Il divieto di abuso di dipendenza economica è sancito dalla legge n.192/1998, che disciplina la subfornitura nelle attività produttive.
Il divieto, elaborato in materia di subfornitura, colpisce tutte le condizioni ingiustificatamente gravose cui è sottoposta un’impresa (cliente o fornitrice) che si trova in uno stato di dipendenza economica rispetto ad una impresa committente, la quale ultima impone condizioni eccessivamente squilibrate a proprio vantaggio.
E’ bene chiarire che con il contratto di subfornitura si suole indicare il fenomeno della cooperazione tra imprese, ossia dell’affidamento ad imprese minori, da parte di imprese più grandi, della predisposizione di talune parti del prodotto finale o dello svolgimento di talune fasi del processo produttivo, con conseguente tendenziale dipendenza del subfornitore dalle direttive impartite dall’impresa committente[1].
A norma dell’art. 9 della suddetta legge infatti, “si considera dipendenza economica la situazione in cui un’impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi. La posizione di dipendenza è valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subito l’abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti”. Sul piano sanzionatorio, poi, l’abuso della posizione economica dominante è punito con la nullità dei patti attraverso i quali esso è esercitato.
Dal punto di vista sistematico, la legge sui contratti di subfornitura è senz’altro inquadrabile nell’ambito di quella legislazione volta nella direzione della tutela delle posizioni deboli nel mercato, i cui più significativi esempi sono rappresentati dalla legge n. 827/1990, che rappresenta la trasfusione in ambito nazionale di principi già sanciti dal Trattato CE in materia di libera concorrenza nel mercato, e dalle norme contenute negli artt.1469 bis e seguenti, le quali ultime si inseriscono nell’ambito della complessa normativa speciale a tutela del consumatore. L’intento della regolamentazione coincide con la protezione di tutti quei soggetti di mercato, imprese o singoli consumatori, che versano in una situazione di “debolezza”, rectius scarso potere contrattuale, nei confronti di altri soggetti, che, al contrario, occupano quelle posizioni che la stessa legislazione definisce “dominanti”.
Autorevole dottrina non ha mancato di rilevare che la tendenza del legislatore nazionale è quella rivolta “verso una ‘giustizia del mercato’ in cui siano vietati gli abusi di posizioni di dominio contrattuale anche nei rapporti tra imprenditori”[2].
Passando ad analizzare nel dettaglio la normativa che sancisce il divieto di abuso di dipendenza economica, bisogna in primo luogo sottolineare che il legislatore non ha descritto in maniera specifica i fattori in presenza dei quali un’impresa può dirsi in posizione di dipendenza economica rispetto ad un’altra impresa; difatti nel primo comma dell’art. 9 della legge 192/1998, la dipendenza economica è definita semplicemente come “la situazione in cui un’impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi”. Se è vero, da un lato, che la norma fornisce una nozione ontologica della “dipendenza”, d’altro canto il legislatore omette di equipaggiare l’interprete con gli strumenti gnoseologici in grado di definirne i contorni.
La situazione di “dominio”, naturalmente, non è sanzionata di per sé, ma solo se si tramuti nell’eccessivo squilibrio di diritti ed obblighi. L’abuso, infatti coincide proprio con la manifestazione di tale eccessivo squilibrio, anche se, come detto, il legislatore non spiega in cosa esso debba consistere.
Invero, il secondo comma dell’art. 9 sembra chiarire la portata del primo comma, nella parte in cui precisa che “l’abuso può anche consistere nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di comprare, nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto”.
Ad avviso di chi scrive sono due le osservazioni suscitate dalla lettura del secondo comma: in primis sembra agevole poter ricondurre “l’imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie” nell’alveo dell’ “eccessivo squilibrio di diritti ed obblighi” di cui al primo comma, con l’ovvia conseguente considerazione che la formula di cui al secondo comma si riferirebbe soltanto ad una delle possibili esplicazioni del suddetto squilibrio.
In secondo luogo all’elencazione di cui al secondo comma, che ricomprende nelle manifestazioni dell’abuso anche il rifiuto di vendere o il rifiuto di comprare e la interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto, sembra attribuibile un valore esemplificativo e non tassativo, dal momento che molteplici e insuscettibili di esaustiva individuazione sono le modalità mediante le quali si può mettere in atto l’abuso della posizione di forza economico-contrattuale.
Si è recentemente sostenuto che tre sono gli ordini di principi che presiedono all’applicazione del divieto di abuso di dipendenza economica[3]: in primis, le norme che impongono il divieto di abusare della posizione di forza economico-contrattuale rappresentano delle eccezioni restrittive del principio della libertà contrattuale e di quello di uguaglianza e di libertà di iniziativa economica, pertanto l’interpretazione di dette norme sarà in suscettibile di interpretazione estensiva.
Quanto al secondo principio si è sottolineata la differenza, quanto all’onere probatorio, tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale della impresa committente: in caso di violazioni ex contractu sarà l’impresa dominante a dover provare di non essere responsabile, mentre in caso di illeciti aquiliani, l’onere della prova della attuazione dell’abuso graverà sull’impresa “dipendente”.
E’ stata poi elaborata una terza regola in ordine alla verifica della sussistenza dell’eccessivo squilibrio economico tra le parti: si è posto l’accento sul fatto che l’eccessivo squilibrio di diritti ed obblighi deve essere inteso come una forte divaricazione economica fra le prestazioni delle due parti e la posizione di chi lamenta di aver subito l’abuso dovrà essere vagliata alla stregua di un criterio di valutazione complessivo che dovrà tener conto di tutte le clausole contrattuali. Non può infatti sottovalutarsi che, essendo le parti sempre imprenditori, “quando viene comunque conservato un margine di profitto o di accrescimento economico (sia pure minimo), difficilmente si potrà configurare un eccessivo squilibrio di rapporto”[4].
Per completezza espositiva si precisa cha legge n. 57/2001, modificativa della legge n. 192/1998, ha aggiunto al terzo comma dell’art. 9 un’ulteriore disposizione (comma 3 bis) nella quale si stabilisce che qualora l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ravvisi un abuso di dipendenza economica che abbia rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato può procedere, nei confronti dell’impresa o delle imprese che abbiano commesso detto abuso, alla applicazione delle misure sanzionatorie previste dall’articolo 15 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, consistenti in diffide e sanzioni amministrative pecuniarie.
Di recente è stata sollevata la questione sulla estendibilità del divieto di abuso di dipendenza economica ai c.d. contratti di franchising, atteso che, anche in tale figura contrattuale, può venire a crearsi uno squilibrio tra le due parti contraenti che potrebbe dar luogo ad ingiusti approfittamenti da parte dell’impresa dotata del maggior potere contrattuale.
Parte della dottrina ha infatti affermato che la normativa in materia di subfornitura costituirebbe disciplina “a vocazione allargata, siccome destinata a trovare applicazione anche al di fuori del ristretto ambito dei rapporti di subfornitura, estendendosi ad ogni tipo di relazione tra imprese”[5].
Si è a riguardo sottolineato che, pur considerando la mancanza, nella legge n. 129/2004 (c.d.legge franchising), di una disciplina in materia di abuso di dipendenza economica, nondimeno il divieto sia estendibile anche ai contratti in questione, dal momento che, anche nei rapporti tra franchisor e franchisee non è improbabile il verificarsi di ipotesi in cui il franchisor ponga in essere situazioni squilibrate a suo favore.
Per sottolineare la subalternità del franchisee (distributore del prodotto) rispetto al franchisor (produttore), si utilizza, in campo economico, l’espressione “imprenditore satellite”, onde significare, con tale colorita qualifica, il fenomeno della dipendenza del settore della distribuzione rispetto a quello della produzione[6].
Le peculiarità attinenti al rapporto di franchising e, in particolare, al momento più problematico dello stesso, che sembra essere quello della sua esecuzione, sembrano imporre interpretazioni volte ad assicurare tutela all’affiliato (il soggetto distributore del prodotto) anche in sede di esecuzione del contratto.
Essendo il contratto di franchising un accordo di cooperazione destinato a durare nel tempo, le possibili distorsioni dell’equilibrio contrattuale sono legate alle difficoltà di mantenere inalterato il bilanciamento delle condizioni inizialmente pattuite.
Solo per citare una delle possibili manifestazioni del sopravvenuto squilibrio, si consideri il caso, frequente nella pratica giuridico-commerciale, del franchisor, che, in sede di rinnovo del contratto imponga, in forza della sua posizione dominante, delle condizioni più onerose che il franchisee sia costretto ad accettare onde evitare di perdere la posizione consolidatasi sul mercato.
Proprio in considerazione di tali possibili anomalie, la dottrina più attenta, invocando il principio di unitarietà dell’ordinamento, ha sostenuto la tesi della generalità della tutela contro gli abusi di dipendenza economica, giungendo ad affermare che il divieto formulato in materia di subfornitura travalichi gli angusti confini del campo al quale è espressamente riferito e assurga a regola comportamentale generalizzata applicabile in tutti i casi in cui un’impresa più forte limita la libertà di un’impresa più debole.
Note:
[1] V. Torrente-Schleisinger, Manuale di diritto privato, Milano, 2004, pag. 565 ss.
[2] V. Bianca, Diritto civile, 3, Il contratto, 396 e ss., Milano 2000
[3] V. Venturini Degli Esposti, in “Illustrazione e commento alla disciplina della subfornitura nelle attività produttive”, in www.tecnotext.it
[4] V. Venturini Degli Esposti, op. cit.
[5] Berti – Grazzini, in “La disciplina della subfornitura nelle attività produttive” Milano, 2003,
[6] V. Gazzoni, Manuale di diritto Privato, Napoli, 2003, pag. 1291
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