Trust: una forma di gestione del patrimonio poco diffusa ma dagli aspetti molto interessanti e innovativi

Redazione 04/08/99
di Antonio Scipione

DI COSA SI TRATTA

La figura del Trust è un’importante novità nel panorama giuridico italiano, come d’altronde in tutti quei sistemi che hanno le loro radici nel Diritto Romano (il cd. ceppo Romano-germanico). In Italia tale figura è stata ufficialmente introdotta dalla legge 364/89, in vigore dal 1° gennaio 1992. Tale norma altro non è che la ratifica “sic et simpliciter” della convenzione dell’Aja sulla legge applicabile al Trust siglata il 1° luglio 1985.

Nei paesi di common law (Inghilterra prima fra tutti), il Trust, invece, è un istituto giuridico che viene applicato da oltre cinque secoli. Perché, dunque, una figura così importante ed utilizzata altrove ci ha impiegato tanto tempo prima di essere recepita ufficialmente nel nostro ordinamento? La risposta è semplice. I due grandi sistemi civili (common law e civil law) sono profondamente diversi fra loro e i presupposti per l’applicabilità o meno degli istituti tipici dell’uno all’interno dell’altro sono molto diversi. E’ importante sottolineare che c’è una fondamentale differenza fra il Trust anglosassone e la “Stiftung” (fondazione) del Liechtenstein, anche se le finalità applicative sono molto simili.

Il nostro civil law, ad esempio, considera il concetto di proprietà come un monolito assoluto ed inscalfibile, lo si può frazionare, almeno sulla carta, ma alla fine, magari dopo decenni, esso torna tale e quale come era prima. Il suo magnetismo è assoluto. Da noi un bene, soprattutto immobile, può fare tutti i giri che vuole, può essere locato, affittato, dato in usufrutto, in gestione e altro, ma un “proprietario”, persona o società, è sempre individuato o individuabile. Potremmo definirlo come un cane legato ad uno di quei guinzagli che si accorciano e allungano a piacere, basta premere un pulsante e il cane, volente o nolente, torna vicino al suo padrone.

Così non è per il Trust. In esso non esiste la figura della proprietà o del proprietario. Esistono invece: il bene (mobile, immobile o quant’altro), chi lo cede in gestione, chi lo gestisce, e chi ne trae i benefici.

COME FUNZIONA

Le figure di norma sono tre (ma possono essere anche di meno o di più, a seconda della giurisdizione che regola il trust). – La prima è il cd. settlor, o meglio, il disponente. Questa persona è quella che prima aveva in proprietà (come la intendiamo noi) il bene che viene ceduto in Trust.
– La seconda è un terzo, persona o società, cd. trustee (gestore) nominato dal settlor, il quale ha la gestione del bene contenuto nel Trust. Questi ha la piena facoltà di gestire i beni (ufficialmente) come meglio crede, può venderli e con i soldi acquistarne altri, può affittarli ecc., insomma può fare di tutto senza che il disponente possa interferire sulle sue decisioni. La caratteristica interessante è che il trustee non diventa proprietario (come lo intendiamo noi) del bene. La titolarità, sulla carta, è sua, altrimenti non potrebbe disporne, ma questi non rientrano nel suo patrimonio personale o societario. Si evitano così ingerenze da parte di eventuali creditori del gestore. – Terza figura è quella del (o dei) cd. beneficiary (beneficiario). In genere è la figura più comoda perché gode dei benefici della gestione del trustee, vivendo di rendita.

In altre parole il bene ceduto in Trust è come se non avesse un proprietario, e nella sostanza non ce l’ha, è un bene che “galleggia” senza essere attraccato in alcun porto.

ALCUNI ESEMPI

Facciamo un esempio pratico: Tizio (disponente) cede in Trust un suo appartamento, nomina un gestore, che può essere il cognato Caio, e nomina altresì come beneficiaria la moglie Mevia. Il gestore decide che per far fruttare al meglio l’appartamento conviene concederlo in locazione; I canoni vengono versati alla moglie beneficiaria, decurtati delle spese e delle tasse gravanti sull’immobile che vengono addebitate al Trust. In tutto ciò il disponente (in via ufficiale) non ha voce in capitolo.

A questo punto possiamo cominciare a fantasticare sul Trust e le sue potenzialmente ILLIMITATE utilizzazioni.

Gestione di una somma di denaro
Viene conferita in Trust una somma di denaro. Il trustee può disporre della somma come vuole: può investirla in un fondo comune, può comprare immobili, automobili, quello che vuole, o acquistare direttamente partecipazioni societarie come gestore di “un qualcosa” (Trust) che gli consente di nominare membri di consigli di amministrazione. Si potrebbe ipotizzare una struttura costituita da una serie di società controllate da una holding le cui quote o azioni (a seconda del tipo societario adottato) di maggioranza sono di proprietà del Trust.
Ancora: Trustee può essere nominata una banca, una SIM o altra società professionale per la gestione del denaro e conferire nel trust la somma da gestire. I vantaggi di quest’ultima ipotesi sono palesi, la detitolarizzazione delle somme in capo al disponente e la conseguente impermeabilità del patrimonio nei confronti di attacchi da parte di terzi pur mantenendo il vantaggio della gestione e quindi del profitto.

Gestione di un patrimonio immobiliare
Si conferisce in trust un immobile (una palazzina o un gruppo di esse), la vendita e/o la gestione delle singole unità immobiliari viene effettuata dal Trust tramite il gestore. Le somme o le altre utilità rimangono nel Trust o possono essere distribuite ai beneficiari. In quest’ultimo caso sarebbe opportuno che il trust venisse formato prima della costruzione degli immobili (ad esempio sul trerreno dove questi dovranno essere costruiti, ciò al fine di evitare le imposte derivanti dal passaggio di proprietà.

In tema di successioni mortis causa
Poniamo il caso che un imprenditore si trovi a dover affrontare il problema della successione dell’azienda. Tutti conoscono l’antico proverbio che dice “La prima generazione costruisce, la seconda mantiene, la terza distrugge”. La terza ipotesi, in molti casi, avviene per evidente incapacità degli eredi, a causa di liti e diatribe familiari o altro. Il problema può essere risolto conferendo in un Trust le quote societarie dell’azienda in modo che, anche dopo la scomparsa dell’imprenditore, la linea gestionale dell’impresa non cambi essendo questa garantita dal trustee secondo canoni e direttive precise, contenute sia nell’atto che istituisce il Trust, sia nella letter of wishes (vedi più avanti).

Obiezioni
Una delle obiezioni mosse da chi è ancorato saldamente al nostro ordinamento romanistico si esprime con la domanda: “Ma se trasferisco i miei beni in Trust, come faccio a controllare il Trustee affinché non faccia stupidaggini col mio capitale?” Domanda legittima a cui si risponde con una serie di accorgimenti pratici. 1) il disponente può nominare uno o più cd. protector (controllore) il quale ha il compito, appunto, di controllare che la gestione sia conforme a ciò che da noi si chiama “la diligenza del buon padre di famiglia”, ma attenzione, il controllore non può avere un potere di veto tanto forte da limitare le scelte del gestore, altrimenti il Trust non è più tale e quindi considerato nullo in tutte le sue parti; 2) Il disponente, in genere, parallelamente all’atto che istituisce il Trust, consegna al gestore una cd. letter of wishes (lettera dei desideri), la quale ufficialmente non può esistere e non esiste, ma c’è, e con essa il disponente “invita” il trustee a gestire secondo precise direttive; 3) la tutela giurisdizionale: il Trustee, infatti, è comunque obbligato a gestire i beni secondo il criterio del buon padre di famiglia, quindi se il beneficiario o il controllore si accorgono che il gestore non segue certi canoni e obbiettivamente guida i beni verso una direzione di sicuro disfacimento, possono ricorrere al giudice affinché questo imponga al gestore di “tornare sulla retta via” tramite i poteri affidati dalla legge all’autorità giudiziaria e, contestualmente, condanni il Trustee al risarcimento dei danni prodotti dalla sua mala gestio.

In genere, però, se un gestore vuole fare il furbo può farlo, ma non più nè meno di un promotore finanziario, un assicuratore, un commercialista o una società fiduciaria che per professione gestisce i nostri soldi. Il problema è quindi di fiducia nei confronti del Trustee che deve essere persona (o società) seria e professionale. Infatti il termine Trust tradotto dall’inglese, significa credere, avere fiducia.

LE SCELTE

Per completezza occorre distinguere i cd. Trust interni da quelli esterni. I primi sono quelli costituiti in Italia, anche se regolati da una legge che il disponente può scegliere (legge inglese o piuttosto quella delle Bahamas, British Virgin Islands, Panama o altra giurisdizione estera). I secondi sono quelli costituiti all’estero, anche se comprendenti beni siti in Italia. In un’ottica di Tax optimization o di un efficace tax planning i secondi sono sicuramente da preferire in quanto in Italia la legislazione fiscale, in generale, è molto severa e capillare. I trust interni possono essere usati sia a fini ereditari sia a fini di assets allocation and managment sfruttando la non titolarità dei beni in capo ad alcuno. Può essere comodo per evitare incursioni di creditori, curatori fallimentari, ex mogli in fase di separazione coniugale… ecc.. Il tutto, naturalmente, deve essere conforme a quanto prescrivono le leggi per ogni singola materia.

GLI ASPETTI FISCALI

Dal punto di vista fiscale ci sono dubbi e perplessità su quante e quali imposte gravino sulle operazioni patrimoniali a favore o contro un Trust, in merito preferiamo essere “pessimisti”, infatti, non esistendo una normativa fiscale specifica, l’autorità di controllo tributario (SECIT) si e espressa con pareri diretti alla massima pressione fiscale consentita, ma sono e restano pareri. Il contenzioso è aperto, anzi, apertissimo.

CONCLUSIONE

Il trust, dunque, possiamo paragonarlo a un vestito di alta sartoria, non ce n’è uno uguale all’altro, ognuno deve essere fatto (e può essere fatto) su misura e a seconda delle occasioni per cui s’intende sfruttarlo. (tutti i diritti riservati)

Redazione

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