Precedenti giurisprudenziali: Cass. n.18610/2015; Cass. n. 1620/2012; Cass. Sez. Un. 13533/2001;
Riferimenti normativi: art. 3 D.L. n. 158/2012; art. 1218 c.c.; art. 1228 c.c.;
Fatto
Parte attrice proponeva una domanda di risarcimento nei confronti di una ASL per i danni subiti in conseguenza di un errore commesso dai medici della struttura sanitaria, i quali, eseguendo un intervento chirurgico di video-laparo-colicistectomia, avevano lacerato la vena mesenterica superiore del paziente. La Asl chiedeva il rigetto della domanda attore sulla base di due argomentazioni: in primo luogo, il fatto che la qualificazione della responsabilità dei medici all’interno di quella contrattuale non era corretta; in secondo luogo, l’insussistenza di una responsabilità della convenuta e dei medici stessi, in considerazione del fatto che la lacerazione lamentata non era dipesa da un errore medico, ma da circostanze accidentali connesse ad una precedente sindrome del paziente.
Veniva, quindi, eseguita una consulenza tecnica d’ufficio, all’esito della quale i CTU ritenevano che la lesione lamentata da parte attrice era dipesa proprio dalla mancata diligenza e prudenza dei medici nella programmazione e nell’esecuzione dell’intervento chirurgico cui era stata sottoposta parte attrice. In particolare, secondo i periti, i medici dell’Asl non avrebbero dovuto eseguire l’intervento chirurgico, ma avrebbero, invece, dovuto effettuare le necessarie verifiche e poi programmare una apposita terapia. I periti, inoltre, accertavano la sussistenza del nesso causale fra la condotta imprudente dei medici e i danni lamentati dall’attore, in quanto l’intervento chirurgico eseguito aveva causato la suddetta lacerazione della vena del paziente, circostanza che con un intervento prudente e diligente non si sarebbe verificata.
In ragione di ciò, il Tribunale di Torino ha liquidato il danno non patrimoniale subito dal paziente e derivante dalla suddetta lesione della sua integrità psicofisica nonché il correlato danno morale, personalizzando nella misura in aumento del 20% la quantificazione del danno biologico, secondo le tabelle milanesi e conseguentemente ha condannato la Asl a risarcire al paziente un importo di circa €.350.000.
La decisione della Corte
Il primo aspetto esaminato dal tribunale di Torino riguarda la individuazione della tipologia di responsabilità gravante sulla struttura sanitaria, secondo la disciplina del decreto Balducci applicabile ai fatti di causa.
A tal proposito, il giudice ha ritenuto che detto decreto avesse a suo tempo confermato che la responsabilità delle strutture sanitarie per i danni causati dai suoi dipendenti fosse ascrivibile all’interno della categoria nella responsabilità contrattuale. In tal senso, secondo la corte torinese spingono sia la prassi del decreto, sia il tenore letterale della norma e la sua collocazione sistematica, i quali confermano che anche laddove il medico sia esonerato da una responsabilità di carattere penale, se ci sono i presupposti normativi, comunque graverà sullo stesso la responsabilità di carattere civile. In altri termini, il decreto Balducci non ha innovato la tipologia di responsabilità civile del medico e della struttura sanitaria, stravolgendo le soluzioni che le corti italiane avevano reso negli anni precedenti, ma abbia soltanto confermato la sussistenza di una responsabilità civile.
È interessante rilevare come il giudice sostenga la propria posizione anche citando la legge Gelli-Bianco, che ha recentemente riformato la responsabilità medica, stabilendo un doppio binario di responsabilità (contrattuale per le strutture sanitarie, nonché per i medici che eseguono le loro prestazioni in virtù di un contratto obbligazione contrattuale assunta con il paziente, extra contrattuale per i medici negli altri casi. Secondo il giudice, infatti, seppure la citata legge Gelli-bianco non è applicabile ai fatti di causa, in quanto verificatisi precedentemente alla sua entrata in vigore, essa comunque fornisce un criterio per interpretare anche il decreto Balducci.
In considerazione di ciò, il tribunale conclude per il riconoscimento della natura contrattuale della responsabilità della struttura sanitaria i cui medici hanno determinato le lesioni lamentate da parte attrice, derivante dal contratto sorto tra le parti nel momento in cui la Asl ha preso in cura il paziente e che può derivare astrattamente da due tipologie di inadempimenti: da un lato per la violazione delle obbligazioni proprie che la struttura ha assunto nei confronti del paziente, dall’altro lato per il comportamento il perito ed imprudente dei medici dipendenti della struttura.
Dalla natura contrattuale della responsabilità, poi, il giudice torinese fa discendere la relativa disciplina in materia di riparto dell’onere probatorio. In particolare, il paziente danneggiato avrà semplicemente l’onere di provare l’intervenuta conclusione del contratto (cioè, nel caso di specie, che la struttura sanitaria abbia preso in carico il paziente ed abbia svolto l’attività professionale), la sussistenza del danno lamentato nonché del nesso causale tra detto danno e l’inadempimento della struttura o dei medici, inteso come comportamento astrattamente idoneo a causare quel danno, il quale deve essere semplicemente allegato dal paziente; graverà, invece, sul debitore (la struttura sanitaria) la prova che ha correttamente adempiuto la prestazione oppure che non sussiste il nesso di causalità suddetto, in quanto il danno è dipeso da un evento imprevisto e imprevedibile.
Il secondo aspetto esaminato dal giudice torinese riguarda, invece, la quantificazione dei danni.
Secondo il giudice, infatti, poiché nel caso in esame il fatto costituiva anche reato, il risarcimento dovrà contenere non soltanto il danno biologico per la lesione dell’integrità psico-fisica del paziente, ma anche il danno per la lesione degli aspetti dinamico-relazionali di quest’ultimo, in quanto si tratta comunque di interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento.
In particolare, il giudice ha ritenuto che la lesione causata dall’intervento imprudente ed imperito dei medici della Asl convenuta abbia inciso in maniera determinante, peggiorandole, sulla qualità della vita di parte attrice e sulle sue relazioni nonché sulle attività quotidianamente svolte dal medesimo, il quale dovrà necessariamente sottoporsi a continui controlli e terapie (anche molto invasive come le trasfusioni) e sarà per sempre soggetto al rischio che possa improvvisamente rompersi il circolo di compenso, circostanza che ne determinerebbe con tutta probabilità la morte.
In ragione di ciò, quindi, il tribunale di Torino ha ritenuto che anche tali pregiudizi, qualificabili come danni morali, debbano essere oggetto di liquidazione attraverso una personalizzazione percentuale, in aumento, del danno biologico.
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