a esser “cucito su misura” al singolo caso mediante un accordo individuale, sembrerebbe esser maggiormente adatto ad applicazioni innovative quali la gestione della chiusura di una sede e il conseguente trasferimento dei lavoratori, rispetto a un telelavoro la cui regolamentazione tutt’oggi presenta tratti di eccesiva rigidità.
In maniera altrettanto innovativa, l’istituto in oggetto potrebbe esser anche utilizzato nelle more di una procedura di licenziamento collettivo in quanto annoverabile tra “le possibilità di utilizzazione diversa di tale personale, o di una sua parte, nell’ambito della stessa impresa, anche mediante contratti di solidarietà e forme flessibili di gestione del tempo di lavoro” di cui all’art. 4, c. 5, L. 223/1991 o considerata misura idonea “a porre rimedio alla predetta situazione ed evitare in tutto o in parte, il licenziamento collettivo” ex art. 4, c. 3, L. 223/1991.
Ovviamente il lavoro agile declinato quale strumento di relazioni industriali per una gestione conservativa dei contesti di crisi d’impresa avrebbe difficoltà a trovare applicazione indistintamente per tutti i comparti industriali, ma potrebbe attagliarsi meglio a quelle aziende che presentano un maggior numero di mansioni lavorabili al di fuori dei locali aziendali (es. terziario).
In tal caso, si verrebbe potenzialmente a creare, mutuando una terminologia inglese molto utilizzata nei contesti aziendali, una situazione “win-win”, in quanto l’azienda ingenererebbe un risparmio di quota parte dei costi fissi non attinenti il costo del lavoro (ndr. anche se in questa materia vi sono state novità con riferimento a tassazione e contributi), e il lavoratore conserverebbe il posto di lavoro e la conseguente retribuzione, senza accedere agli ammortizzatori sociali.
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A fronte di quanto sin qui ipotizzato, sarebbe altresì necessario prevedere sistemi di controllo volti a evitare abusi o storture (es. accollo ai lavoratori di parte dei costi di struttura trasferendo le attività presso le loro abitazioni, con spese a loro carico), anche con la partecipazione attiva delle OO. SS., che in tal modo si riapproprierebbero in parte di un ruolo che la normativa sul lavoro agile, a differenza della prassi sindacale previgente, sembrerebbe avergli negato.
Ciò non toglie, però, che soprattutto nelle ipotesi in cui la crisi sia determinata dai costi di logistica e infrastrutture, la possibilità appena vagliata possa rappresentare un’alternativa importante ai classici strumenti giuridici e sindacali.
I prossimi anni ci indicheranno se quanto sopra trattasi di un mero esercizio di stile o di un’interpretazione in linea con l’evoluzione in corso dei rapporti di lavoro e delle relazioni industriali.
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